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Scandalo in Francia, di Paul Krugman New York Times 16 gennaio 2014

 

Scandal in France

JAN. 16, 2014 Paul Krugman

I haven’t paid much attention to François Hollande, the president of France, since it became clear that he wasn’t going to break with Europe’s destructive, austerity-minded policy orthodoxy. But now he has done something truly scandalous.

I am not, of course, talking about his alleged affair with an actress, which, even if true, is neither surprising (hey, it’s France) nor disturbing. No, what’s shocking is his embrace of discredited right-wing economic doctrines. It’s a reminder that Europe’s ongoing economic woes can’t be attributed solely to the bad ideas of the right. Yes, callous, wrongheaded conservatives have been driving policy, but they have been abetted and enabled by spineless, muddleheaded politicians on the moderate left.

Right now, Europe seems to be emerging from its double-dip recession and growing a bit. But this slight uptick follows years of disastrous performance. How disastrous? Consider: By 1936, seven years into the Great Depression, much of Europe was growing rapidly, with real G.D.P. per capita steadily reaching new highs. By contrast, European real G.D.P. per capita today is still well below its 2007 peak — and rising slowly at best.

 

Doing worse than you did in the Great Depression is, one might say, a remarkable achievement. How did the Europeans pull it off? Well, in the 1930s most European countries eventually abandoned economic orthodoxy: They went off the gold standard; they stopped trying to balance their budgets; and some of them began large military buildups that had the side effect of providing economic stimulus. The result was a strong recovery from 1933 onward.

Modern Europe is a much better place, morally, politically, and in human terms. A shared commitment to democracy has brought durable peace; social safety nets have limited the suffering from high unemployment; coordinated action has contained the threat of financial collapse. Unfortunately, the Continent’s success in avoiding disaster has had the side effect of letting governments cling to orthodox policies. Nobody has left the euro, even though it’s a monetary straitjacket. With no need to boost military spending, nobody has broken with fiscal austerity. Everyone is doing the safe, supposedly responsible thing — and the slump persists.

 

In this depressed and depressing landscape, France isn’t an especially bad performer. Obviously it has lagged behind Germany, which has been buoyed by its formidable export sector. But French performance has been better than that of most other European nations. And I’m not just talking about the debt-crisis countries. French growth has outpaced that of such pillars of orthodoxy as Finland and the Netherlands.

It’s true that the latest data show France failing to share in Europe’s general uptick. Most observers, including the International Monetary Fund, attribute this recent weakness largely to austerity policies. But now Mr. Hollande has spoken up about his plans to change France’s course — and it’s hard not to feel a sense of despair.

 

For Mr. Hollande, in announcing his intention to reduce taxes on businesses while cutting (unspecified) spending to offset the cost, declared, “It is upon supply that we need to act,” and he further declared that “supply actually creates demand.”

Oh, boy. That echoes, almost verbatim, the long-debunked fallacy known as Say’s Law — the claim that overall shortfalls in demand can’t happen, because people have to spend their income on something. This just isn’t true, and it’s very much not true as a practical matter at the beginning of 2014. All the evidence says that France is awash in productive resources, both labor and capital, that are sitting idle because demand is inadequate. For proof, one need only look at inflation, which is sliding fast. Indeed, both France and Europe as a whole are getting dangerously close to Japan-style deflation.

 

So what’s the significance of the fact that, at this of all times, Mr. Hollande has adopted this discredited doctrine?

As I said, it’s a sign of the haplessness of the European center-left. For four years, Europe has been in the grip of austerity fever, with mostly disastrous results; it’s telling that the current slight upturn is being hailed as if it were a policy triumph. Given the hardship these policies have inflicted, you might have expected left-of-center politicians to argue strenuously for a change in course. Yet everywhere in Europe, the center-left has at best (for example, in Britain) offered weak, halfhearted criticism, and often simply cringed in submission.

