Blog di Krugman

Situazioni vischiose (7 febbraio 2014)

 

Feb 7, 9:54 am

Sticky Situations

David Glasner has a thoughtful post about wage stickiness, a favorite topic of mine. And he is partially right in suggesting that there has been a bit of a role reversal regarding the role of sticky wages in recessions: Keynes asserted that wage flexibility would not help, but Keynes’s self-proclaimed heirs ended up putting downward nominal wage rigidity at the core of their analysis. By the way, this didn’t start with the New Keynesians; way back in the 1940s Franco Modigliani had already taught us to think that everything depended on M/w, the ratio of the money supply to the wage rate.

That said, wage stickiness plays a bigger role in The General Theory — and in modern discussions that are consistent with what Keynes said — than Glasner indicates.

For one thing, even Keynes said that there were circumstances in which monetary policy could do the job of stabilizing the economy, and that the reason this could work was the stickiness of wages:

During the nineteenth century, the growth of population and of invention, the opening-up of new lands, the state of confidence and the frequency of war over the average of (say) each decade seem to have been sufficient, taken in conjunction with the propensity to consume, to establish a schedule of the marginal efficiency of capital which allowed a reasonably satisfactory average level of employment to be compatible with a rate of interest high enough to be psychologically acceptable to wealth-owners. There is evidence that for a period of almost one hundred and fifty years the long-run typical rate of interest in the leading financial centres was about 5 per cent, and the gilt-edged rate between 3 and 3½ per cent; and that these rates of interest were modest enough to encourage a rate of investment consistent with an average of employment which was not intolerably low. Sometimes the wage-unit, but more often the monetary standard or the monetary system (in particular through the development of bank-money), would be adjusted so as to ensure that the quantity of money in terms of wage-units was sufficient to satisfy normal liquidity-preference at rates of interest which were seldom much below the standard rates indicated above.

That’s not the clearest passage in the world, but Keynes was clearly saying that in the past money mattered because of sticky w. He believed that by his own era the world had entered secular stagnation and a persistent liquidity trap, but that’s a different matter.

But there’s another point: even if you don’t think wage flexibility would help in our current situation (and like Keynes, I think it wouldn’t), Keynesians still need a sticky-wage story to make the facts consistent with involuntary unemployment. For if wages were flexible, an excess supply of labor should be reflected in ever-falling wages. If you want to say that we have lots of willing workers unable to find jobs — as opposed to moochers not really seeking work because they’re cradled in Paul Ryan’s hammock — you have to have a story about why wages aren’t falling.

So sticky wages are an important part of both old and new Keynesian analysis, not because wage cuts would help us, but simply to make sense of what we see.

 

Situazioni vischiose

 

David Glasner pubblica un post riflettuto sulla vischiosità dei salari, uno dei miei temi favoriti. Ed ha in parte ragione nel dire che c’è stato un po’ un rovesciamento di ruolo a proposito della funzione dei salari rigidi nelle recessioni: Keynes pensava che la flessibilità dei salari non avrebbe aiutato, ma i sedicenti eredi di Keynes hanno finito col collocare la rigidità dei salari nominali verso il basso al centro della loro analisi. Per inciso, questo non è cominciato con i neo keynesiani; nei passati anni ’40 Franco Modigliani ci aveva già insegnato a pensare che ogni cosa dipendeva da M/w, il rapporto dell’offerta di moneta con il saggio salariale.

Ciò detto, la vischiosità gioca un ruolo più grande nella Teoria Generale – e nei dibattiti contemporanei che sono coerenti con quello che Keynes disse – rispetto a quello che Glasner indica.

