Blog di Krugman

Perché preoccuparsi di quanto lavorano gli altri? (10 febbraio 2014)

 

February 10, 2014, 11:00 am

Why Do You Care How Much Other People Work?

The brouhaha over the CBO report – I don’t want to call it a debate, because that would suggest that people on both sides are making sense, or even listening – continues. But there is a massive lack of clarity. This is, no doubt, in large part because incoherence serves the interests of some parties. But I think there’s also some genuine intellectual confusion that might, for a few players at least, actually be reduced by careful analysis.

So let me try this, by asking: why should anyone be upset if some workers take advantage of Obamacare to reduce their working hours, or even drop out of the labor force? That’s a real question, by the way, not a rhetorical one. There are, it turns out, some reasons to be concerned, although they’re much weaker than the rhetoric would lead you to believe.

It helps, I’d argue, if you think of the American population as comprising two groups: those who receive subsidies toward their health insurance and those who don’t – the subsidized and the subsidizers. In reality these categories are arguably a bit more complex than a mere matter of monetary transfers, since Obamacare also in effect subsidizes those in poor health by charging them the same premiums as the healthy. But I don’t think this changes the point.

So, we know that Obamacare has costs to the subsidizers, in the form of the subsidies that must be paid – about 0.9 percent of GDP — and that eventually must be reflected in higher taxes or lower spending than would otherwise take place. These subsidies correspondingly represent benefits to the subsidized; yes, Virginia, it’s redistribution, although many people who end up subsidizing rather than subsidized were at risk of being on the other side, and will therefore gain from the insurance aspect.

The question, however, is how those costs and benefits are affected if a significant number of the subsidized take advantage of their new freedom from health insurance fear to reduce hours or leave the work force.

For those who choose to work less, this is a clear gain – otherwise they wouldn’t do it! It’s likely to be especially beneficial because our pre-Obamacare system created so much “job lock”, trapping people in full-time employment because health insurance was an all-or-nothing affair.

What about the subsidizers? Don’t say that it’s obvious that they are hurt – remember, we’re talking about additional costs over and above the cost of the subsidies.

You might say that by withdrawing their labor, subsidized workers reduce the overall size of the economic pie, which is true. However, they also take a smaller share of the economic pie, because they earn less in wages and salaries. And if you believe to a first approximation in the marginal productivity theory of income distribution (as free-market advocates should), this means that the reduction in GDP from reduced labor input should be approximately equal to the reduced wages of those working less. In other words, the amount left over for everyone else should be unchanged. Why do you care how much other people work?

OK, what’s wrong with this story? The answer is that it’s a story about pre-tax wages. When someone chooses to work less, he or she imposes a hidden cost on everyone else, because he or she ends up paying less in taxes – or in some cases gets to collect more in means-tested benefits.

How big is this effect? I argued in an earlier post that if we believe the CBO estimate, labor withdrawal should reduce GDP by slightly over 0.5 percent. If we assume a marginal tax rate of 40 percent for the relevant workers (which seems in the ballpark for ordinary workers in the 15 percent bracket, paying 15 percent payroll tax, and some state and local taxes on top), this is a bit over 0.2 percent of GDP.

So yes, reduced labor supply adds modestly to the true cost of health reform, although it also adds to the benefits. But the key word is “modestly”.

Why, then, are the usual suspects so incensed? Partly because they don’t understand any of this. Beyond that, there’s a moralistic streak: people should be forced to work, for their own good, you see (are there no poorhouses?). And of course, there’s the underlying rage that a disproportionate share of the beneficiaries (though by no means a preponderance) will be Those People.

But when you take paternalism and prejudice out of the picture, what you’re left with is some pretty prosaic economics. Should you care how much other people work? Yes, a little – but not so much that it should change anyone’s views about health reform.

 

Perché preoccuparsi di quanto lavorano gli altri?

 

Il chiacchiericcio sul rapporto del CBO – non lo voglio chiamare un dibattito, che indicherebbe persone che da entrambi gli schieramenti dicono cose sensate, o anche ascoltano – continua. Ma c’è una enorme mancanza di trasparenza. In larga parte, non c’è dubbio, perché l’incoerenza fa il gioco di alcune fazioni. Ma penso che ci sia anche una qualche genuina confusione intellettuale, che potrebbe, almeno da parte di alcuni protagonisti, essere ridotta con una analisi scrupolosa.

Lasciatemi dunque fare una prova, chiedendo: perché ci dovrebbe essere chi resta turbato dal fatto che ci sono alcuni lavoratori che si avvantaggiano della riforma della assistenza di Obama per ridurre il loro orario di lavoro, o persino per uscire dalla forza di lavoro? Tra l’altro, è una domanda vera, non è retorica. Viene fuori che ci sono alcune ragioni per essere preoccupati, sebbene sono assai più fragili di quello che la propaganda vi indurrebbe a credere.

Penso che sia d’aiuto pensare alla popolazione americana come se si dividesse due gruppi: coloro che ricevono sussidi a favore della loro assicurazione sanitaria e coloro che non li ricevono – i sussidiati ed i sussidianti. In realtà queste categorie sono verosimilmente un po’ più complesse che una mera questione di trasferimenti monetari, dato che la riforma di Obama in effetti aiuta chi ha una salute malferma, dato che impone loro gli stessi premi assicurativi di coloro che sono in buona salute. Ma non penso che questo cambi la sostanza.