 

 

When Mr. Hollande became leader of the second-ranked euro economy, some of us hoped that he might take a stand. Instead, he fell into the usual cringe — a cringe that has now turned into intellectual collapse. And Europe’s second depression goes on and on.

 

Scandalo in Francia, di Paul Krugman

New York Times 16 gennaio 2014

 

Non ho prestato molta attenzione a François Hollande, il Presidente della Francia, da quando è apparso chiaro che non aveva intenzione di rompere con la distruttiva ortodossia politica europea orientata all’austerità. Ma ora ha fatto qualcosa di veramente scandaloso.

Non  sto naturalmente parlando della sua pretesa relazione con una attrice, che, se anche fosse vera, non sarebbe né sorprendente (suvvia, siamo in Francia!) né inquietante. No, quello che è impressionante è la sua piena adesione alle screditate dottrine economiche della destra. Non si può dimenticare che i perduranti guai economici dell’Europa non possono essere attribuiti unicamente alle pessime idee della destra. Sì, conservatori incalliti ed ostinati nell’errore hanno guidato le scelte politiche, ma sono stati favoriti e resi possibili da uomini politici rammolliti e confusionari della sinistra moderata.

In questo momento, l’Europa sembra emergere dalla sua duplice recessione [1] e crescere un po’. Ma questo lieve miglioramento segue anni di andamenti disastrosi. Quanto disastrosi? Si consideri questo: nel 1936, sette anni passati nella Grande Depressione, una buona parte dell’Europa stava crescendo rapidamente, con un PIL reale procapite che raggiungeva regolarmente nuove punte. Al contrario, il PIL procapite reale europeo è oggi ben al di sotto del suo picco del 2007 – e nel migliore dei casi cresce lentamente.

Fare peggio di quello che si fece nella Grande depressione, lo si direbbe un risultato notevole. Come fecero, negli anni Trenta, gli europei a liberarsene? Ebbene, gran parte dei paesi europei alla fine abbandonarono l’ortodossia economica. Uscirono dal gold standard; smisero di tentare di mettere in pareggio i loro bilanci e alcuni di essi avviarono ampi programmi di militarizzazione che ebbero l’effetto collaterale di fornire sostegno all’economia. Il risultato fu una forte ripresa dal 1933 in avanti.

L’Europa contemporanea è un posto assai migliore, in termini morali, politici ed umani. Un impegno democratico condiviso ha portato una pace duratura: le reti della sicurezza sociale hanno limitato la sofferenza per l’elevata disoccupazione; una azione coordinata ha contenuto la minaccia di un collasso finanziario. Sfortunatamente, il successo del continente nell’evitare un disastro ha avuto l’effetto collaterale di lasciare i Governi incollati alle politiche ortodosse. Nessuno ha lasciato l’euro, anche se è una specie di camicia di forza dal punto di vista monetario. Non essendoci alcun bisogno di incoraggiare la spesa militare, nessuno ha preso le distanza dall’austerità economica. Tutti stanno facendo quello che sembra sicuro e responsabile – e la crisi persiste.

In questo paesaggio depresso e deprimente, la Francia non ha un particolare cattivo andamento. Naturalmente è rimasta indietro rispetto alla Germania, che è stata tirata su dal suo formidabile settore delle esportazioni. Ma la prestazione francese è stata migliore della gran parte delle altre nazioni europee. E non sto parlando soltanto dei paesi della crisi del debito. La crescita francese ha lasciato indietro quella di due colonne dell’ortodossia come la Finlandia e l’Olanda.

E’ vero che gli ultimissimi dati  mostrano una Francia che non riesce a condividere il generale miglioramento europeo. La gran parte degli osservatori, incluso il Fondo Monetario Internazionale, attribuiscono questa recente debolezza alle politiche di austerità. Ma ora il Signor Hollande  ha reso pubblici i suoi programmi per cambiare l’indirizzo della Francia – ed è difficile evitare una sensazione di sconforto.

