MARCH 6, 2014 Paul Krugman
Hypocrisy is the tribute vice pays to virtue. So when you see something like the current scramble by Republicans to declare their deep concern for America’s poor, it’s a good sign, indicating a positive change in social norms. Goodbye, sneering at the 47 percent; hello, fake compassion.
And the big new poverty report from the House Budget Committee, led by Representative Paul Ryan, offers additional reasons for optimism. Mr. Ryan used to rely on “scholarship” from places like the Heritage Foundation. Remember when Heritage declared that the Ryan budget would reduce unemployment to a ludicrous 2.8 percent, then tried to cover its tracks? This time, however, Mr. Ryan is citing a lot of actual social science research.
Unfortunately, the research he cites doesn’t actually support his assertions. Even more important, his whole premise about why poverty persists is demonstrably wrong.
To understand where the new report is coming from, it helps to recall something Mr. Ryan said two years ago: “We don’t want to turn the safety net into a hammock that lulls able-bodied people to lives of dependency and complacency, that drains them of their will and their incentive to make the most of their lives.” There are actually two assertions here. First, antipoverty programs breed complacency; that is, they discourage work. Second, complacency — the failure of the poor to work as much as they should — is what perpetuates poverty.
The budget committee report is almost entirely concerned with the first assertion. It notes that there has been a large decline in labor force participation, and it claims that antipoverty programs, which reduce the incentive to work, are a major reason for this decline. Then come 200 pages of text and 683 footnotes, designed to create the impression that the scholarly research literature supports the report’s claims.
But it doesn’t. In some cases, Mr. Ryan and colleagues outright misstate what the research says, drawing outraged protests from a number of prominent scholars about the misrepresentation of their work. More often, however, the report engages in argument by innuendo. It makes an assertion about the bad effects of a program, then mentions a number of studies of that program, and thereby leaves the impression that those studies support its assertion, even though they don’t.
What does scholarly research on antipoverty programs actually say? We have quite good evidence on the effects of food stamps and Medicaid, which draw most of Mr. Ryan’s ire — and which his budgets propose slashing drastically. Food stamps, it seems, do lead to a reduction in work and working hours, but the effect is modest. Medicaid has little, if any, effect on work effort.
Over all, here’s the verdict of one comprehensive survey: “While there are significant behavioral side effects of many programs, their aggregate impact is very small.” In short, Mr. Ryan’s poverty report, like his famous budget plan, is a con job.
Now, you can still argue that making antipoverty programs much more generous would indeed reduce the incentive to work. If you look at cross-county comparisons, you find that low-income households in the United States, which does less to help the poor than any other major advanced nation, work much more than their counterparts abroad. So, yes, incentives do have some effect on work effort.
But why, exactly, should that be such a concern? Mr. Ryan would have us believe that the “hammock” created by the social safety net is the reason so many Americans remain trapped in poverty. But the evidence says nothing of the kind.
After all, if generous aid to the poor perpetuates poverty, the United States — which treats its poor far more harshly than other rich countries, and induces them to work much longer hours — should lead the West in social mobility, in the fraction of those born poor who work their way up the scale. In fact, it’s just the opposite: America has less social mobility than most other advanced countries.
And there’s no puzzle why: it’s hard for young people to get ahead when they suffer from poor nutrition, inadequate medical care, and lack of access to good education. The antipoverty programs that we have actually do a lot to help people rise. For example, Americans who received early access to food stamps were healthier and more productive in later life than those who didn’t. But we don’t do enough along these lines. The reason so many Americans remain trapped in poverty isn’t that the government helps them too much; it’s that it helps them too little.
Which brings us back to the hypocrisy issue. It is, in a way, nice to see the likes of Mr. Ryan at least talking about the need to help the poor. But somehow their notion of aiding the poor involves slashing benefits while cutting taxes on the rich. Funny how that works.
L’inganno dell’amaca, di Paul Krugman
New York Times 6 marzo 2014
L’ipocrisia è il tributo che il vizio paga alla virtù. Dunque, quando assistete a qualcosa come all’attuale gara tra i repubblicani nel dichiarare la loro profonda preoccupazione per i poveri d’America, è un segno buono, indica un cambiamento positivo nelle convenzioni sociali. Un addio al farsi beffe del 47 per cento [1]; un benvenuto alla compassione, seppure falsa.
E il nuovo grande rapporto della Commissione Bilancio della Camera, guidata dal rappresentante Paul Ryan, offre ragioni aggiuntive di ottimismo. Il signor Ryan era solito basarsi sul “sapere” proveniente da posti come la Heritage Foundation. Ricordate quando Heritage dichiarò che il bilancio di Ryan avrebbe ridotto la disoccupazione ad un ridicolo 2,8 per cento, e poi egli dovette cercare di cancellarne le tracce? Questa volta, tuttavia, il signor Ryan cita una quantità di vere ricerche di scienza sociale.
Sfortunatamente, le ricerche che cita, per la verità, non sostengono le sue tesi. In modo anche più rilevante, l’intera sua premessa sui motivi per i quali la povertà persiste è dimostrabilmente sbagliata.
Per capire da dove provenga il nuovo rapporto, è utile ricordarsi qualcosa che Ryan disse due anni orsono: “Noi non vogliamo trasformare le reti di sicurezza in una amaca che trastulla persone di buona prestanza in esistenze di dipendenza e di autocommiserazione, che le priva della loro volontà e dell’incentivo a fare delle loro vite il meglio di quello che possono.” Ci sono in effetti due concetti in questa frase. Il primo, i programmi contro la povertà producono compiacimento; ovvero, scoraggiano il lavoro. Il secondo, il compiacimento – il fatto che i poveri non lavorino quanto dovrebbero – è ciò che perpetua la povertà.
