MAR 17, 2014
OXFORD – Amid all of its other troubles, Ukraine cannot pay its creditors. The country needs more money, serious reform, and a rescheduling of its debt. Yet even the best efforts by the International Monetary Fund, the United States, and the European Union to achieve this will be hobbled by investment agreements that they themselves have pressed on Ukraine and many other emerging economies. Indeed, Ukraine could be left facing a string of complex and costly legal cases.
In recent years, shrewd creditor lawyers have argued that investment treaties give bondholders the same rights as foreign direct investors, and have smuggled sovereign-debt cases into international arbitration proceedings wherever they have found investment treaties with broad, open-ended definitions. The recent experiences of Argentina, Greece, and Cyprus highlight the “blowback” on sovereign-debt restructuring.
The first such case was Abaclat and Others v. Argentine Republic, which started in 2008. Thousands of Italian bondholders refused Argentina’s debt-restructuring deal, successfully arguing that the Italy-Argentina investment treaty gave them the right to pursue compensation through investor-state arbitration.
Resolving a sovereign-debt crisis requires a collective agreement by creditors, which can be achieved only by individual investors’ incentive to try to grab their money and run. That is why investment treaties that leave an opening for holdouts are counterproductive.
In national jurisdictions, a bankruptcy mechanism is used to corral creditors. But no such mechanism exists at the international level. The IMF proposed one in 2002; but, in the face of concerted lobbying by investors, the scheme was rebuffed and instead an agreement was reached to use collective action clauses (CACs) in debt contracts.
The Eurogroup, for example, has declared that all eurozone sovereign bonds issued after January 1, 2013, should include CACs, which render a government’s debt-restructuring proposal legally binding on all bondholders if a majority of bondholders accept the deal. When these clauses work, they streamline debt restructurings.
In the Greek case, CACs were retroactively inserted into all Greek-law debt. This allowed for a faster and more orderly restructuring than otherwise would have been possible. The troika – the IMF, the European Central Bank, and the European Commission – encouraged the Greek government to insert the collective action clauses. Yet now that very maneuver is being challenged as expropriation in international arbitration.
The same could easily happen to Ukraine, which has ratified more than 50 investment treaties. Their relevant clauses are similar – often identical – to those in Greece’s investment treaties, enshrining broad, open-ended definitions of investment that do not exclude sovereign debt. Moreover, many of the treaties provide investors with direct access to arbitration.
So what can be done? For starters, the countries that have investment treaties with Ukraine can add annexes making it explicitly clear that sovereign debt is excluded. Renegotiating more than 50 treaties would be unwieldy, but Ukraine would benefit enormously by renegotiating just one: the US-Ukraine investment treaty.
By some estimates, more than 20% of Ukrainian government debt was recently purchased by a single American investment fund, Franklin Templeton Investments, specializing in distressed debt. So, before the blowback begins, policymakers would do well to heed the strong precedent for excluding sovereign debt from a US investment treaty.
Although US investment treaties are uniform on most issues, they have remarkably diverse approaches to sovereign debt. Chapter 11 of the North American Free Trade Agreement explicitly excludes sovereign debt. Similarly, the US-Uruguay Bilateral Investment Treaty and the US-Peru Trade Promotion Agreement both have annexes that effectively exclude sovereign debt.
For US policymakers, the decision to add an annex excluding sovereign debt is a tough choice. On the one hand, US investment treaties are designed to secure the strongest possible protection for US investors overseas. To remove investment protection – at a time of instability and insecure property rights, no less – is antithetical to the purpose of such treaties.
Given the political and security imperatives of the crisis in Ukraine, however, the alternative is worse. Doing nothing means allowing US investment funds to pursue enormous compensation cases – likely in the billions of dollars – against a future Ukrainian administration, which, even in the best-case scenario, will be on weak domestic political footing and already saddled with an unpopular austerity program and loan-repayment schedule. This outcome would be more than a public-relations nightmare; with Russia beckoning, it might well hasten geostrategic disaster.
Ideally, the world would have a well-functioning international mechanism for sovereign-bond restructuring. We are far from that. Yet before the cameras turn away from Ukraine, officials and leaders can ensure that a future administration there is not left facing bondholders one by one in international arbitration proceedings.
The US and Western Europe have an overriding strategic interest in patching this hole in the international financial architecture, and preventing their private investment funds from aggressively seeking compensation from a future Ukrainian administration. To do otherwise risks far more than financial loss.
L’Ucraina contro gli avvoltoi
di Ngaire Woods e Taylor St. John
17 marzo 2014
OXFORD – In mezzo a tutti gli altri guai, l’Ucraina non è nelle condizioni di pagare i suoi creditori. Il paese ha bisogno di maggiori capitali, di una seria riforma e di una riprogrammazione del proprio debito. Tuttavia anche i migliori sforzi del Fondo Monetario Internazionale, degli Stati Uniti e dell’Unione Europea saranno compromessi dagli accordi di investimento che essi stessi hanno promosso, nel caso dell’Ucraina come di altre economie emergenti. In effetti, l’Ucraina potrebbe essere lasciata a fronteggiare una sequenza di complicate e costose cause legali.
Negli anni recenti, scaltri legali dei creditori hanno sostenuto che i trattati di investimento danno ai possessori di bond gli stessi diritti dei diretti investitori stranieri, ed hanno fatto inserito arbitrariamente i casi dei debiti sovrani nelle procedure di arbitrato internazionale, dovunque abbiano scoperto trattati di investimento con definizioni generiche e indefinite.
