March 5, 2014, 8:19 am
Via the always invaluable Mark Thoma, the IMF blog — yes, the IMF has in effect become an econblogger — has a terrific piece on the problem with low inflation in Europe. It’s the perfect antidote to the do-nothing voices insisting that there’s no problem, because we don’t see actual deflation yet.
Part of the IMF analysis concerns debt dynamics. They don’t put it quite this way, but I’d say that to have debt deflation — in which falling prices due to a weak economy increase the real burden of debt, which depresses the economy further, and so on — you don’t need to have literal deflation. The process begins as soon as you have lower inflation than expected when interest rates were set. It’s also noteworthy that inflation rates in the highly indebted countries are all well below the eurozone average (pdf), with actual deflation in Greece and near-deflation in the rest. So the debt deflation spiral is in fact well underway.
Beyond that, the trouble with low inflation is that it exacerbates the problem posed by the two zeroes — the impossibility of cutting interest rates below zero and the great difficulty of cutting nominal wages.
Is ECB policy constrained by the zero lower bound? You could argue that it isn’t, since it could cut a bit further than it has but hasn’t. I’d argue, however, that if nominal interest rates were much higher — say, 4 percent — but the overall euro macro situation were what it is, with inflation clearly below target and unemployment very high, the ECB wouldn’t (and certainly shouldn’t) hesitate at all about cutting rates substantially. It’s only the fact that zero is already so close that makes cutting rates seem like a big deal, an admission that things are looking dangerous (which they are).
Meanwhile, the zero on wages is hugely important now. The fundamental issue here is that Spain (and other debtors) needs to reduce its wages relative to Germany, reversing the runup in relative wages during the bubble years. The argument some of us have been making for a long time is that it’s vastly easier if this adjustment takes place via rising German wages rather than falling Spanish wages — partly because of the debt dynamics, but also and crucially because it’s very hard to cut nominal wages.
What would you look for if downward nominal wage rigidity were a seriously binding constraint? A spike in the distribution of actual wage changes at zero. And sure enough:
International Monetary Fund
To be technical about it: Yowza. This is prima facie evidence that excessively low European inflation is already a huge problem.
The point is that there is no red line at zero inflation; excessively low inflation is still a very severe problem, especially given the European situation, even if the number is positive.
So when people warn about Europe’s potential Japanification, they’re way behind the curve. Europe is already experiencing all the woes one associates with deflation, even though it’s only low inflation so far; and the human and social costs are, of course, far worse than Japan ever experienced.
This need not lead to a breakup of the euro: Pessimists on that front, me very much included, misjudged the strength of European elites’ commitment to the project. But the euro might yet survive — and be a continuing disaster.
La bassa inflazione ed i due zeri
Tramite l’inestimabile Mark Thoma, apprendiamo che il blog del FMI – sì, il FMI è diventato in effetti un ‘econblogger’ – ha un pezzo formidabile sul problema della bassa inflazione in Europa. E’ il perfetto antidoto alle voci del non-far-niente che insistono sul fatto che non ci sarebbe problema, perché non si vede ancora alcuna effettiva deflazione.
Parte della analisi del FMI riguarda le dinamiche del debito. Essi non si esprimono in questo modo, ma io direi che per avere deflazione da debito [1] – nella quale la caduta dei prezzi derivante da una economia debole accresce il peso reale del debito, che deprime ulteriormente l’economia, e così di seguito – non c’è bisogno di avere una deflazione letterale. Il processo ha inizio appena si ha una inflazione più bassa di quello che ci si aspettava al momento in cui erano stati definiti i tassi di interesse. Merita anche di essere osservato che i tassi di inflazione nei paesi altamente indebitati sono ben al di sotto della media dell’eurozona (disponibili in pdf nella connessione), con una deflazione effettiva in Grecia ed una quasi deflazione negli altri. Dunque, la spirale della deflazione da debito è di fatto chiaramente iniziata.
Otre a ciò, il guaio con la bassa inflazione è che essa esacerba il problema costituito dai due zeri – l’impossibilità di tagliare i tassi di interesse al di sotto dello zero e la grande difficoltà a tagliare i salari reali.
La politica della BCE è limitata dal limite inferiore dello zero? Si potrebbe sostenere che non lo sia, dato che potrebbe tagliare un po’ di più ma non lo fa. Riterrei, tuttavia, che se i tassi nominali di interesse fossero molto più alti – diciamo, al 4 per cento – ma la situazione macroeconomica generale dell’euro fosse quella che è, con l’inflazione chiaramente al di sotto dell’obbiettivo ed una disoccupazione molto elevata, la BCE certamente non dovrebbe affatto esitare, e non esiterebbe, a tagliare sostanzialmente i tassi di interesse. E’ solo il fatto che lo zero sia già così vicino che fa sembrare il taglio dei tassi una grande questione, una ammissione che le cose cominciano ad apparire pericolose (come sono).