Perché il Signor Hollande, nell’annunciare la sua intenzione di ridurre le tasse sulle imprese e contemporaneamente di tagliare una non meglio specificata  spesa pubblica per bilanciare i costi, ha dichiarato: “E’ sull’offerta che dobbiamo agire”, ed ha ulteriormente dichiarato che “in effetti è l’offerta che crea la domanda”.

Per la miseria! Questo riecheggia, quasi alla lettera, l’errore da lungo tempo smascherato e conosciuto come la “Legge di Say” – la pretesa che cadute generali nella domanda non possano aver luogo, perché le persone devono spendere in qualche modo il loro reddito. Non solo questo non è vero, da un punto di vista pratico è massimamente non vero a partire dal 2014. Tutte le prove dicono che la Francia è inondata di risorse produttive, lavoro come capitale, che se ne stanno inerti a causa di una domanda inadeguata. A conferma, basta soltanto guardare all’inflazione,  che sta velocemente scivolando. In realtà, sia la Francia che l’Europa nel suo complesso si stanno velocemente avvicinando ad una deflazione di modello giapponese.

Dunque, come interpretare il fatto che, proprio di questi tempi, Hollande abbia adottata questa dottrina screditata?

Come ho detto, questo è un segno della condizione patetica del centro-sinistra europeo [2]. Per quattro anni l’Europa è rimasta nella presa della febbre dell’austerità, con i risultati più disastrosi; ora si sta dicendo che l’attuale leggero rialzo  sia da salutare alla stregua di una trionfo della politica. Considerate le difficoltà che queste politiche hanno procurato, ci si sarebbe aspettati che gli uomini politici alla sinistra del centro si fossero energicamente espressi per un cambiamento di indirizzo. Tuttavia dappertutto in Europa, il centro sinistra ha nel migliore dei casi (ad esempio in Inghilterra) offerto critiche deboli e poco convinte, e spesso soltanto atteggiamenti di sottomissione.

Quando Hollande diventò il leader della seconda economia europea, molti di noi sperarono che avrebbe potuto parlar chiaro. Invece è precipitato nella consueta sottomissione – una sottomissione che ora è diventata un collasso intellettuale. E la seconda depressione europea va sempre più avanti.



[1] Una recessione è una situazione economica caratterizzata da un decremento della produzione e dell’occupazione che si prolunga  per un determinato periodo. La valutazione di una situazione economica di recessione avviene con diversi parametri, negli Stati Uniti ed in Europa (a proposito, si può leggere l’articolo tradotto in questo sito  “Quante recessioni europee?” di Jeffrey Frankel, del 17 luglio 2013). Normalmente, da una situazione recessiva si esce con un comprensibile “rimbalzo” (“rebound”), giacché la fine della recessione consente al potenziale produttivo di un paese, di solito quasi intatto, di tornare ad esprimersi ai suoi livelli possibili. Quando questo non accade si ha un “double-dip recession”, letteralmente una “recessione con un duplice avvallamento”, ovvero si hanno due periodi recessivi quasi in sequenza. Il fatto che in Europa la valutazione delle condizioni per una recessione sia fondata su criteri più automatici e meno accurati, può comportare, su piano meramente statistico, di avere più recessioni, quando in realtà si è rimasti dentro lo stesso ciclo recessivo. Ma questo non significa che la situazione sia meno grave, al contrario spesso significa che la recessione dichiarata finita non era ancora terminata. E’ il caso, ad esempio, dell’Italia, la cui caduta apparentemente terminò col primo trimestre del 2009, con una ripresa impercettibile e con una nuova caduta a partire dal terzo trimestre del 2011. In quel caso, con i criteri degli Stati Uniti si sarebbe parlato di una unica prolungata recessione. Si ricordi che, statisticamente, la recessione americana terminò nel 2009.

[2] Tradurre “haplessness” con “condizione patetica” può sembrare un po’ forte; ma si può scegliere da una semplicistica “sfortuna” ad una spererei esagerata “condizione miserabile o disgraziata”.

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