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Libertà, eguaglianza, efficienza, di Paul Krugman (New York Times 9 marzo 2014)

 

Liberty, Equality, Efficiency

Paul Krugman

Most people, if pressed on the subject, would probably agree that extreme income inequality is a bad thing, although a fair number of conservatives believe that the whole subject of income distribution should be banned from public discourse. (Rick Santorum, the former senator and presidential candidate, wants to ban the term “middle class,” which he says is “class-envy, leftist language.” Who knew?) But what can be done about it?

 

The standard answer in American politics is, “Not much.” Almost 40 years ago Arthur Okun, chief economic adviser to President Lyndon Johnson, published a classic book titled “Equality and Efficiency: The Big Tradeoff,” arguing that redistributing income from the rich to the poor takes a toll on economic growth. Okun’s book set the terms for almost all the debate that followed: liberals might argue that the efficiency costs of redistribution were small, while conservatives argued that they were large, but everybody knew that doing anything to reduce inequality would have at least some negative impact on G.D.P.

But it appears that what everyone knew isn’t true. Taking action to reduce the extreme inequality of 21st-century America would probably increase, not reduce, economic growth.

Let’s start with the evidence.

It’s widely known that income inequality varies a great deal among advanced countries. In particular, disposable income in the United States and Britain is much more unequally distributed than it is in France, Germany or Scandinavia. It’s less well known that this difference is primarily the result of government policies. Data assembled by the Luxembourg Income Study (with which I will be associated starting this summer) show that primary income — income from wages, salaries, assets, and so on — is very unequally distributed in almost all countries. But taxes and transfers (aid in cash or kind) reduce this underlying inequality to varying degrees: some but not a lot in America, much more in many other countries.

So does reducing inequality through redistribution hurt economic growth? Not according to two landmark studies by economists at the International Monetary Fund, which is hardly a leftist organization. The first study looked at the historical relationship between inequality and growth, and found that nations with relatively low income inequality do better at achieving sustained economic growth as opposed to occasional “spurts.” The second, released last month, looked directly at the effect of income redistribution, and found that “redistribution appears generally benign in terms of its impact on growth.”

 

In short, Okun’s big trade-off doesn’t seem to be a trade-off at all. Nobody is proposing that we try to be Cuba, but moving American policies part of the way toward European norms would probably increase, not reduce, economic efficiency.

At this point someone is sure to say, “But doesn’t the crisis in Europe show the destructive effects of the welfare state?” No, it doesn’t. Europe is paying a heavy price for creating monetary union without political union. But within the euro area, countries doing a lot of redistribution have, if anything, weathered the crisis better than those that do less.

 

Libertà, eguaglianza, efficienza di Paul Krugman

New York Times 9 marzo 2014

 

La maggioranza delle persone, se messe alle strette, probabilmente sarebbero d’accordo nel dire che la completa ineguaglianza dei redditi è una cosa negativa, sebbene un discreto numero di conservatori ritengano che l’intera questione della distribuzione del reddito dovrebbe essere messa al bando dal dibattito pubblico (Rick Santorum, in precedenza Senatore e candidato alla Presidenza, vuole mettere al bando il termine “classe media”, che dice “appartiene al linguaggio della sinistra e dell’invidia di classe”. Voi lo sapevate?) Ma che cosa si può fare sull’ineguaglianza?

La risposta consueta nella politica americana è “non molto”. Quasi quaranta anni orsono Arthur Okun, a capo dei consiglieri economici del Presidente Lyndon Johnson, pubblicò un libro diventato un classico, dal titolo: “Eguaglianza ed efficienza: il grande compromesso”, sostenendo che la redistribuzione del reddito dai ricchi ai poveri ha un peso sulla crescita dell’economia. Il libro di Okun definì i termini di quasi tutto il dibattito che seguì: il progressisti sostennero che i costi in termini di efficienza della redistribuzione erano modesti,  i conservatori che erano ampi, ma tutti riconobbero che ogni cosa fatta per ridurre l’ineguaglianza avrebbe avuto almeno qualche impatto negativo sul PIL.

Ma sembra che quello di cui tutti erano convinti non fosse vero. Assumendo iniziative per ridurre l’ineguaglianza estrema del 21° secolo, l’America probabilmente aumenterebbe, anziché ridurre, la crescita economica.

Partiamo dai fatti.