Nel frattempo, a questo punto lo zero sui salari è molto importante. In questo caso il tema fondamentale è che la Spagna (e gli altri debitori) ha bisogno di tagliare i salari rispetto alla Germania, invertendo la rapida crescita dei salari relativi durante gli anni della bolla. L’argomento che molti di noi avevano avanzato da lungo tempo era che questa correzione avrebbe potuto aver luogo molto più facilmente attraverso un aumento dei salari tedeschi piuttosto che una caduta di quelli spagnoli – in parte per le dinamiche del debito, ma anche e fondamentalmente perché è molto difficile tagliare i salari nominali.
A cosa prestereste attenzione se la rigidità nominale dei salari verso il basso fosse un serio limite condizionante? Ad una impennata nei cambiamenti della distribuzione dei salari effettivi vicina allo zero. Ed infatti [2]:
Fondo Monetario Internazionale
Per dirla tecnicamente: “per la miseria!” [3] A prima vista questa è la prova che l’inflazione europea eccessivamente lenta è già un grande problema.
Il punto è che non c’è alcuna linea rossa alla inflazione zero; anche una inflazione eccessivamente bassa è un problema grave, specialmente data la situazione europea, anche se il dato resta positivo.
Dunque, quando le persone ammoniscono sulla potenziale somiglianza dell’Europa ai casi del Giappone, sono già in ritardo sugli eventi. L’Europa sta già facendo esperienza di tutti i guai che si associano alla deflazione, anche se per adesso ha solo una bassa inflazione; ed i costi umani e sociali sono, ovviamente, assai peggiori di quelli che il Giappone ha mai conosciuto.
Non c’è bisogno che questo porti ad una rottura dell’euro: su quel fronte, i pessimisti, incluso in buona misura il sottoscritto, hanno male interpretato la forza dell’impegno delle classi dirigenti europee su quel progetto. Ma l’euro potrebbe ancora sopravvivere – e continuare ad essere un disastro.
[1] La ‘teoria’ della deflazione da debito si deve principalmente all’economista americano Irving Fisher, che nel 1933 spiegò come recessioni e depressioni potevano essere conseguenze di restrizioni del debito (deflazioni) e che il quel modo il ciclo del credito poteva essere causa del ciclo economico più generale. Nella formulazione di Fisher allo scoppio di una bolla del debito conseguono i seguenti fenomeni:
(a) la liquidazione del debito porta ad un crisi delle vendite ed a una contrazione dei depositi valutari, al momento in cui i prestiti vengono ripagati, nonché ad una diminuzione della velocità di circolazione del denaro;
(b) la contrazione dei depositi e della velocità di circolazione porta ad un abbassamento del livello dei prezzi. Se questa caduta dei prezzi non è contrastata con una reflazione si ha …
(c) una caduta ancora più forte dei valori netti delle attività economiche che precipitano in bancarotte e …
(d) una probabile caduta dei profitti che porta a preoccupazioni di perdite economiche, che a loro volta determinano …
(e) una riduzione nel prodotto, nei commerci e nell’occupazione. Tutto questo – perdite, bancarotte e disoccupazione – porta …
(f) ad un pessimismo ed ad una perdita di fiducia, che a sua volta comporta la accumulazione di capitale e l’ulteriore diminuzione della sua velocità di circolazione. Tutto questo conduce a …
(g) disturbi complessi nei tassi di interesse, e in particolare ad una caduta di quelli nominali e ad una crescita di quelli reali.
La teoria fisheriana della deflazione da debito era di pochi anni precedente alla Teoria Generale di Keynes ed a lui nota, anche se la ritenne difettosa e non la incluse nella sua teoria della “preferenza della liquidità”. Negli anni ’80 essa è stata rivalutata, tra gli altri da parte dell’economista post keynesiano Hyman Minsky.
L’economista americano Irving Fisher:
[2] La tabella fornisce il quadro delle variazioni sui salari nominali in Spagna in termini di distribuzione percentuale in due periodi: nel 2007-2008 (in blu) e nel 2011-2012 (in rosso). Suppongo che i cambiamenti siano registrati nei vari settori economici, e le varie asticelle indicano il peso percentuale corrispondente alle varie possibilità di mutamento, dal -20 per cento al + 20 per cento. Come si vede, relativamente al periodo 2011-12, in oltre il 25 per cento dei casi non c’è stato alcun mutamento, ma in oltre l’80 per cento dei casi in cambiamento è stato minimo, sia in calo che in crescita. Appariva assai diversa la situazione negli anni 2008-2009, quando la grande maggioranza dei cambiamenti di distribuiva tra il +3 ed il + 13 per cento di incrementi.
[3] E’ chiaro che Yowza non è un acronimo; è una espressione che deriva, se ho ben capito, da un serie televisiva e che sta ad indicare estrema sorpresa e disappunto.
By mm
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