Barry Eichengreen is Professor of Economics and Political Science at the University of California, Berkeley, and a former senior policy adviser at the International Monetary Fund
JAN 13, 2014 2
BERKELEY – The start of 2014 marks ten years since we began fretting about global imbalances, and specifically about the chronic trade and current-account imbalances of the United States and China. A decade later, we can happily declare that the era of global imbalances is over. So now is the time to draw the right lessons from that period.
America’s current-account deficit, which was an alarming 5.8% of GDP as recently as 2006, has now shrunk to just 2.7% of GDP – a level that the US can easily finance from its royalty income and returns on prior foreign investments without incurring additional foreign debt. Even more impressive, China’s current-account surplus, which reached an extraordinary 10% of GDP in 2007, is now barely 2.5% of national income.
There are still a few countries with worrisomely large surpluses and deficits. Germany and Turkey stand out. But Germany’s 6%-of-GDP surplus is mainly a problem for Europe, while Turkey’s 7.4% deficit is mainly a problem for Turkey. In other words, theirs are not global problems.
Back in 2004, there were two schools of thought on global imbalances. The Dr. Pangloss school dismissed them as benign – a mere reflection of emerging economies’ demand for dollar reserves, which only the US could provide, and American consumers’ insatiable appetite for cheap merchandise imports. Trading safe assets for cheap merchandise was the best of all worlds. It was a happy equilibrium that could last indefinitely.
By contrast, adherents of the Dr. Doom school warned that global imbalances were an accident waiting to happen. At some point, emerging-market demand for US assets would be sated. Worse, emerging markets would conclude that US assets were no longer safe. Financing for America’s current-account deficit would dry up. The dollar would crash. Financial institutions would be caught wrong-footed, and a crisis would result.
We now know that both views were wrong. Global imbalances did not continue indefinitely. As China satisfied its demand for safe assets, it turned to riskier foreign investments. It began rebalancing its economy from saving to consumption and from exports to domestic demand.
The US, meanwhile, acknowledged the dangers of excessive debt and leverage. It began taking steps to reduce its indebtedness and increase its savings. To accommodate this change in spending patterns, the dollar weakened, enabling the US to export more. The renminbi, meanwhile, strengthened, reflecting Chinese residents’ increased desire to consume.
There was a crisis, to be sure, but it was not a crisis of global imbalances. Although the US had plenty of financial problems, financing its external deficit was not one of them. On the contrary, the dollar was one of the few clear beneficiaries of the crisis, as foreign investors, desperate for liquidity, piled into US Treasury bonds.
The principal culprits in the crisis were, rather, lax supervision and regulation of US financial institutions and markets, which allowed unsound practices and financial excesses to build up. China did not cause the financial crisis; America did (with help from other advanced economies).
This is not to deny the enabling role of international capital flows. But the flows that mattered were not the net flows of capital from the rest of the world that financed America’s current-account deficit. Rather, they were the gross flows of finance from the US to Europe that allowed European banks to leverage their balance sheets, and the large, matching flows of money from European banks into toxic US subprime-linked securities. Both critics and defenders of global imbalances almost entirely overlooked these gross flows in both directions across the North Atlantic.
The next time that global imbalances develop, analysts will – we must hope – know to look beneath their surface. But will there be a next time? A couple of years ago, forecasters were confident that global imbalances would reemerge once the crisis passed. That now seems unlikely: Neither the US nor China is going back to its pre-crisis growth rate or spending pattern.
Nor are earlier trade balances about to reemerge. America’s trade position will be strengthened by the shale-gas revolution, which promises energy self-sufficiency, and by increases in productivity that auger further re-shoring of manufacturing production.
Emerging markets, for their part, have learned that export surpluses are no guarantee of rapid growth. Nor do large international reserves guarantee financial stability. There are better ways to enhance stability, from strengthening prudential supervision to taxing and controlling destabilizing capital flows and letting the exchange rate adjust.
All of this suggests that the accumulation of foreign reserves by emerging and developing countries – another phenomenon over which much ink has been spilled – may be about to peak. Then it will be just another problem laid to rest.
13 gennaio 2014
Un Requiem per gli squilibri globali
di Barry Eichegreen
BERKELEY – Con l’inizio del 2014 sono dieci anni da quando abbiamo cominciato a preoccuparci degli squilibri globali, ed in particolare dei cronici squilibri commerciali e di conto corrente tra Stati Uniti e Cina. Dieci anni dopo, possiamo felicemente dichiarare che l’epoca degli squilibri globali è passata. E’ dunque il momento di trarre gli insegnamenti opportuni da quel periodo.
Il deficit di conto corrente dell’America, che era un allarmante 5,8% del PIL ancora nel recente 2006, si è ridotto al solo 2,7% del PIL – un livello che gli Stati Uniti possono facilmente finanziare con il loro reddito derivante dai brevetti e con i rendimenti dei principali investimenti all’estero, senza ricorrere a debito estero aggiuntivo. Ancora più impressionante, l’avanzo di conto corrente della Cina, che nel 2007 aveva raggiunto uno straordinario 10% del PIL, è ora appena il 2% del reddito nazionale.
Ci sono ancora pochi paesi con preoccupanti larghi surplus o deficit. Spiccano la Germania e la Turchia. Ma il surplus del 6% del PIL della Germania è principalmente un problema per l’Europa, mentre il deficit del 7,4% della Turchia è principalmente un problema per la Turchia. In altre parole, non sono problemi globali.
