Blog di Krugman

La redistribuzione e la Depressione Minore (8 marzo 2014)

 

Mar 8, 4:10 pm

Redistribution and the Lesser Depression

I’ve finally gotten around to a careful read of the new IMF paper on redistribution and growth (pdf) — which concludes that there is no negative effect of redistributionist policies, at least within the range we normally see, and quite possibly a positive effect from the reduction in inequality. I like this conclusion, politically — which is a good reason to kick the tires, and I’ll present some cautions in a later post. For now, however, a quick-and-dirty piece of data analysis inspired by the paper’s method.

Ostry et al measure redistribution by the difference between the Gini coefficient (a measure of inequality) before and after taxes and transfers. The LIS project, with which I will soon be associated, has done this for a number of countries (pdf), so we can all do such exercises.

So what I found myself thinking about was the common trope on the right that the economic crisis is the result of overlarge welfare states. This is generally stated not as a hypothesis but as a fact. But what do the data say?

First, look at a sample of advanced countries, and compare the LIS measure of redistribution with their economic performance in the first five years of the ongoing economic crisis:

z 1

 

 

 

 

 

 

 

 

 

There is a suggestion of a slight negative correlation, and if you fit a regression line it is indeed downward-sloping, although the slope isn’t significant. But you can see right away that this result is driven by the relatively good performance of Anglo-Saxon countries that arguably gain from not being on the euro.

Suppose we restrict the sample to countries on or pegged to the euro (Denmark). It looks like this:

z 2

 

 

 

 

 

 

 

 

 

There is, it turns out, a fair bit of variation among euro area countries in the amount of redistribution — and there is actually a positive correlation between redistribution and growth over the post-crisis period, significant at the 10 percent level.

Overall, the data offer no reason to believe that the economic crisis has something to do with the welfare state — an empirical observation that will have no impact whatsoever on the right’s convictions.

 

La redistribuzione e la Depressione Minore

 

Ho finalmente trovato il tempo di leggere con attenzione il nuovo studio del FMI su redistribuzione e crescita (disponibile in pdf) [1] – che stabilisce che non ci sono effetti negativi delle politiche di redistribuzione, almeno negli ambiti che normalmente osserviamo,  e che è abbastanza possibile un effetto positivo della riduzione dell’ineguaglianza. In termini politici mi fa piacere questa conclusione – e questa è una buona ragione per farne una ispezione superficiale, e presentare qualche avvertenza in un post successivo. Per il momento, tuttavia, un pezzo sbrigativo di analisi dei dati ispirato dal metodo dello studio.

Ostry e gli altri stimano la redistribuzione attraverso la differenza tra il coefficiente Gini [2] (una misura dell’ineguaglianza) prima e dopo le tasse ed i trasferimenti.  Il progetto del LIS [3] , di cui sarò presto socio, ha fatto lo stesso per un certo numero di paesi (disponibile in pdf), cosicché possiamo tutti fare tali esercizi.

Così, quello che mi sono ritrovato a pensare è stato il luogo comune della destra secondo il quale la crisi economica sarebbe il risultato di stati assistenziali troppo ampi. Questa in generale non viene affermata come una ipotesi, ma come un dato di fatto. Ma cosa dicono le statistiche?

In primo luogo si guardi all’esempio dei paesi avanzati, e si confronti la stima della misurazione della redistribuzione da parte della LIS con la loro prestazione economica nei primi cinque anni della perdurante crisi economica:

z 1

 

 

 

 

 

 

 

 

 

C’è una suggestione di una correlazione leggermente negativa, e se disponete una regressione lineare in effetti risulta una inclinazione verso il basso, sebbene la tendenza non sia significativa. Ma potete subito notare che questo risultato è guidato dalla prestazione relativamente buona (in termini di crescita, ndt) dei paesi anglosassoni, che probabilmente guadagnano dal non far parte dell’euro.

Supponiamo di restringere l’esempio ai paesi che fanno parte o che sono ancorati all’euro (Danimarca). Appare in questo modo:

z 2

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Si scopre che c’è una discreta variazione all’interno dei paesi dell’area euro nelle dimensioni della redistribuzione – e c’è effettivamente una correlazione positiva tra redistribuzione e crescita nel periodo successivo alla crisi, significativa al livello del 10 per cento.

Complessivamente, i dati non offrono alcuna ragione per credere che la crisi economica abbia qualcosa a che fare con lo stato assistenziale – una osservazione empirica che non avrà effetti di alcun genere sulle convinzioni della destra.


 

 


[1] Lo studio è a cura di Jonathan D. Ostry, Andrew Berg e  Charalambos G. Tsangarides.

[2] Il coefficiente di Gini, introdotto dallo statistico italiano Corrado Gini[1], è una misura della diseguaglianza di una distribuzione. È spesso usato come indice di concentrazione per misurare la diseguaglianza nella distribuzione del reddito o anche della ricchezza. È un numero compreso tra 0 ed 1. Valori bassi del coefficiente indicano una distribuzione abbastanza omogenea, con il valore 0 che corrisponde alla pura equidistribuzione, ad esempio la situazione in cui tutti percepiscono esattamente lo stesso reddito; valori alti del coefficiente indicano una distribuzione più diseguale, con il valore 1 che corrisponde alla massima concentrazione, ovvero la situazione dove una persona percepisca tutto il reddito del paese mentre tutti gli altri hanno un reddito nullo. Si può incontrare la notazione con indice di Gini espresso in percentuale (0% – 100%), ovvero anche tra 0 e 100.(Wikipedia)

Nella tabelle in questione, se capisco, la linea orizzontale indicherebbe la differenza tra l’indice Gini calcolato semplicemente sui redditi e quello calcolato sui redditi successivi alla tassazione ed ai trasferimenti in gran parte dovuti alle politiche di protezione sociale. Suppongo che sia naturale che l’indice diminuisca “dopo” le misure fiscali ed i trasferimenti, dunque che si avvicini allo zero e si allontani dall’unità. Come si può notare alla tabella 1 i paesi dell’area del Nord Europa hanno la differenza maggiore (che dovrebbe significare che l’indice diminuisce maggiormente a seguito degli interventi statali, ovvero che c’è minore ineguaglianza); nei paesi anglosassoni esso avrebbe una differenza minore; Italia e Francia si collocherebbero nel mezzo. Quanto alle differenze di crescita esse appaiono effettivamente derivare da altri fattori, in particolare se si osserva la tabella 2.

[3] Il “Luxembourg Income Study”  è un centro di elaborazioni statistiche transnazionali per il quale Krugman ha annunciato la sua prossima collaborazione (vedi l’ultimo articolo sul New York Times).

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