Il rapporto della Commissione Bilancio si occupa quasi interamente del primo concetto. Esso nota che c’è stato un vasto declino nella partecipazione alle forze di lavoro [2], e sostiene che i programmi contro la povertà, che riducono gli incentivi a lavorare, sono una ragione importante di questo declino. Vengono poi 200 pagine di testo e 683 note a fondo pagina, vòlte a creare l’impressione che la letteratura della ricerca specializzata sostenga le pretese del rapporto.
Ma non è così. In certi casi, Ryan e colleghi riportano in modo chiaramente scorretto quello che dicono le ricerche, attirando proteste indignate da parte di un certo numero di eminenti specialisti per la rappresentazione fuorviante dei loro studi. Più spesso, tuttavia, il rapporto si impegna in argomentazioni con la tecnica della allusione. Avanza un giudizio sugli effetti negativi di un programma, poi cita un certo numero di studi su quel programma, e in tal modo produce l’impressione che tali studi siano di supporto ai propri giudizi, anche se non lo sono.
Cosa dicono effettivamente le ricerche specialistiche sui programmi contro la povertà? Abbiamo riscontri piuttosto buoni sugli effetti degli aiuti alimentari e di Medicaid, che attirano la maggior parte dell’ira del signor Ryan – e che i suoi bilanci [3] propongono di abbattere drasticamente. Gli aiuti alimentari, a quanto sembra, comportano davvero una riduzione del lavoro e delle ore di lavoro, ma l’effetto è modesto. Medicaid, ammesso che abbia un qualche effetto sul lavoro, lo ha in modo assai piccolo.
Oltre a tutto ciò, ecco il verdetto dell’unica indagine esauriente: “Mentre ci sono effetti collaterali significativi di molti programmi per gli aspetti del comportamento delle persone, il loro impatto aggregato è molto piccolo.” In poche parole, la relazione sulla povertà del signor Ryan, come il suo famoso programma di bilancio, è un imbroglio.
Ora, si può pure sostenere che realizzando programmi contro la povertà molto più generosi si ridurrebbe effettivamente l’incentivazione a lavorare. Se osservate i confronti tra i vari paesi [4], trovate che le famiglie a basso reddito negli Stati Uniti, dove per i poveri si fa meno che in ogni altra nazione avanzata, lavorano molto di più delle famiglie simili all’estero. Dunque, è vero, gli incentivi hanno un qualche effetto sull’impegno di lavoro.
Ma perché, esattamente, dovrebbe costituire una tale preoccupazione? Il signor Ryan ci vorrebbe far credere che la “amaca” creata dalla rete di sicurezza sociale è la ragione per la quale tanti americani poveri restano intrappolati nella povertà. Ma i fatti non dicono niente del genere.
Dopo tutto, se l’aiuto generoso verso i poveri perpetuasse la povertà, gli Stati Uniti – che trattano i loro poveri assai più severamente degli altri paesi ricchi, e li costringono a lavorare per orari molto più lunghi – dovrebbero essere alla testa dell’Occidente quanto a mobilità sociale, in riferimento a coloro che, nati poveri, vengono dalla gavetta. In pratica è proprio l’opposto: l’America ha minore mobilità sociale della maggioranza degli altri paesi avanzati.
E non c’è nessun enigma da spiegare: è difficile per i giovani farsi strada quando patiscono per una alimentazione modesta, per la assistenza medica inadeguata e per la mancanza di accesso ad una buona istruzione I programmi contro la povertà di cui disponiamo in verità fanno molto per aiutare le persone a crescere. Ad esempio, gli americani che hanno ricevuto precocemente l’accesso agli aiuti alimentari, sono risultati più ricchi e più produttivi nella loro vita successiva di quelli che non li hanno avuti. Ma su questa strada, non facciamo abbastanza. La ragione per la quale molti americani restano intrappolati nella povertà non è che il Governo li aiuta troppo; è che li aiuta troppo poco.
Il che ci riporta al tema dell’ipocrisia. In un certo senso, fa piacere vedere gli individui come il signor Ryan almeno parlare della necessità di aiutare i poveri. Sennonché la loro idea dell’aiutare i poveri include l’abbattimento dei sussidi ed il tagliare contemporaneamente le tasse sui ricchi. E’ curioso come tutto questo funziona.
[1] Ovvero al cinismo con il quale i repubblicani trattano i lavoratori americani, che apparve chiaro nell’infortunio di Mitt Romney nella campagna presidenziale, allorché dichiarò che il 47 per cento degli americani erano indolenti assistiti.
[2] Ovvero, nella condizione di coloro che lavorano o cercano attivamente lavoro. Infatti negli USA è crollato il numero di coloro che cercano attivamente lavoro, evidentemente perché non è facile trovarlo.
[3] Quando si parla di “bilanci” si intende naturalmente “proposte di bilancio”, dato che la Commissione Bilancio della Camera, nell’iter del Congresso degli Stati Uniti, è l’organo che presenta tali proposte, pur essendo la Camera dei Rappresentanti, al momento, a maggioranza repubblicana. I ‘bilanci’ definitivi sono oggetto di mediazioni, di correzioni, di concertazioni tra i due organi congressuali; ma suppongo che nel testo si usi l’espressione ‘bilancio’ (addirittura di ‘suo bilancio’, in riferimento a Ryan, Presidente di detta Commissione) proprio per la precipua competenza della Commissione ad avanzare la proposta iniziale.
[4] Krugman analizza più nel dettaglio le statistiche su tale materia nel post del 4 marzo dal titolo “La vera trappola della povertà”.
(“cross-county” è un errore, penso, e sta per “cross-country”)
By mm
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