Il primo caso fu quello di “Abaclat ed altri contro la Repubblica Argentina”, che ebbe inizio nel 2008. Centinaia di possessori di obbligazioni italiani rifiutarono l’accordo per la ristrutturazione del debito dell’Argentina, sostenendo con successo che il trattato di investimento Italia – Argentina dava loro il diritto di ricercare il compenso attraverso l’arbitrato dello stato investitore.
Risolvere una crisi del debito sovrano richiede un accordo collettivo da parte dei creditori, che può essere ottenuto soltanto attraverso l’incentivo all’investitore a cercar di prendere i propri soldi e uscire di scena. Quella è la ragione per la quale i contratti di investimento che lasciano una apertura alle non accettazioni sono controproducenti.
Nelle giurisdizioni nazionali, si utilizza un meccanismo della procedura di bancarotta per riunire i creditori. Ma un tale meccanismo non esiste a livello internazionale. Il FMI ne propose uno nel 2002; ma, di fronte alla attività concertata di lobbying degli investitori, quello schema venne decisamente respinto ed al suo posto si raggiunse un accordo per utilizzare le “clausole di azione collettiva” (CAC) nei contratti di debito.
L’eurogruppo, ad esempio, ha dichiarato che tutti i bond sovrani dell’eurozona emessi dopo il primo gennaio del 2013, dovevano riguardare le CAC, che rendono una proposta di ristrutturazione del debito statale legalmente vincolante per tutti i possessori di bond, se una maggioranza di essi accetta l’accordo. Quando queste clausole funzionano, esse velocizzano le ristrutturazioni dei debiti.
Nel caso greco, le CAC vennero inserite retroattivamente in tutto il debito sulla base della legge greca. Questo consentì una ristrutturazione più veloce e più ordinata di quella che altrimenti sarebbe stata possibile. La troika – il FMI, la Banca Centrale Europea e la Commissione Europea – incoraggiò il Governo greco ad inserire le clausole dell’azione collettiva. Tuttavia oggi proprio quella manovra è stata impugnata come una forma di esproprio in un arbitrato internazionale.
Lo stesso potrebbe con facilità accadere all’Ucraina, che ha ratificato più di 50 trattati di investimento. Le loro clausole fondamentali sono simili – spesso identiche – a quelle dei trattati di investimento della Grecia, racchiudendo definizioni di investimento generiche e indefinite che non escludono i debiti sovrani. Inoltre, molti dei trattati offrono agli investitori l’accesso diretto all’arbitrato.
Dunque, cosa si può fare? Innanzitutto, i paesi che hanno trattati di investimento con l’Ucraina possono aggiungere appendici che chiariscano esplicitamente che i debiti sovrani sono esclusi. La rinegoziazione di più di 50 trattati sarebbe troppo voluminosa, ma l’Ucraina trarrebbe un enorme beneficio solo col rinegoziarne uno: il trattato di investimento Stati Uniti – Ucraina.
Secondo alcune stime, più del 20% del debito statale ucraino è stato di recente acquistato da un unico fondo di investimenti americano, il Franklin Templeton Investments, specializzato in debiti difficili. Dunque, prima che abbiano inizio i contraccolpi, gli operatori politici dovrebbero per davvero prestare attenzione a solidi precedenti, al fine di escludere il debito sovrano dal trattato di investimento con gli Stati Uniti.
Sebbene per molti aspetti i trattati di investimento degli Stati Uniti siano uniformi, essi hanno approcci considerevolmente diversi al debito sovrano. Il Capitolo 11 del Trattato di libero commercio Nord Americano esclude esplicitamente il debito sovrano. In modo simile, il Trattato bilaterale di investimento Stati Uniti – Uruguay e l’ Accordo di promozione commerciale Stati Uniti – Perù hanno entrambi allegati che escludono validamente il debito sovrano.
Per gli Stati Uniti, la decisione di aggiungere una clausola che escluda il debito sovrano è una scelta dura. Da una parte, i trattati degli Stati Uniti sono concepiti per assicurare le protezione più forte possibile agli investitori americani oltreoceano. Rimuovere la protezione dell’investimento – in un tempo di maggiore instabilità e di più incerti diritti proprietari – è antitetico agli scopi di questi trattati.
Dati gli imperativi politici e di sicurezza della crisi in Ucraina, tuttavia, l’alternativa è peggiore. Non far niente significa consentire ai fondi di investimento americani di intentare cause per enormi compensi – probabilmente per miliardi di dollari – contro un futuro Governo ucraino che, anche nello scenario migliore, sarà in una debole posizione politica all’interno, dovendosi già accollare un programma di austerità ed un piano di pagamento dei prestiti non popolare. Questo esito potrebbe costituire qualcosa di più che un incubo nelle relazioni politiche; con il richiamo della Russia, potrebbe davvero accelerare un disastro geostrategico.
In teoria, il mondo dovrebbe avere una meccanismo internazionale per la ristrutturazione dei debiti sovrani ben funzionante. Siamo lontani da una cosa del genere. Tuttavia, prima che le telecamere se ne vadano dall’Ucraina, gli amministratori e i dirigenti politici devono assicurare che la prossima amministrazione non sia costretta ad affrontare i possessori di bond uno ad uno nelle proceduta di arbitrato internazionale.
Gli Stati Uniti e l’Europa Occidentale hanno un interesse strategico prioritario a mettere una pezza a questo buco nell’architettura finanziaria internazionale, e nell’impedire ai loro fondi di investimento privati di cercare aggressivamente riparazioni dal futuro Governo ucraino. Comportandosi diversamente si rischierebbe molto di più che non una perdita finanziaria.
By mm
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