E’ unanimemente riconosciuto che l’ineguaglianza dei redditi varia di molto tra i paesi avanzati. In particolare, il reddito a disposizione negli Stati Uniti e in Inghilterra è distribuito molto più inegualmente che in Francia, in Germania o in Scandinavia. E’ meno noto che questa differenza è principalmente il risultato di politiche statali. I dati raccolti dal Luxembourg Income Study (con il quale sarò associato a partire da questa estate) mostrano che il reddito primario – reddito da stipendi, da salari, da beni di valore, e così via – è distribuito molto inegualmente in quasi tutti i paesi. Ma le tasse ed i trasferimenti (aiuti in denaro o in beni utili) riducono di vari gradi questa ineguaglianza di base: in modesta misura in America, molto di più in vari altri paesi.

Dunque, ridurre l’ineguaglianza attraverso la redistribuzione danneggia la crescita dell’economia? Non secondo due studi di riferimento a cura di economisti del Fondo Monetario Internazionale, che difficilmente si può definire una organizzazione di sinistra. Il primo studio mette sotto osservazione la relazione storica tra ineguaglianza e crescita, e scopre che le nazioni con una ineguaglianza di redditi relativamente bassa ottengono risultati migliori quanto a crescita economica duratura, considerata in opposizione ad una crescita di “scatti” occasionali. Il secondo, pubblicato il mese passato, ha messo direttamente sotto osservazione gli effetti della redistribuzione del reddito, ed ha scoperto che “la redistribuzione  appare in generale un fattore favorevole quanto al suo impatto sulla crescita”.

In poche parole, il grande compromesso di Okun non pare essere affatto un compromesso. Nessuno sta proponendo che si provi a fare come Cuba, ma spostare il verso di una parte delle politiche americane nel senso delle norme europee, probabilmente incrementerebbe, anziché ridurre, l’efficienza economica.

A questo punto, qualcuno sicuramente dirà: “Ma la crisi in Europa non ha mostrato gli effetti distruttivi dello Stato assistenziale?” No, non è così. L’Europa sta pagando un prezzo pesante per aver creato un’unione monetaria senza una unione politica. Ma, all’interno dell’area euro, i paesi che mettono in atto molta redistribuzione hanno, semmai, resistito alla crisi meglio di quelli che lo fanno meno.

Ma come possono essere benigni gli effetti delle redistribuzione sulla crescita? Il sostegno generoso verso i poveri non riduce la loro motivazione a lavorare? Le tasse sui ricchi non riducono le loro motivazioni a diventare persino più ricchi?  Sì in entrambi i casi – ma le motivazioni non sono le uniche cose che contano. Contano anche le risorse – e in una società altamente ineguale, molte persone non le hanno.

Si pensi, in particolare, allo slogan mai tramontato secondo il quale dovremmo cercare eguaglianza nelle opportunità, non eguaglianza di risultati. Che può suonar bene a persone che non hanno idea di quale sia la vita possibile per decine di milioni di americani; ma per quelli che hanno una qualche nozione della realtà, è uno scherzo crudele. Quasi il 40 per cento dei bambini americani vive in condizioni di povertà o di quasi-povertà. Pensate davvero che abbiano le stesse possibilità di accedere all’istruzione ed al lavoro dei figli dei benestanti?

Di fatto, per i figli di famiglie a basso reddito è molto meno probabile completare l’università dei loro omologhi benestanti, con una differenza che si allarga rapidamente: e questo non è negativo soltanto per coloro che sono abbastanza sfortunati da nascere da genitori sbagliati; esso rappresenta uno spreco di potenziale umano vasto e crescente – uno spreco che certamente agisce come un potente anche se invisibile ostacolo alla crescita economica.  

Si badi, io non voglio sostenere che affrontare l’ineguaglianza dei redditi aiuterebbe ciascuno. I molto ricchi perderebbero da una tassazione più elevata più di quello che hanno guadagnato da una migliore prestazione economica. Ma è abbastanza chiaro che sfidare l’ineguaglianza sarebbe positivo non solo per i poveri, ma anche per la classe media (spiacente, Senatore Santorum).

In breve, quello che va bene all’1 per cento non va bene all’America. E noi non siamo costretti a continuare a vivere in una nuova epoca dorata per i più ricchi, se non abbiamo intenzione di farlo.

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