Euro Area. “Deflation” versus “Lowflation”
March 4, 2014
By Reza Moghadam, Ranjit Teja, and Pelin Berkmen
Recent talk about deflation in the euro area has evoked two kinds of reactions. On one side are those who worry about the associated prospect of prolonged recession. On the other are those who see the risk as overblown. This blog and the video below sift through both sides of the debate to argue the following:
I. Is there deflation?
Mario Draghi has described deflation in the euro area as a situation where price level declines occur (1) across a significant number of countries; (2) across a significant number of goods; and (3) in a self-fulfilling way.
By this definition, the term “deflation” is arguably overstatement.
First, on geographical scope, recent price changes have been positive in all but 3 countries (versus 12 countries as recently as 2009).
Second, regarding incidence across goods and services, outright price declines account for only a fifth of the HICP basket — not a high share and, again, no more than in 2009, when the event passed without deflationary consequence.
Third, is there is a “self-fulfilling” dynamic in the sense that expected future inflation is dragging down current inflation? Here the answer is less obvious. If by expected future inflation we mean longer term rates, then the answer is no: expected inflation 5-10 years out is flat and so could not possibly be the cause of falling current inflation. But if we consider 2-4 year ahead expected inflation, the horizon relevant for many spending decisions and wage negotiations, these are falling and could be affecting current inflation. That said, actual inflation stabilized in February at 0.8%.
II. But if it’s not “deflation”, what’s the problem?
In the current European context, even very low inflation can scupper the nascent recovery and pressure the most fragile countries.
Problem #1
Both deflation and less-than-previously-expected inflation increase the real burden of existing debt and the real interest rate that borrowers pay. As it happens, the countries with deflation/low inflation, marked red in the chart below, also happen to be the ones with already higher debt burdens (private + public) and real rates, and include all the countries that have been under market pressure during the crisis.
Problem #2
While deflation/lower inflation in high debt countries is painful to them, at least it improves relative prices, and hence exports and current account sustainability. Unfortunately, when inflation turns low everywhere in the euro area, each unit of deflation/low inflation endured by indebted countries delivers less price adjustment relative to the surplus countries. Or put another way, each point of relative price adjustment must be bought at the cost of greater debt deflation.
Problem #3
When demand drops and nominal wages are sticky, the hit to unemployment is cushioned by any on-going inflation, which effectively lowers the real wages that firms pay. That cushion is now badly needed. In Spain, we see in the next chart that, after the crisis, the wage distribution slammed against the zero-barrier, with 30% of the distribution concentrated there. Given sticky nominal wages, near zero inflation in Spain is not helping to resolve the severe unemployment problem there.
III. What are the lessons from Japan’s experience?
There are at least two.
Lesson #1
One should not take too much comfort in the fact that long-term inflation expectations are positive (over 2% in the euro area). Long-term inflation expectations on the eve of three deflationary episodes in Japan were also reassuringly positive. But nearer-term expectations turned more pessimistic, feeding into spending and wage decisions and delivering actual deflation. Long-term expectations adjusted too little and too slowly to be a useful guide to monetary policy. The takeaway: not–so–long-term inflation expectations, which we saw are falling in the euro area, also need to be given due consideration.
Lesson #2
One needs to act forcefully before deflation sets in. As shown below, the Bank of Japan was relatively slow in lowering policy rates and ratcheting up base money. In the event, it had to resort to ever-increasing stimulus once deflation set in (shaded grey areas in the second chart). Two decades on, that effort is still ongoing.
IV. Conclusion
You can have too much of a good thing, including low inflation. Very low inflation may benefit important segments of the population, notably net savers. But in the current context of widespread indebtedness problems, it is working to the detriment of recovery in the euro area, especially in the more fragile countries, where it is thwarting efforts to reduce debt, regain competitiveness and tackle unemployment. The ECB must be sure that policies are equal to the tasks of reversing the downward drift in inflation and forestalling the risk of a slide into deflation. It should thus consider further cuts in the policy rate and, more importantly, look for ways to substantially increase its balance sheet, be it through targeted LTROs or quantitative easing (public and private asset purchases).
Area Euro: “Deflazione” contro “Lowflation”.
4 Marzo 2014
Di Reza Moghadam, Ranjit Teja e Pelin Berkmen
Discussioni recenti sulla deflazione nell’area euro hanno evocato due tipi di reazioni. Da una parte ci sono coloro che sono preoccupati della connessa prospettiva di una prolungata recessione. Dall’altra ci sono coloro che considerano questo rischio esagerato. Questo blog (e il video seguente) distingue tra queste due posizioni del dibattito per sostenere le tesi seguenti:
I – C’è deflazione?
Mario Draghi ha descritto la deflazione nell’area euro come una situazione nella quale i cali dei livelli dei prezzi avvengono (1) in un significativo numero di paesi; (2) su un significativo numero di beni; (3) con modalità che si auto alimentano.
Sulla base di questa definizione, il termine “deflazione” è (in questo caso) probabilmente una esagerazione.
In primo luogo, nell’ambito geografico, i recenti mutamenti dei prezzi sono stati positivi in tutti i paesi ad eccezione di tre (contro 12 paesi nel recente 2009)
In secondo luogo, a proposito della incidenza sul complesso dei beni e servizi, i cali effettivi dei prezzi riguardano soltanto un quinto del paniere dello HICP [1] – una quota non elevata ed inoltre non superiore a quella del 2009, quando gli eventi economici trascorsero senza conseguenze deflazionistiche.
