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L’esclusione di tutto quello che non è sofisticato (per esperti) (blog di Krugman, 9 febbraio 2014)

 

February 9, 2014, 7:57 pm

The Excluded Middlebrow (Wonkish)

Simon Wren-Lewis protests against the division some of us (me included) have suggested between New Keynesians, or maybe New New Keynesians trying to revise their models to keep up with the financial crisis, and New Old Keynesians who are skeptical about the microfoundations imperative. He insists that the important divide is between Keynesians and anti-Keynesians, who aren’t expressing so much a theory as an ideology.

I see his point, and agree that this is by far the most important division both within the profession and among policymakers. But I think there’s more to this.

First, there are a lot more anti-Keynesians than Wren-Lewis seems willing to acknowledge. Real business cycle types may seemingly share a common language with New Keynesians — but when push came to shove, just about all of them ended up arguing not just that fiscal stimulus was a bad idea but that it couldn’t work in principle. New Keynesians, it turned out, were deluding themselves into believing that they were part of a discussion, when in fact their efforts to win some respect from the new classicals and avoid their giggles and whispers had accomplished nothing.

Or to put it differently, using some of the same equations doesn’t mean that you share anything in terms of underlying economic philosophy, or that any actual communication is taking place.

Second, there is a real cost to the dominance of micro-founded models; I don’t think Wren-Lewis would disagree, but I probably think that it’s a bigger cost than he does. I’d put it this way: the effect of the insistence that everything involve intertemporal optimization has been to drive out middlebrow economic modeling.

It used to be that someone who wanted to make sense of real-world phenomena could sketch out a rough, ad hoc model derived from plausible behavioral assumptions, and use that model to shape the interpretation of empirical results. These days, however, you’re not allowed to publish stuff like that. You can publish the empirical work, maybe. But there are only two ways you’re allowed to interpret it: either you restrict yourself to a more or less vague verbal exposition, which avoids getting you in trouble, or you have to lay out the full intertemporal Monty, which often ends up detracting from the point.

A couple of examples: there’s quite strong empirical evidence that multipliers at the zero bound are more than one — and it’s possible to get that result in an NK model, but only at the cost of making it pretty unwieldy. Or think about secular stagnation: have there been any NK models of that idea yet? I think I see some ways to do it (hey, I’m pretty good at this when I need to be), but it will be a pain, and people will fixate on the implausible details. Meanwhile, the discussion so far is almost entirely in terms of informal exposition, because the IS-LM-ish middlebrow models that are natural in this context are no longer considered respectable.

So my argument would be that in important ways the New Keynesian style, with its insistence on (a particular form of) rigor has actually lowered the level of discourse, by making it non-respectable to use middlebrow models even in contexts where they are probably the best way to go.

That view, I think, defines what I mean by Neopaleo Keynesianism. I want my ad hockery back — not as an exclusive approach, but as a permissible one. And that’s not a small thing, given the almost total exclusion of middlebrow modeling from academic macro for the past three decades.

 

L’esclusione di tutto quello che non è sofisticato [1](per esperti)

 

 

Simon Wren-Lewis protesta contro la divisione che alcuni di noi (me compreso) hanno suggerito tra neo keynesiani, o forse neo-neo keynesiani che cercano di rivedere i loro modelli per tenersi al passo con la crisi finanziaria, e neo paleo keynesiani che sono scettici sull’imperativo dei fondamenti micro dell’economia. Egli ribadisce che la divisione importante è quella tra keynesiani ed anti-keynesiani, i quali ultimi non esprimono tanto una teoria quanto una ideologia.

Capisco il suo punto di vista, e concordo che quella sia di gran lunga la divisione più importante, sia all’interno della disciplina che tra gli operatori politici. Ma penso che ci sia più di questo.

In primo luogo, ci sono molti più antikeynesiani di quelli che Wren-Lewis sembra voler riconoscere. Gli individui della teoria del ciclo economico reale può sembrare che condividano con i neo keynesiani un linguaggio comune – ma quando si viene al punto, proprio quasi tutti loro finiscono col sostenere che non solo le misure di sostegno della spesa pubblica sono una cattiva idea, ma che non possono funzionare in via di principio. I neokeynesiani, si scopre, si erano illusi essi stessi nel credere di far parte della discussione, quando di fatto i loro sforzi per ottenere un qualche rispetto da parte dei neoclassici ed evitare i loro risolini e sussurri [2] non avevano portato a niente.

Oppure, per dirla diversamente, utilizzare un po’ delle stesse equazioni non significa avere qualcosa in comune in termini di filosofia economica ispiratrice, o che si sia determinata una qualche effettiva forma di comunicazione.

