MARCH 20, 2014 Paul Krugman
There don’t seem to be any major economic crises underway right this moment, and policy makers in many places are patting themselves on the back. In Europe, for example, they’re crowing about Spain’s recovery: the country seems set to grow at least twice as fast this year as previously forecast.
Unfortunately, that means growth of 1 percent, versus 0.5 percent, in a deeply depressed economy with 55 percent youth unemployment. The fact that this can be considered good news just goes to show how accustomed we’ve grown to terrible economic conditions. We’re doing worse than anyone could have imagined a few years ago, yet people seem increasingly to be accepting this miserable situation as the new normal.
How did this happen? There were multiple reasons, of course. But I’ve been thinking about this question a lot lately, in part because I’ve been asked to discuss a new assessment of Japan’s efforts to break out of its deflation trap. And I’d argue that an important source of failure was what I’ve taken to calling the timidity trap — the consistent tendency of policy makers who have the right ideas in principle to go for half-measures in practice, and the way this timidity ends up backfiring, politically and even economically.
In other words, Yeats had it right: the best lack all conviction, while the worst are full of passionate intensity.
About the worst: If you’ve been following economic debates these past few years, you know that both America and Europe have powerful pain caucuses — influential groups fiercely opposed to any policy that might put the unemployed back to work. There are some important differences between the U.S. and European pain caucuses, but both now have truly impressive track records of being always wrong, never in doubt.
Thus, in America, we have a faction both on Wall Street and in Congress that has spent five years and more issuing lurid warnings about runaway inflation and soaring interest rates. You might think that the failure of any of these dire predictions to come true would inspire some second thoughts, but, after all these years, the same people are still being invited to testify, and are still saying the same things.
Meanwhile, in Europe, four years have passed since the Continent turned to harsh austerity programs. The architects of these programs told us not to worry about adverse impacts on jobs and growth — the economic effects would be positive, because austerity would inspire confidence. Needless to say, the confidence fairy never appeared, and the economic and social price has been immense. But no matter: all the serious people say that the beatings must continue until morale improves.
So what has been the response of the good guys?
For there are good guys out there, people who haven’t bought into the notion that nothing can or should be done about mass unemployment. The Obama administration’s heart — or, at any rate, its economic model — is in the right place. The Federal Reserve has pushed back against the springtime-for-Weimar, inflation-is-coming crowd. The International Monetary Fund has put out research debunking claims that austerity is painless. But these good guys never seem willing to go all-in on their beliefs.
The classic example is the Obama stimulus, which was obviously underpowered given the economy’s dire straits. That’s not 20/20 hindsight. Some of us warned right from the beginning that the plan would be inadequate — and that because it was being oversold, the persistence of high unemployment would end up discrediting the whole idea of stimulus in the public mind. And so it proved.
What’s not as well known is that the Fed has, in its own way, done the same thing. From the start, monetary officials ruled out the kinds of monetary policies most likely to work — in particular, anything that might signal a willingness to tolerate somewhat higher inflation, at least temporarily. As a result, the policies they have followed have fallen short of hopes, and ended up leaving the impression that nothing much can be done.
And the same may be true even in Japan — the case that motivated this article. Japan has made a radical break with past policies, finally adopting the kind of aggressive monetary stimulus Western economists have been urging for 15 years and more. Yet there’s still a diffidence about the whole business, a tendency to set things like inflation targets lower than the situation really demands. And this increases the risk that Japan will fail to achieve “liftoff” — that the boost it gets from the new policies won’t be enough to really break free from deflation.
You might ask why the good guys have been so timid, the bad guys so self-confident. I suspect that the answer has a lot to do with class interests. But that will have to be a subject for another column.
La trappola della timidezza, di Paul Krugman
New York Times 20 marzo 2014
Non sembra esserci in atto alcuna crisi importante in questo momento, e in molti posti gli operatori politici si danno reciprocamente pacche sulle spalle. In Europa, ad esempio, si gloriano della ripresa spagnola: quest’anno il paese sembra nelle condizioni di crescere almeno due volte più velocemente di quanto si prevedeva.
Sfortunatamente, questo significa una crescita dell’1 per cento, contro lo 0,5 per cento, in una economia depressa con il 55 per cento di disoccupazione giovanile. Il fatto che questa possa essere considerata una buona notizia, dimostra solo quanto ci siamo abituati a convivere con terribili condizioni economiche. Stiamo andando peggio di quanto ognuno avrebbe immaginato pochi anni orsono, tuttavia la gente sembra sempre di più accettare questa misera situazione come la nuova condizione di normalità.
Come è successo? Ci sono, naturalmente, varie ragioni. Ma ho riflettuto molto su questo tema recentemente, in parte perché sono stato richiesto di parlare su una valutazione aggiornata degli sforzi del Giappone per sfuggire dalla sua trappola della deflazione. Direi dunque che una importante fonte di incapacità è quella che ho cominciato a definire la ‘trappola della timidezza’ – la costante tendenza degli operatori politici che hanno idee giuste in linea di principio a mettere in atto, in pratica, mezze misure, e il modo in cui questa timidezza finisce col ritorcersi contro, politicamente ed anche economicamente.