In terzo luogo, è in atto una dinamica che si “autoalimenta” nel senso che l’inflazione futura attesa sta trascinando verso il basso l’inflazione attuale? In questo caso la risposta è meno evidente. Se per inflazione futura attesa intendiamo i tassi a più lungo termine, in quel caso la risposta è negativa: l’inflazione attesa a 5-10 anni è piatta e non è possibile che sia la causa della caduta della inflazione attuale. Ma se consideriamo l’inflazione attesa nei prossimi 2-4 anni, l’orizzonte che conta per molte decisioni di spesa e negoziazioni salariali, queste ultime stanno scendendo e potrebbero influenzare l’inflazione attuale. Ciò detto, l’inflazione effettiva si è stabilizzata a febbraio allo 0,8%.
II – Ma se non c’è “deflazione”, quale è il problema?
Nell’attuale contesto europeo, anche una inflazione molto bassa può far naufragare la nascente ripresa ed esercitare influenza sui paesi maggiormente fragili.
Problema n. 1
Sia la deflazione che una inflazione-minore-del-previsto accresce il peso del debito esistente ed il tasso di interesse reale che pagano i debitori. Nelle condizioni attuali, i paesi con deflazione/bassa inflazione sono quelli in rosso nella tabella sottostante, inoltre sono anche quelli con un peso del debito (privato + pubblico) più elevato e con tassi di interesse reali più alti, e comprendono tutte le situazioni che sono state soggette alla pressioni del mercato durante la crisi.
Problema n. 2
Mentre la deflazione/bassa inflazione nei paesi con debito elevato è per loro dolorosa, essa almeno migliora i prezzi relativi, e di conseguenza le esportazioni e la sostenibilità del conto corrente. Sfortunatamente, quando l’inflazione diventa bassa dappertutto nell’area euro, ciascun punto di deflazione/bassa inflazione sopportato dai pesi indebitati comporta una minore correzione dei prezzi in rapporto ai paesi in surplus. Ovvero, per dirla altrimenti, ciascun punto di correzione dei prezzi relativi può essere acquistato al prezzo di una deflazione del debito più elevata.
Problema n.3
Quando la domanda scende ed i salari nominali sono rigidi, il colpo alla disoccupazione è attenuato da una certa continua inflazione, che effettivamente abbassa i salari reali pagati dalle imprese. Questo ammortizzatore è oggi assolutamente necessario. In Spagna, lo vediamo nella tabella successiva, dopo la crisi, la distribuzione delle correzioni dei salari nominali è andata a sbattere contro la barriera del limite zero (ovvero, della assenza di modifiche), con il 30% della distribuzione concentrata in quella posizione. Data la rigidità dei salari nominali, una inflazione vicina allo zero in Spagna non è destinata ad aiutare a risolvere il grave problema della disoccupazione.
III. Quali sono le lezioni dalla esperienza del Giappone?
Ce ne sono almeno due.
Lezione n. 1
Non si dovrebbe dedurre troppo conforto dal fatto che le aspettative di inflazione a lungo termine siano positive (sopra il 2% nell’area euro). All’epoca dei tre episodi deflazionistici del Giappone, le aspettative di inflazione a lungo termine erano anche lì positive in modo rassicurante. Ma le aspettative a più breve termine si volsero ad un maggiore pessimismo, provocando effetti sulle decisioni di spesa e sui salari e determinando una deflazione effettiva. Le aspettative a lungo termine provocarono una correzione troppo piccola e troppo lenta per costituire una guida utile per la politica monetaria. Lezione da trarne: anche le aspettative di inflazione ad-un-termine-non-così-lungo, che vediamo in diminuzione nell’area euro, devono essere tenute in considerazione.
Lezione n. 2
E’ necessario agire con energia prima che la deflazione prenda piede. Come mostrato sopra, la Banca del Giappone fu abbastanza lenta nell’abbassare i tassi di riferimento e nell’innalzare la base monetaria. Durante quel processo, essa dovette fare ricorso a misure di sostegno in continua crescita ogni volta che la deflazione si affermava (si vedano le aree sfumate di grigio del secondo diagramma). Dopo due decenni, quello sforzo continua ancora.
IV. Conclusioni
Anche le buone cose, inclusa la bassa inflazione, possono risultare eccessive. Una inflazione molto bassa può essere un beneficio per segmenti importanti della popolazione, in particolare per i risparmiatori netti. Ma nel contesto attuale di problemi generalizzati di indebitamento, essa sta lavorando nell’area euro a danno della ripresa, specialmente nei paesi più fragili, nei quali vanifica gli sforzi per ridurre il debito, riguadagnare competitività e contrastare la disoccupazione. La BCE deve essere certa che le politiche siano adeguate agli obiettivi di invertire la deriva verso il basso nell’inflazione e di prevenire il rischio di uno scivolamento nella deflazione. Dovrebbe di conseguenza prendere in considerazione tagli ulteriori al tasso di riferimento e, ancora più importante, cercare i modi per un incremento sostanziale dei suoi assetti patrimoniali, che si si definiscano come LTRO [2] o come “facilitazioni quantitative” (acquisto di asset pubblici e privati).
[1] Ovvero dell’Indice Armonizzato dei Prezzi al Consumo, che è l’indice adottato dalla BCE in armonizzazione con le metodologie in precedenza in uso nei vari paesi europei.
[2] ll “long term refinancing operation” (LTRO) o piano di rifinanziamento a lungo termine consiste in interventi finanziari effettuati dalla BCE guidata da Mario Draghi a seguito dell’inizio della crisi del debito sovrano dei paesi europei. Tale operazione può essere riconducibile alle operazioni di alleggerimento quantitativo effettuate dalla Fed.
By mm
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