MARCH 2, 2014 Paul Krugman
Recently the Federal Reserve released transcripts of its monetary policy meetings during the fateful year of 2008. And, boy, are they discouraging reading.
Partly that’s because Fed officials come across as essentially clueless about the gathering economic storm. But we knew that already. What’s really striking is the extent to which they were obsessed with the wrong thing. The economy was plunging, yet all many people at the Fed wanted to talk about was inflation.
Matthew O’Brien at The Atlantic has done the math. In August 2008 there were 322 mentions of inflation, versus only 28 of unemployment and 19 of systemic risks or crises. In the meeting on Sept. 16, 2008 — the day after Lehman fell! — there were 129 mentions of inflation versus 26 mentions of unemployment and only four of systemic risks or crises.
Historians of the Great Depression have long marveled at the folly of policy discussion at the time. For example, the Bank of England, faced with a devastating deflationary spiral, kept obsessing over the imagined threat of inflation. As the economist Ralph Hawtrey famously observed, “That was to cry ‘Fire, fire!’ in Noah’s flood.” But it turns out that modern monetary officials facing financial crisis were just as obsessed with the wrong thing as their predecessors three generations before.
And it wasn’t just a bad call in 2008. Much supposedly informed opinion has remained fixated on the supposed threat of rising prices despite being wrong again and again. If you spent the last five years watching CNBC, or reading the Wall Street Journal opinion pages, or for that matter listening to prominent conservative economists, you lived in a constant state of alarm over runaway inflation, which was coming any day now. It never did.
What accounts for inflation obsession? One answer is that obsessives failed to distinguish between underlying inflation and short-term fluctuations in the headline number, which are mainly driven by volatile energy and food prices. Gasoline prices, in particular, strongly influence inflation in any given year, and dire warnings are heard whenever prices rise at the pump; yet such blips say nothing at all about future inflation.
They also failed to understand that printing money in a depressed economy isn’t inflationary. I could have told them that, and in fact I did. But maybe there was some excuse for not grasping this point in 2008 or early 2009.
The point, however, is that inflation obsession has persisted, year after year, even as events have refuted its supposed justifications. And this tells us that something more than bad analysis is at work. At a fundamental level, it’s political.
This is fairly obvious if you look at who the inflation obsessives are. While a few conservatives believe that the Fed should be doing more, not less, they have little if any real influence. The overall picture is that most conservatives are inflation obsessives, and nearly all inflation obsessives are conservative.
Why is this the case? In part it reflects the belief that the government should never seek to mitigate economic pain, because the private sector always knows best. Back in the 1930s, Austrian economists like Friedrich Hayek and Joseph Schumpeter inveighed against any effort to fight the depression with easy money; to do so, warned Schumpeter, would be to leave “the work of depressions undone.” Modern conservatives are generally less open about the harshness of their view, but it’s pretty much the same.
The flip side of this antigovernment attitude is the conviction that any attempt to boost the economy, whether fiscal or monetary, must produce disastrous results — Zimbabwe, here we come! And this conviction is so strong that it persists no matter how wrong it has been, year after year.
Finally, all this ties in with a predilection for acting tough and inflicting punishment whatever the economic conditions. The British journalist William Keegan once described this as “sado-monetarism,” and it’s very much alive today.
Does any of this matter? It’s true that the Fed hasn’t surrendered to the sado-monetarists. Notably, it didn’t panic in 2011, when another blip in gasoline prices briefly raised the headline rate of inflation, and Republicans began inveighing against the “debasement” of the dollar.
But I’d argue that the clamor from inflation obsessives has intimidated the Fed, which might otherwise have done more. And it has also been part of a general climate of opposition to anything that might address our continuing jobs crisis.
As I suggested, we used to marvel at the wrongheadedness of policy makers during the Great Depression. But when the Great Recession struck, and we were given a chance to do better, we ended up repeating all the same mistakes.
L’ossessione dell’inflazione, di Paul Krugman
New York Times 2 marzo 2014
Recentemente la Federal Reserve ha pubblicato i verbali dei suoi incontri di politica monetaria durante il disastroso anno 2008. E, signori miei, sono proprio una lettura scoraggiante.