In altre parole, Yeats era nel giusto [1]: il meglio manca di ogni convinzione, mentre il peggio è pieno di appassionata sicurezza.
A proposito del peggio: se state seguendo i dibattiti economici di questi ultimi anni, sapete che sia l’America che l’Europa hanno potenti raggruppamenti favorevoli al patimento – gruppi influenti che si oppongono ferocemente ad ogni politica che possa rimettere i disoccupati a lavorare. Ci sono importanti differenze tra i ‘raggruppamenti del patimento’ negli Stati Uniti ed in Europa, ma adesso hanno entrambi un curriculum davvero impressionante di sbagli, senza mai avere un dubbio.
Così, in America abbiamo una fazione, sia a Wall Street che al Congresso, che ha speso cinque anni e più per indirizzare spaventosi ammonimenti sull’inflazione fuori controllo ed i tassi di interesse che sarebbero saliti alle stelle. Potreste pensare che il fatto che queste terribili previsioni non si siano avverate dovrebbe ispirare qualche pensiero di riserva, ma, dopo tutti questi anni, le stesse persone che vengono chiamate ad esprimersi, stanno ancora dicendo le stesse cose.
Nel frattempo, in Europa sono passati quattro anni dal momento in cui il continente è passato a severi programmi di austerità. Gli architetti di questi programmi ci hanno raccontato di non preoccuparci degli impatti negativi sui posti di lavoro e sulla crescita – gli effetti economici sarebbero stati positivi, perché l’austerità avrebbe ispirato fiducia. Non è il caso di dirlo, la fata della fiducia non è mai apparsa, ed il prezzo sociale e politico è stato immenso. Ma non conta: tutte le persone serie dicono che le sberle devono continuare, finché il morale non migliora.
Quale è stata, dunque, la risposta delle persone per bene?
Perché in giro ci sono persone per bene, persone che non hanno abboccato all’idea che non si poteva far niente sulla disoccupazione di massa. Il cuore della Amministrazione Obama – o, in ogni caso, il suo modello economico – sta dalla parte giusta. La Federal Reserve ha resistito alla gente che sosteneva che l’inflazione era in arrivo, che Weimar era alle porte. Il Fondo Monetario Internazionale ha messo in circolazione ricerche che smentivano che l’austerità fosse senza sofferenze. Ma queste persone per bene non sembrano mai aver voglia di giocarsi il tutto per tutto sui loro convincimenti.
Il classico esempio fu lo stimulus di Obama, che era evidentemente sottodimensionato date le condizioni terribili dell’economia. Non si tratta affatto del senno di poi. Alcuni di noi misero in guardia proprio dagli inizi che il programma sarebbe stato inadeguato – e che poiché veniva esageratamente propagandato, la persistenza di una elevata disoccupazione avrebbe finito con lo screditare nella pubblica opinione l’idea nel suo complesso.
Quello che non è altrettanto noto è che la Fed ha, per suo conto, fatto la stessa cosa. Dall’inizio, i dirigenti della politica monetaria hanno escluso il ricorso a quelle politiche monetarie che hanno maggiori probabilità di funzionamento – in particolare, tutto quello che possa segnalare la volontà di tollerare una inflazione in qualche modo più elevata, almeno temporaneamente. Il risultato è stato che le politiche che hanno seguito hanno tradito le speranze, ed hanno lasciato l’impressione che non si possa far niente.
E lo stesso può essere vero anche nel caso del Giappone, che ha ispirato questo articolo. Il Giappone ha realizzato una radicale rottura con le politiche passate, alla fine adottando quel genere di aggressiva stimolazione monetaria per la quale gli economisti occidentali insistevano da 15 anni e più. Tuttavia c’è ancora una diffidenza sull’intera questione, una tendenza a collocare cose come gli obbiettivi di inflazione più in basso di quanto la situazione in realtà richiederebbe. E questo accresce il rischio che il Giappone non riesca a raggiungere il “decollo” – che la spinta che ottiene dalle nuove politiche non sia sufficiente a sfuggire alla deflazione.
Possiamo chiederci perché le persone per bene siano state così timide, mentre i cattivi soggetti siano così fiduciosi. Io sospetto che la risposta abbia molto a che fare con gli interessi di classe. Ma questo è bene che sia oggetto di un successivo articolo.
[1] William Butler Yeats (Dublino, 13 giugno 1865 – Roquebrune-Cap-Martin, 28 gennaio 1939) è stato un poeta, drammaturgo, scrittore e mistico irlandese. Spesso indicato come W. B. Yeats, fu anche senatore dello Stato Libero d’Irlanda negli anni venti.
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