Blog di Krugman

L’anniversario dello ‘stimulus’ (18 febbraio 2014)

 

Feb 18, 2:57 pm

The Stimulus Anniversary

Lots of discussion around the fifth anniversary of the Recovery Act. I don’t have time for an extended discussion today, but my quick verdict remains the same as it was right from the beginning: this was a plan that did considerable economic good but considerable political harm.

The economic good was straightforward: everything we have seen since 2009 confirms that expansionary fiscal policy is expansionary, contractionary fiscal policy is contractionary. There is every reason to believe that the Recovery Act boosted GDP and employment while it was in effect relative to what would have happened without it.

The political harm came mainly from the fact that the ARRA was too small and too short-lived to do the job, but partly also from a serious mistake in the way the administration sold it.

There’s a widespread canard against those of us who said that the ARRA was too small — namely, that we were only making excuses after the fact. No, we weren’t — people like Joe Stiglitz and I warned right from the beginning that the thing was way too small, and that there would be serious political economy damage as a result. Me on January 6, 2009:

I see the following scenario: a weak stimulus plan, perhaps even weaker than what we’re talking about now, is crafted to win those extra GOP votes. The plan limits the rise in unemployment, but things are still pretty bad, with the rate peaking at something like 9 percent and coming down only slowly. And then Mitch McConnell says “See, government spending doesn’t work.”

Let’s hope I’ve got this wrong.

Alas, I wasn’t wrong.

You can argue that there was no way the administration could have gotten a bigger plan. Actually, they could have used reconciliation to bypass the 60-vote hurdle; but that was considered too radical. And why was it considered too radical? I’d argue that it was in part because the administration had a wrong theory about the recession, which also wreaked havoc with the selling of the plan.

The notorious Romer-Bernstein forecast of the ARRA’s impact is notorious because it predicted a quick return to full employment, which didn’t happen. But it didn’t say that this quick recovery would happen because of the stimulus — in fact, it predicted a quick recovery even without the stimulus. The ARRA’s role was limited to shaving off the peak in unemployment, then getting out of the way as a natural bounceback took hold.

So underlying this forecast was the view that the economy would come roaring back once the financial crisis had been stabilized.

This was never plausible if you knew history — not just the history of financial crises, but the history of the post-1990 US business cycle. Worse, the administration clearly failed to consider the political economy consequences if the quick-recovery view proved wrong.

All of this is water long under the bridge. But it’s probably worth reminding ourselves why some of us were tearing our hair out in early 2009.

 

L’anniversario dello ‘stimulus’

 

Un gran dibattito attorno al quinto anniversario del Recovery Act. Oggi non ho tempo per una prolungata discussione, ma in mio giudizio in breve resta quello che fu sin dall’inizio: quello è stato un programma che ha portato considerevoli benefici economici ma un considerevole danno politico.

Il beneficio economico fu inequivocabile: tutto ciò che abbiamo visto a partire dal 2009 conferma che le politiche espansive della finanza pubblica sono espansive, quelle restrittive sono restrittive. Ci sono tutte le ragioni per credere che il Recovery Act sostenne il PIL e l’occupazione, finché lo si considera in effetti in relazione con quello che sarebbe successo senza di esso.

Il danno politico venne principalmente dal fatto che la legge sulla ripresa e sui nuovi investimenti fu troppo piccola e di troppo breve durata per assolvere al suo scopo, ma in parte anche per un serio errore del modo in cui la Amministrazione la fece accettare.

C’è una diffusa balla contro quelli tra noi che sostennero che la legge era troppo modesta – precisamente, che noi staremmo solo accampando scuse a cose fatte. Non facemmo questo – persone come Joe Stiglitz e il sottoscritto misero in guardia sin dall’inizio che era una soluzione troppo piccola, e che si sarebbe stato come conseguenza un serio danno politico. Il sottoscritto, il 6 gennaio del 2009:

“Vedo il seguente scenario: un debole programma di sostegno, forse persino più debole di quello di cui si è parlato sino a questo punto, è fatto per convincere quei voti aggiuntivi del Partito Repubblicano. Il programma limita la crescita della disoccupazione, ma le cose restano abbastanza negative, con il tasso che arriva a toccare qualcosa come il 9 per cento e scende solo lentamente. E a quel punto Mitch McConnell dice ‘Vedete, la spesa pubblica non funziona.’

Speriamo che abbia torto.”

Ahimè, non avevo torto.

Si può sostenere che non c’era modo per la amministrazione per far approvare un programma più ampio. In effetti, avrebbe potuto utilizzare l’istituto della ‘riconciliazione’ per aggirare l’ostacolo del 60 per cento dei voti [1]; ma quello fu considerato troppo radicale. E perché era considerato troppo radicale? Suppongo che in parte dipendesse dal fatto che la amministrazione aveva una teoria sbagliata sulla recessione, che peraltro creò un serio danno anche azione di convincimento attorno al programma.

La famigerata previsione Romer-Bernstein sull’impatto della legge è famigerata perché aveva previsto un rapido ritorno alla piena occupazione, che non avvenne. Ma essa non diceva che questa rapida ripresa ci sarebbe stata per effetto dello stimolo – di fatto, prevedeva una rapida ripresa anche senza lo stimolo. Il ruolo della legge sulla ripresa e sul reinvestimento fu limitato a limare il picco della disoccupazione, esso sarebbe poi stato reso inutile dal prender piede di una naturale ripresa.

Implicito in questa previsione c’era dunque il punto di vista secondo il quale l’economia sarebbe tornata a ruggire una volta che la crisi finanziaria si fosse stabilizzata.

Questo non era affatto plausibile se si fosse conosciuta la storia – non solo la storia delle crisi finanziarie, ma quella del ciclo economico statunitense dopo il 1990. Peggio ancora, la Amministrazione chiaramente non seppe valutare le conseguenze sul piano della politica economica, una volta che la rapida ripresa si fosse mostrata sbagliata.

Tutta questa è acqua che da tempo è passata sotto i ponti. Ma probabilmente merita riportare alla memoria che alcuni di noi agli inizi del 2009 si strappavano i capelli.



[1] Si tratta di una regola del Senato americano, in parte successivamente modificata, secondo la quale un ostruzionismo senza limiti di tempo poteva essere superato solo disponendo del 60% dei voti dei senatori, con i quali si poteva imporre la chiusura della discussione (tramite la cosiddetta “cloture”, ovvero la mozione di interruzione del dibattito). Poiché quella non era la condizione della maggioranza democratica ai tempi della prima amministrazione Obama, il pericolo di ostruzionismo era apparentemente insuperabile. In effetti la soluzione avrebbe potuto essere quella di trasferire il tema nella fase finale dei provvedimenti di bilancio controversi, definita fase di “riconciliazione”. A quel punto, per i provvedimenti di natura finanziaria, non valeva più quell’obbligo di una maggioranza del 60 per cento e il programma avrebbe potuto essere approvato, senza ostruzionismo, a maggioranza semplice.

By


Commenti dei Lettori (0)


E' possibile commentare l'articolo nell'area "Commenti del Mese"