Per un aspetto, persino Keynes sostenne che c’erano circostanze nelle quali la politica monetaria poteva svolgere la funzione di stabilizzare l’economia, e che la ragione per la quale questo poteva funzionare era la rigidità dei salari:

“Durante il diciannovesimo secolo, la crescita della popolazione e delle scoperte, l’aprirsi di nuovi territori, la condizione della fiducia e la frequenza delle guerre, nella media si può dire di ogni decennio, sembra siano state sufficienti, considerate assieme alla propensione al consumo, a stabilire un modello di efficienza marginale del capitale che ha permesso ad un livello medio ragionevolmente soddisfacente di occupazione di essere compatibile con un tasso di interesse sufficiente per essere accettato dai possessori di ricchezza. C’è la prova che per quasi un periodo di centocinquanta anni il tipico tasso di interesse a lungo termine nei centri finanziari di riferimento sia stato attorno al 5 per cento, ed il tasso dei tagli aurei [1]tra il 3 ed il 3,5 per cento; e che questi tassi di interesse siano stati abbastanza modesti da incoraggiare un tasso di investimento coerente con una occupazione media che non è stata intollerabilmente bassa. Talvolta l’unità di salario, ma più spesso lo standard monetario o il sistema monetario (in particolare attraverso lo sviluppo della moneta bancaria), sarebbero state adeguate in modo da assicurare che la quantità di denaro in termini di unità salariali fosse sufficiente a soddisfare la normale preferenza per la liquidità a tassi di interesse che raramente finivano al di sotto dei tassi standard indicati sopra.”

Non sono espressioni tra le più chiare, ma Keynes stava chiaramente dicendo che nel passato la moneta era importante a causa di salari vischiosi. Egli credeva che nell’epoca sua il mondo era entrato in una stagnazione secolare e in una persistente trappola di liquidità, ma questa è una faccenda diversa.

Ma c’è un altro punto: se anche non pensate che la flessibilità dei salari nella attuale situazione sarebbe di aiuto (e come Keynes, io penso che non lo sarebbe), i keynesiani hanno ancora bisogno di una spiegazione del genere di quella della vischiosità dei salari per fare in modo che i fatti siano coerenti con la disoccupazione involontaria. Perché se i salari fossero flessibili , una offerta in eccesso di lavoro dovrebbe riflettersi in salari in continua caduta. Se volete sostenere che abbiamo una quantità di lavoratori che hanno la volontà ma  non riescono a trovare lavoro – all’opposto dei parassiti che realmente non cercano lavoro perché si cullano sull’amaca di Paul Ryan [2] – dovete avere una spiegazione della ragione per la quale i salari non stanno scendendo.

Dunque, i salari vischiosi sono una parte importante sia della vecchia che della nuova analisi keynesiana, non perché i tagli salariali ci sarebbero utili, ma semplicemente per restituire significato a quello che constatiamo.



[1] Si indicano con questa espressione alcuni bond delle nazioni di lingua inglese (Regno Unito ed ex Commonwealth, come India e Sudafrica), e il termine deriva dalla denominazione  di “gilt” a particolari titoli su debito britannici, caratterizzati dal loro grado elevato di sicurezza, di minor rischio, e dunque anche di minore rendimento.

[2] Il riferimento è ad una famigerata espressione del repubblicano Ryan, secondo la quale la disoccupazione sarebbe sostanzialmente volontaria, perché il sistema assistenziale funzionerebbe come una “amaca” che ‘culla’ i lavoratori nello stato assistenziale.

In sintesi, dunque, il pensiero è questo: i keynesiani hanno bisogno di una spiegazione che risalga alla rigidità/vischiosità dei salari, perché altrimenti la loro tesi – di una disoccupazione involontaria – non spiegherebbe perché a fronte di una disoccupazione realmente non evitabile, i salari non scendano.  E’ chiaro che per ‘salari vischiosi’ si intende salari che tendono a non scendere, a restare ai loro livelli nominali, anche se la situazione di depressione dell’economia suggerirebbe il contrario. E, appunto, questa tendenza alla rigidità dei salari nominali fu uno dei motivi della riflessione keynesiana, sin dalle prime pagine della Teoria Generale. Quella rigidità mostrava che la ripresa non poteva facilmente avvenire attraverso la stimolazione di salari più bassi, semplicemente perché rinunciare a quote di salario nominale non era affatto una prassi per i lavoratori o per i sindacati, e in fondo non era e non è neanche una prassi così semplice per i datori di lavoro.

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