In secondo luogo, c’è un prezzo reale nel dominio dei modelli con fondamenti microeconomici: non penso che Wren-Lewis sarebbe in disaccordo, ma io probabilmente penso che quel prezzo sia maggiore di quanto non pensi lui. Direi così: l’effetto dell’insistenza per la quale ogni cosa comporta una ottimizzazione intertemporale è stato quello di scacciare tutte le forme di modellazione economica non troppo sofisticate.

Accadeva nel passato che qualcuno che voleva dare un senso ai fenomeni del mondo reale poteva abbozzare un sommario modello ad hoc derivato da assunti di comportamento plausibili, ed usare quel modello per dare una forma di interpretazione ai risultati empirici. Di questi tempi, tuttavia, non è consentito pubblicare roba di questo genere. Forse, potete pubblicare lavori empirici. Ma ci sono solo due modi nei quali vi è permesso di interpretarli: o vi limitate ad una esposizione verbale più o meno vaga, con il che evitate di finire nei guai, oppure dovete stendere in tutti i modi una modellazione intertemporale [3], che spesso finisce col distogliervi dal punto che vi interessava.

Un paio di esempi: c’è una prova empirica abbastanza forte che i moltiplicatori nella condizione dei tassi di interesse al limite dello zero valgono più di uno [4] – ed è possibile ottenere quel risultato in un modello neokeynesiano, ma solo al prezzo di renderlo abbastanza ingombrante. Oppure si pensi alla stagnazione secolare: c’è ancora stato alcun modello neokeynesiano corrispondente a quell’idea? Penso di potere individuare alcuni modi per farlo (ehi, quand’è necessario sono abbastanza bravo in queste cose), ma sarebbe una sofferenza, e la gente finirebbe per intestardirsi su dettagli poco rilevanti. Nel frattempo, la discussione sino a questo punto è quasi interamente nei termini di una esposizione informale, perché i modelli non sofisticati del genere di IS-LM, che sono naturali in questo contesto, non son più considerati rispettabili.

Dunque, il mio argomento sarebbe che, in modi importanti, lo stile neokeynesiano, con la sua insistenza su (una particolare forma di) rigore ha effettivamente abbassato il livello del confronto, rendendo non rispettabile l’utilizzo di modelli di media cultura anche in contesti nei quali essi erano probabilmente il modo migliore per procedere.

Quel punto di vista, penso, definisce quello che intendo con neo paleo keynesismo. Rivoglio le mie ricerche ad hoc – non come un approccio esclusivo, ma almeno ammissibile. E questa non è una cosa da poco, considerata la quasi totale esclusione dei modelli non sofisticati dalla macroeconomia accademica dei trent’anni passati.



[1] “Middlebrow” significa “di media cultura” o anche “conformista”; ma in questo caso si intende qualcosa che cerca di utilizzare metodologie semplici ma utili, non inutilmente sofisticate.

[2] L’espressione sui “risolini e bisbigli” risale a Robert Lucas, che aveva in passato decretato che quella era ormai la accoglienza che negli ambienti accademici veniva riservata alle teorie keynesiane.

[3] Credo che K. scriva “full Monty” con la “m” maiuscola, per un ironico riferimento al famoso film di Uberto Pasolini del 1997, che in italiano venne tradotto con “Squattrinati organizzati” (ma per fortuna venne anche lasciata l’espressione inglese originaria). Il termine ha origini controverse, ed il significato che ha assunto lo potremmo tradurre con “Tutto quello che ci vuole”. Il film utilizzava quella espressione per rappresentare la storia di due proletari britannici che si risolvono a fare gli spogliarellisti per rimediare al loro collasso economico, peraltro con notevole successo. Probabilmente, in questo caso K. utilizza la maiuscola in riferimento a quel film, ed alla necessità – nel paragone con gli economisti ‘empirici’ di cui sta parlando – di fare proprio di tutto per essere accolti dalla cultura accademica.

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[4] Il tema del valore del moltiplicatore nella situazione di crisi in corso, ha nel recente passato assunto un significato anche politico di prima grandezza, quando il FMI ha riconosciuto che misurare gli effetti dell’austerità utilizzando una stima del moltiplicatore inferiore alla unità poteva aver indotto a notevoli abbagli nella previsione degli effetti negativi della diminuzione della spesa pubblica sulle economie. Questo, ad esempio, fu il caso delle previsioni sull’andamento dell’economia greca, dove si sottovalutarono fortemente tali effetti, che pure erano stati posti alla base dei ‘diktat’ della cosiddetta Troika.

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