In parte questo dipende dal fatto che i dirigenti della Fed danno l’impressione di essere sostanzialmente senza indizi sulla tempesta economica che si stava raccogliendo. Ma questo lo sapevamo già. Quello che è veramente sorprendente è il modo in cui erano ossessionati dalla cosa sbagliata. L’economia stava precipitando, eppure tutto quello che molte persone alla Fed volevano discutere era l’inflazione.
Matthew O’Brien su The Atlantic ha fatto due conti. Nei verbali dell’agosto del 2008 ci furono 322 riferimenti all’inflazione, contro solo 28 alla disoccupazione e 19 ai rischi sistemici di crisi. Nell’incontro del 16 settembre del 2008 – il giorno dopo la caduta della Lehman! – ci furono 129 riferimenti all’inflazione contro 26 alla disoccupazione e solo quattro ai rischi sistemici di crisi.
Gli storici della Grande Depressione [1] si sono a lungo meravigliati della follia del dibattito politico di quei tempi. Per esempio, la Banca d’Inghilterra, a fronte di una devastante spirale deflazionistica, continuava ad essere ossessionata da una immaginaria minaccia di inflazione. Come osservò stupendamente l’economista Ralph Hawtrey: “Era come gridare ‘al fuoco, al fuoco’ nel bel mezzo del diluvio di Noè”. Ma si scopre ora che i dirigenti contemporanei delle politiche monetarie sono stati esattamente ossessionati per la cosa sbagliata come i loro predecessori di tre generazioni precedenti.
E non solo si prese un abbaglio nel 2008. Molti dei sedicenti ben informati giudizi sono rimasti bloccati dalla presunta minaccia di una crescita dei prezzi, nonostante si fosse dimostrata ripetutamente infondata. Se avete passato gli ultimi cinque anni guardando la CNBC, o leggendo le pagine dei commenti del Wall Street Journal, o ascoltando sullo stesso tema i principali economisti conservatori, avete vissuto in una costante condizione di allarme su una inflazione fuori controllo che poteva manifestarsi in ogni momento. E che non è mai arrivata.
Cosa rappresenta l’ossessione per l’inflazione? Una risposta è che gli ‘ossessivi’ non riescono a distinguere, nel dato complessivo, tra l’inflazione sottostante e le fluttuazioni a breve termine, che sono principalmente guidate dai prezzi volatili dell’energia e dei generi alimentari. I prezzi della benzina, in particolare, influenzano fortemente l’inflazione in ogni anno preso in considerazione, e si sentono ammonimenti terribili ogni volta che i prezzi salgono ai distributori; tuttavia tali lievi spostamenti non dicono proprio niente sull’inflazione futura.
Si può aggiungere che quelle persone non hanno compreso che stampare moneta in una economia depressa non è inflazionistico. E’ una cosa che avrei potuto spiegare a costoro, di fatto lo feci. Ma forse c’era qualche scusante nel non comprenderla nel 2008 ed agli inizi del 2009.
Il punto, tuttavia, è che l’ossessione per l’inflazione è proseguita, anno dopo anno, anche se i fatti smentivano le sue ipotetiche giustificazioni. E questo ci dice che si tratta di qualcosa di più che non di una analisi sbagliata. In un senso fondamentale, c’è un aspetto politico.
Questo è abbastanza chiaro se si osserva chi sono questi ‘ossessi’ dell’inflazione. Pochi conservatori credono che la Fed dovrebbe fare di più, e non di meno, ed hanno una modesta influenza reale, ammesso che l’abbiano. Il quadro generale è che gran parte dei conservatori sono ossessionati dall’inflazione, e che quasi tutti gli ossessionati sono conservatori.
Perché le cose stanno in questi termini? In parte esse riflettono la convinzione che il Governo non dovrebbe neppure cercare di mitigare le sofferenze economiche, perché è il settore privato che sa sempre fare le cose al meglio. Nei lontani anni ’30, economisti austriaci come Friedrich Hayek e Joseph Schumpeter si scagliavano contro ogni sforzo di combattere la depressione con una moneta facile; farlo, ammoniva Schumpeter, avrebbe lasciato “incompiuto il lavoro delle depressioni”. I conservatori moderni sono generalmente meno scoperti quanto a rigidità delle loro opinioni, ma le posizioni sono grosso modo identiche.
