Marek Belka, a former prime minister of Poland and former Director of the European Department of the International Monetary Fund, is President of the National Bank of Poland.
FEB 7, 2014 1
WARSAW – The European Union’s new member states from Central and Eastern Europe are required to join the eurozone as part of their accession agreements. But deciding when to adopt the euro is a matter of heated debate.
At stake is not just an economic calculation, but also a judgment about the outlook of the single currency itself. For many, the benefits of membership have diminished since the financial crisis, and prospective members, such as Poland, can derive maximum advantage from joining only if they are clear about the economic conditions that must first prevail in their own countries.
The formal criteria for entry are contained in the 1992 Maastricht Treaty, which sets targets for government debt, budget deficits, inflation, interest rates, and exchange rates. But merely hitting these targets (or, worse, just approaching them) at any given point in time has proved to be an inadequate foundation for membership. Indeed, the malleability of the Maastricht criteria has caused many of the eurozone’s problems. As long as eurozone debts continue to rise and member economies diverge rather than converge, prospective members should also be stress-tested to see if they can withstand external shocks and sustain the membership criteria over the long term.
Before Poland decides to share a currency with its main trading partners, it should consider three vital economic conditions: its international competitiveness, the flexibility of its labor market, and the health of its public finances.
Poland’s export markets are growing steadily. But this is not because the country trades mainly with other dynamic emerging economies, or because there is huge global demand for uniquely Polish products. Rather, Poland simply combines low costs (including wages) and high-quality production. For this reason, Poland is sometimes called the “China of Europe.”
But competitiveness based on cost, rather than brand value or innovation, makes the Polish economy vulnerable. Poland lacks the deeply rooted competitiveness of, say, Germany, the Netherlands, Austria, Sweden, or Switzerland. Polish exports are sold under non-Polish names (Italian for shoes, for example, or English for clothing). Its machinery exports are part of larger multinational networks run by German, Dutch, or other global companies. And Poland’s cost advantage would disappear if the złoty were to strengthen sharply.
Although Polish companies are working hard to build brands abroad, this can take decades. In the meantime, the country must be careful about joining the exchange rate mechanism (ERM II) – the narrow band within which applicant currencies must operate for at least two years prior to adopting the euro. Doing so could cause the złoty to strengthen, as it did to the Slovak koruna, and wipe out Poland’s competitive advantage.
Another important aspect of Poland’s competitiveness is its flexible labor market. One in four employees is on a fixed-term contract or self-employed. A quarter of the typical Polish wage comprises variable elements, making it easy to freeze, or even lower, compensation during tougher economic times. This means that firms can hire workers on short-term contracts when they are unsure of the business outlook; more generally, such flexibility helps the economy withstand external shocks.
But flexible labor markets have disadvantages, too. Companies tend not to invest in talent or develop new skills, and the quality of existing skills can suffer. In the longer run, flexible labor markets also increase structural unemployment and fuel the informal economy.
Furthermore, shortages in Poland’s residential rental market restrict workers’ ability to move to where the jobs are. Arguably, Poland’s labor market is more akin to Spain’s than that of Scandinavia, where generous social protection allows for extensive employee training.
Finally, Poland needs sound public finances – that is, fiscal space for automatic stabilizers during economic crises. By saving money for hard times, the government can implement countercyclical measures, while ensuring stable finances throughout the economic cycle.
Such a policy was successfully implemented in 2009 and 2010, but the government lacked the funds it needed when economic conditions subsequently deteriorated. Sound public finances require not only low public debt, but also appropriate budgetary policy, which includes cutting spending (or raising taxes) during boom times, not during downturns, as was recently the case.
Broad-based competitiveness, truly flexible labor markets, and prudent budgeting are not beyond Poland’s reach. In each case, there are other national examples to emulate: Switzerland’s competitiveness, Denmark’s labor markets, and Estonia’s public finances, for example. Before Poland joins the eurozone, its economic policy should be directed toward these three criteria of long-term economic success.
I test polacchi dell’eurozona
di Marek Belka
7 febbraio 2014
VARSAVIA – Ai nuovi Stati membri dell’Unione Europea viene richiesto di aderire alla zona euro come condizione dei loro accordi di ingresso. Ma decidere quando adottare l’euro è motivo di un acceso dibattito.
E’ in gioco non solo un calcolo economico, ma anche un giudizio sulle prospettive della stessa valuta unica. Secondo molti, i benefici sono diminuiti dal momento della crisi finanziaria, e le prospettive di membri come la Polonia possono trarre massimo vantaggio dalla adesione solo se essi sono chiari sulle condizioni economiche che anzitutto debbono prevalere nei loro stessi paesi.