Nel passato 2004, c’erano due scuole di pensiero sugli squilibri globali. La scuola del Dr. Pangloss li liquidava come innocui – un mero riflesso della richiesta di riserve di dollari delle economie emergenti, a cui soltanto gli Stati Uniti potevano corrispondere, e dell’insaziabile appetito dei consumatori americani per l’importazione di merci convenienti. Gli assets sicuri sul commercio di merci a buon prezzo era il migliore dei mondi possibili. Era un felice equilibrio che avrebbe potuto durare all’infinito.
All’opposto, i seguaci della scuola del Dr. Sventura mettevano in guardia che gli squilibri globali erano una disgrazia in attesa di manifestarsi. In un qualche momento, la domanda da parte dei mercati emergenti di assets statunitensi sarebbe stata sazia. Peggio, i mercati emergenti sarebbero giunti alla conclusione che gli assets statunitensi non erano più sicuri. Il finanziamento per il deficit di conto corrente dell’America si sarebbe esaurito. Il dollaro sarebbe crollato. Le istituzioni finanziarie si sarebbero messe sulla strada sbagliata e ne sarebbe derivata una crisi.
Sappiamo oggi che entrambi i punti di vista erano sbagliati. Gli squilibri globali non sono proseguiti indefinitamente. Come la Cina ha soddisfatto la sua domanda di assets sicuri, è tornata ai più rischiosi investimenti esteri. Ha cominciato a riequilibrare la sua economia dai risparmi ai consumi e dalle esportazioni alla domanda interna.
Nel frattempo, gli Stati Uniti hanno riconosciuto i pericoli del debito e di un rapporto di indebitamento eccessivo. Hanno cominciato a fare passi per ridurre il proprio indebitamento ed accrescere i risparmi. Per poter collocare questo mutamento in modelli di spesa, il dollaro si è indebolito, consentendo agli Stati Uniti di esportare maggiormente. Di contro, il renminbi si è rafforzato, riflettendo l’accresciuto desiderio dei residenti di consumare.
C’è stata una crisi, è sicuro, ma non è stata una crisi degli squilibri globali. Sebbene gli Stati Uniti abbiano una quantità di problemi finanziari, il finanziamento del loro deficit estero non è stato uno di questi. Al contrario, il dollaro è stato uno dei pochi chiari beneficiari della crisi, dato che gli investitori esteri, ossessionati dalla liquidità, l’hanno riversata nelle obbligazioni del Tesoro americano.
I principali responsabili della crisi sono stati piuttosto la trascurata supervisione e regolamentazione delle istituzioni e dei mercati finanziari degli Stati Uniti, che ha consentito che si diffondessero pratiche insane ed eccessi finanziari. Non è stata la Cina la causa della crisi finanziaria; è stata l’America (con l’aiuto di altre economie avanzate).
Questo non per negare il ruolo condizionante dei flussi dei capitali. Ma i flussi che hanno contato non sono stati i flussi netti di capitale dal resto del mondo che hanno finanziato il deficit di conto corrente dell’America. Piuttosto, sono stati i flussi lordi di finanziamenti dagli Stati Uniti all’Europa che hanno permesso alle banche europee di aumentare il rapporto di indebitamento nei loro equilibri patrimoniali, e, a compenso, gli ampi flussi di denaro dalle banche europee in cambio di titoli tossici dipendenti dai mutui subprime. Sia i critici che i difensori degli squilibri globali avevano quasi interamente sottovalutato questi flussi lordi in entrambe le direzioni attraverso il Nord Atlantico.
La prossima volta che si svilupperanno squilibri globali, gli analisti – si spera – sapranno guardar meglio al di sotto della superficie. Ma ci sarà una prossima volta? Un paio d’anni fa, i previsori erano fiduciosi che gli squilibri globali sarebbero riemersi una volta che la crisi fosse alle spalle. Oggi sembra improbabile: né gli Stati Uniti né la Cina stanno tornando ai loro ritmi di crescita o ai loro modelli di spesa precedenti alla crisi.
Né stanno riemergendo i precedenti equilibri commerciali. La posizione del commercio dell’America sarà rafforzata dalla rivoluzione del combustibile da scisti bituminose, che annuncia una autosufficienza energetica, e dagli incrementi di produttività che preparano il terreno [1] a ulteriori rientri di produzione manifatturiera.
I mercati emergenti, dalla loro parte, hanno imparato che i surplus nelle esportazioni non sono una garanzia di crescita rapida. Ed ampie riserve internazionali non garantiscono davvero stabilità finanziaria. Ci sono modi migliori per accrescere la stabilità, dal potenziamento delle supervisioni cautelative alla tassazione ed al controllo di flussi destabilizzanti di capitali e al consentire le correzioni del tasso di cambio.
Tutto questo suggerisce che la accumulazione di riserve straniere da parte dei paesi emergenti e in sviluppo – un altro fenomeno per il quale è stato versato molto inchiostro – può essere al suo culmine. Dopodiché esso sarà semplicemente un altro problema da scaricare sugli altri.
[1] “Auger” (“trivella, succhiello”) in realtà dovrebbe essere solo un sostantivo … Suppongo qua sia utilizzato come un verbo, giocando con la similitudine con la tecnologia delle scisti bituminose, che dovrebbe consistere nel trivellare le rocce con getti d’acqua.
By mm
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