Il rovescio della medaglia di questa attitudine antigovernamentale è la convinzione che ogni tentativo di aiutare l’economia, sia con lo strumento monetario che con quello della spesa pubblica, non può che produrre risultati disastrosi – Zimbabwe, stiamo arrivando [2]!
Infine, tutto questo si lega ad una predilezione per iniziative dure e per l’infliggere punizioni, qualsiasi siano le condizioni dell’economia. Il giornalista britannico William Keegan una volta descrisse tutto questo come ‘sado-monetarismo’, ed è una tendenza assai viva al giorno d’oggi.
Tutto ciò ha qualche importanza? E’ vero che la Fed non si è arresa ai sado-monetaristi. In particolare, ciò non provocò il panico nel 2011, quando un altro rialzo nei prezzi della benzina per un breve periodo innalzò il tasso della inflazione ‘complessiva’ [3] ed i repubblicani si scagliarono contro il “deterioramento” del dollaro.
Direi però che il clamore da parte di coloro che sono ossessionati dall’inflazione ha intimidito la Fed, che in altro modo avrebbe potuto essere più efficace. Ed è anche stato un aspetto di un generale clima di opposizione ad ogni cosa che potesse avere qualche effetto sulla nostra perdurante crisi dei posti di lavoro.
Come ho indicato, ci meravigliavamo della pervicacia nel fare le cose sbagliate degli uomini politici durante la Grande Depressione. Ma quando ha colpito la Grande Recessione, ed avevamo una occasione per fare meglio, abbiamo finito col ripetere tutti gli stessi errori.
[1] Ovvero, della crisi degli anni 30; perché quella iniziata nel 2007/2008 è chiamata Grande Recessione.
[2] Negli anni 2000 nello Zimbabwe si è avuta una spaventosa iperinflazione, giunta addirittura nel 2008 al tasso del 150.888,87 per cento. Spaventosa instabilità politica, spese incredibilmente alte, appropriazione di gran parte dei fondi attraverso una corruzione sistematica, continua stampa di moneta e miraggi di risanamento attraverso la appropriazione di oro e di miniere di diamanti – che quando avvengono sono oggetto di nuove ruberie private – sono all’origine di una fenomeno che ha pochi precedenti, anche nelle crisi successive alle guerre in altri paesi.
[3] Sulle ragioni per le quali normalmente si traduce “headline inflation” con “inflazione complessiva o totale” si possono leggere le note sulla traduzione, che per comodità qua alleghiamo:
“Headline inflation” e “core inflation”.
Normalmente in italiano si traduce la prima espressione con “inflazione complessiva o totale”, mentre la seconda si traduce con “inflazione sottostante o sostanziale”. Normalmente in Italia ed in Europa si adopera solo la prima, e dunque la si chiama semplicemente “inflazione”. La differenza tra le due consiste nella inclusione nella prima, e nella esclusione nella seconda, degli andamenti dei prezzi di alcune materie prime alimentari e del petrolio. Questi prezzi sono frequentemente soggetti a mutamenti del tutto temporanei, e questa è la ragione per la quale la Federal Reserve – diversamente dalla Banca Centrale Europea – si riferisce normalmente al dato della “core inflation”, considerandolo più attendibile.
Nel corso degli anni 2010-2011 Krugman ha ripetutamente polemizzato con l’utilizzo della “headline inflation” da parte di vari soggetti che, su quella base, prevedevano una forte tendenza al rialzo dei prezzi. In realtà quel rialzo non c’è stato, perché, per l’appunto, le variazioni di alcune materie prime e dei prezzi del petrolio sono state, come previsto, piuttosto effimere e sono regredite. Su questo tema, tra l’altro, ci fu una polemica piuttosto aspra con Lorenzo Bini Smaghi, allora membro del consiglio della BCE.
In quale senso si adopera il termine “headline”? Come è noto è il termine con il quale si indicano i “titoli” dei giornali o i “sommari delle principali notizie” dei telegiornali; probabilmente, dunque, il senso etimologico è quello di una misurazione che è “comprensiva” di tutti gli elementi singoli; mentre “core” include solo gli elementi più stabili e perciò sostanziali.
By mm
E' possibile commentare l'articolo nell'area "Commenti del Mese"