I criteri formali per l’ingresso sono contenuti nel Trattato di Maastricht del 1992, che definisce gli obbiettivi per i debiti pubblici, i deficit di bilancio, l’inflazione, i tassi di interesse ed i tassi di cambio. Ma il semplice raggiungimento di questi obbiettivi in un qualche dato momento (o peggio, solo l’avvicinarsi ad essi) si è dimostrato essere un fondamento inadeguato per la appartenenza. In effetti, la malleabilità dei criteri di Maastricht ha provocato molti dei problemi dell’eurozona. Finché i debiti della zona euro continuano a crescere e le economie che la compongono divergono piuttosto che convergere, i membri eventuali dovrebbero essere accuratamente verificati per vedere se sono anche nelle condizioni di resistere agli shock esterni e di reggere i criteri di appartenenza nel lungo periodo.
Prima che la Polonia decida di far parte di una valuta con i suoi principali partners commerciali, dovrebbe considerare tre vitali condizioni economiche: la sua competitività internazionale, la flessibilità del suo mercato del lavoro e la salute dei suoi conti pubblici.
I mercati delle esportazioni polacche stanno crescendo stabilmente. Ma questo non perché il paese commerci principalmente con altre dinamiche economie emergenti, o perché ci sia una vasta domanda globale per prodotti polacchi esclusivi. Piuttosto, la Polonia semplicemente combina bassi costi (salari compresi) e produzioni di alta qualità. Per questa ragione, la Polonia è talvolta chiamata “la Cina d’Europa”.
Ma la competitività basata sui costi, anziché sul valore dei marchi e dell’innovazione, rende l’economia polacca vulnerabile. La Polonia manca di una competitività con radici profonde come quelle, ad esempio, della Germania, dell’Olanda, dell’Austria, della Svezia o della Svizzera. Le esportazioni polacche sono vendute sotto nomi non polacchi (italiani per le scarpe, ad esempio, o inglesi per i vestiti). Le sue esportazioni di macchinario sono parti di più ampie reti multinazionali tedesche, olandesi o di altre società globali. Ed il vantaggio sui costi della Polonia scomparirebbe se lo złoty dovesse bruscamente rafforzarsi.
Sebbene le imprese polacche stiano lavorando duramente per costruire marchi all’estero, questo può richiedere decenni. Nel frattempo, il paese deve essere scrupoloso nell’aderire al ‘meccanismo del tasso di cambio’ (ERM II) – la banda stretta all’interno della quale le valute candidate debbono operare per almeno due anni prima di adottare l’euro. Fare ciò provocherebbe il rafforzamento dello złoty, come è avvenuto per la corona slovacca, e cancellerebbe il vantaggio competitivo della Polonia.
Un altro aspetto della competitività della Polonia è il suo mercato del lavoro flessibile. Un assunto su quattro è a contratto a termine o in proprio. Un quarto del salario tipico polacco comprende elementi variabili, che rendono semplice il congelamento, o anche l’abbassamento, dei compensi durante periodi più duri dell’economia. Questo significa che le imprese possono assumere lavoratori con contratti a breve termine quando sono insicure della prospettiva economica; più in generale, una tale flessibilità aiuta l’economia a sopportare gli shock esterni.
Ma i mercati del lavoro flessibili hanno anche svantaggi. Le imprese tendono a non investire nei talenti o a non sviluppare nuove professionalità, e la qualità delle competenze esistenti può soffrirne. Nel più lungo periodo, mercati del lavoro flessibili possono anche accrescere la disoccupazione strutturale ed alimentare economie informali.
Inoltre, le ristrettezze del mercato degli affitti degli alloggi in Polonia diminuiscono la possibilità per i lavoratori di spostarsi dove sono i posti di lavoro. Probabilmente, il mercato del lavoro della Polonia è più affine a quello della Spagna che a quello dei paesi scandinavi, dove una generosa rete di protezione sociale consente un esauriente addestramento degli assunti.
Infine, la Polonia ha bisogno di finanze pubbliche sane – ovvero, dello spazio finanziario per gli stabilizzatori automatici durante le crisi economiche. Risparmiando denaro per i tempi difficili, il Governo può implementare misure anticicliche, nel mentre si assicura finanze stabili nel corso del ciclo economico.
Una tale politica è stata con successo applicata nel 2009 e nel 2010, ma al Governo sono mancati i finanziamenti di cui aveva bisogno quando le condizioni economiche si sono successivamente deteriorate. Finanze pubbliche sane richiedono non soltanto un basso debito pubblico, ma anche una appropriata politica di bilancio, che include tagli alle spese (o incrementi fiscali) durante i periodi di espansione e non durante i periodi di declino, come è successo recentemente.
Una competitività con basi più ampie, mercati del lavoro realmente flessibili e politiche di bilancio prudenti non sono oltre la portata della Polonia. In ogni caso, ci sono altri esempi nazionali da imitare: la competitività della Svizzera, i mercati del lavoro della Danimarca e le finanze pubbliche dell’Estonia, ad esempio. Prima che la Polonia aderisca alla zona euro, la sua politica economica dovrebbe perseguire questi tre esempi di successo economico nel lungo periodo.
By mm
E' possibile commentare l'articolo nell'area "Commenti del Mese"