Dunque, noi sappiamo che la riforma dell’assistenza di Obama ha costi per i sussidianti, nella forma di  sussidi che devono essere pagati – circa lo 0,9 per cento del PIL – e che alla fine saranno riflessi in tasse più alte oppure in minore spesa pubblica che altrimenti ci sarebbe stata. Questi sussidi di conseguenza rappresentano i benefici dei sussidiati; sì, Virginia, si tratta di redistribuzione, sebbene alcune persone che finiscono col sussidiare anziché coll’essere sussidiate rischiavano di finire dall’altra parte, e di conseguenza ci guadagneranno, per l’aspetto della assicurazione [1].

La domanda, tuttavia, è come questi costi e questi vantaggi sono influenzati da un significativo numero di sussidiati che si avvantaggiano per l’essersi liberati dalla paura della assicurazione sanitaria al punto di ridurre le ore di lavoro o di lasciare le forze di lavoro.

Per coloro che scelgono di lavorare meno, questo è chiaramente un vantaggio – altrimenti non lo farebbero! E’ probabile che sia particolarmente vantaggioso perché il nostro sistema precedente alla riforma della assistenza di Obama aveva costretto molti a restare prigionieri di un posto di lavoro, intrappolati in una occupazione a tempo pieno perché l’assicurazione sanitaria era un meccanismo del genere ‘o-tutto-o-niente’.

Che dire dei sussidianti? Non si dica che è naturale che essi siano danneggiati – si ricordi, stiamo parlando di costi addizionali in aggiunta al costo dei sussidi.

Si potrebbe dire che ritirando il loro lavoro, i lavoratori sussidiati riducono la quota complessiva della torta economica, il che è vero. Tuttavia, essi si appropriano anche di una quota minore della torta economica, perché guadagnano meno in stipendi e salari. E se in prima approssimazione credete nella teoria della produttività marginale della distribuzione del reddito (come dovreste, in quanto sostenitori del libero mercato) questo significa che la riduzione del PIL derivante dall’input del lavoro ridotto dovrebbe essere approssimativamente eguale ai compensi ridotti di coloro che lavorano di meno. In altre parole, la quantità che rimane su tutti gli altri dovrebbe essere immutata. Perché preoccuparvi tanto del lavoro degli altri?

Dunque, cosa c’è di sbagliato in questa storia? La risposta è che il racconto riguarda i compensi prima delle tasse. Quando qualcuno sceglie di lavorare di meno, costui, uomo o donna che sia,  impone un costo nascosto su qualcun altro, perché finisce col pagare di meno in tasse – o in certi casi col poter ricevere di più in sussidi che dipendono dagli accertamenti dei redditi più bassi.

Quanto è grande questo effetto? Ho sostenuto in un post precedente che se crediamo alle stime del CBO, la rinuncia a quote di lavoro dovrebbe ridurre il PIL leggermente di più dello 0,5 per cento. Se assumiamo una aliquota fiscale marginale del 40 per cento per i lavoratori interessati (che sembra appropriata per i normali lavoratori nello scaglione del 15 per cento, che pagano un 15 per cento di tasse sugli stipendi e al massimo qualche tassa statale e locale), il risultato è un po’ sopra lo 0,2 per cento del PIL.

Dunque, sì, una ridotta offerta di lavoro aumenta modestamente il costo effettivo della riforma sanitaria, per quanto esso si aggiunga anche ai sussidi. Ma la parola chiave è “modestamente”.

Perché dunque i soliti noti sono così furibondi? In parte perché non riescono a capire niente di tutto questo. Oltre a ciò, c’è una vena di moralismo: sapete, le persone dovrebbero essere costrette a lavorare, per il loro bene (non ci sono gli ospizi per i poveri?). E, naturalmente, c’è la rabbia implicita secondo la quale una quota più che proporzionale di beneficiari (sebbene in nessun modo una quota preponderante) sarebbe composta da “Quella Gente [2]”.

Ma quando si toglie il paternalismo ed il pregiudizio dal quadro, quello che resta è un po’ di economia davvero modesta. Dovreste preoccuparvi di quanto lavorano gli altri? Un pochino – ma non così tanto da cambiare il punto di vista sulla riforma sanitaria.



[1] Non trovo una soluzione. Virginia è lo Stato, nel quale è accaduto qualcosa di significativo sotto questo profilo? E’ il nome di una commentatrice? E’ un modo di dire per riferirsi  ad un interlocutore con speciali attitudini o inattitudini? Neanche ho chiaro in che senso molti di coloro che ‘sussidiano’ ci avrebbero guadagnato. Sussidiare, in questo caso, dovrebbe significare essere tra quelli che pagano il costo sociale di un certa rinuncia a lavorare (per le minori entrate fiscali che ne derivano). A meno che non significhi che rischiavano di restare semplicemente non assicurati.

[2] “Quella Gente”, per i conservatori, significa i soliti assistiti, e più precisamente le persone di colore.

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