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Marx e il “Turco Meccanico”, di Brad DeLong (Project Syndicate, 31 marzo 2014)

 

J. Bradford DeLong

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J. Bradford DeLong is Professor of Economics at the University of California at Berkeley and a research associate at the National Bureau of Economic Research.

MAR 31, 2014

Marx and the Mechanical Turk

BERKELEY – The economist Suresh Naidu once remarked to me that there were three big problems with Karl Marx’s economics. First, Marx thought that increased investment and capital accumulation diminished labor’s value to employers and thus diminished workers’ bargaining power. Second, he could not fully grasp that rising real material living standards for the working class might well go hand in hand with a rising rate of exploitation – that is, a smaller income share for labor. And, third, Marx was fixated on the labor-theory of value.

 

The second and third problems remain huge analytical mistakes. But, while Marx’s belief that capital and labor were substitutes, not complements, was a mistake in his own age, and for more than a century to follow, it may not be a mistake today.

Think of it this way. Humans have five core competencies as far as the world of work is concerned:

· Moving things with large muscles.

· Finely manipulating things with small muscles.

· Using our hands, mouths, brains, eyes, and ears to ensure that ongoing processes and procedures happen the way that they are supposed to.

· Engaging in social reciprocity and negotiation to keep us all pulling in the same direction.

· Thinking up new things – activities that produce outcomes that are necessary, convenient, or luxurious – for us to do.

 

The first two options comprise jobs that we typically think of as “blue collar.” Much of the second three options embody jobs that we typically think of as “white collar.”

The coming of the Industrial Revolution – the steam engine to generate power and metalworking to build machinery – greatly reduced the need for human muscles and fingers. But it enormously increased the need for human eye-ear-brain-hand-mouth loops in both blue-collar and white-collar occupations.

 

Over time, the real prices of machines continued to fall. But the real prices of the cybernetic control loops needed to keep the machines running properly did not, because every control loop required a human brain, and every human brain required a fifteen-year process of growth, education, and development.

But there is no iron law of wages that requires technologies of power and matter manipulation to advance more rapidly than technologies of governance and control. The direction of technological progress today is toward moving very large parts of both the blue-collar and white-collar components of overseeing ongoing processes and procedures from humans to machines.

 

How many of us can be employed in personal services, and how can such jobs be highly paid (in absolute terms)? The optimistic view is that those, like me, who find ourselves fearing the relative wage distribution of the future as a source of mammoth inequality and power imbalance simply suffer from a failure of imagination.

Marx did not see how the replacement of textile workers by automatic looms could possibly do anything other than lower workers’ wages. After all, the volume of production could not possibly expand enough to reemploy everyone who lost their job as a handloom weaver as a machine-minder or a carpet-seller, could it?

 

 

It could, but Marx’s mistake was not a new one. A century earlier, the French physiocrats Quesnay, Turgot, and Condorcet did not see how the share of the French labor force employed in agriculture could possibly fall below 50% without producing social ruin. After all, in a world of solid farmers, useful craftsmen, dissolute aristocrats, and flunkies, demand for manufactured items and flunkies was limited by how much of each aristocrats could use. Thus, a decline in the number of farmers could produce no outcome other than poverty and widespread beggary.

 

Neither Marx nor the physiocrats could imagine the great many well-paid things that we could find to do once we no longer needed to employ 60% of the labor force in agriculture and another 20% in hand spinning, handloom weaving, and land transport via horse and cart. And today, the optimistic view is that those with excess wealth will continue to think of lots of things for everyone else to do to make their lives more convenient and luxurious, and that the ingenuity of the rich will outstrip the supply of labor by the poor and turn the poor into the middle class.

But, given the rapid development of technologies of governance and control, the pessimistic view deserves attention. In this scenario, pieces of option three remain stubbornly impervious to artificial intelligence and continue to be mind-numbingly boring, while option four – engaging in social reciprocity and negotiation – remains limited. Welcome to the virtual sweatshop economy, in which most of us are chained to desks and screens – so many powerless cogs for Amazon Mechanical Turk, forever.

 

 

 

 

 

Marx e il “Turco Meccanico” [1].

di Brad DeLong

 

BERKELEY – L’economista Suresh Naidu una volta mi fece notare che c’erano tre grandi problemi con il pensiero economico di Marx. Il primo, Marx pensava che gli incrementi degli investimenti e della accumulazione del capitale svalutassero il lavoro agli occhi degli imprenditori e di conseguenza diminuissero il potere di contrattazione dei lavoratori. In secondo luogo, non aveva interamente compreso che i crescenti reali standards di vita materiali della classe lavoratrice potevano andare di pari passo con un crescente tasso di sfruttamento – vale a dire, con una minore quota di reddito per il lavoro. E, in terzo luogo, Marx era fissato sulla teoria del valore-lavoro.

Il secondo e il terzo problema restano dei grandi errori analitici. Ma, mentre il convincimento di Marx che capitale e lavoro fossero fattori alternativi e non complementari era un errore ai suoi tempi, e tale restò per più di un secolo, potrebbe non essere un errore oggi.

Si rifletta nel modo seguente. Gli uomini hanno cinque competenze centrali dal punto di vista del mondo del lavoro:

 

–          Muovere gli oggetti impiegando grande forza muscolare;

–          Manipolare sottilmente gli oggetti con piccola forza muscolare;

–          Utilizzare mani, bocche, cervelli, occhi ed orecchi per assicurarsi che i processi e le procedure procedano continuamente nel modo in cui devono;

–          Impegnarsi nello scambio sociale e nella negoziazione per continuare a farci tutti spingere nella stessa direzione;

–          Escogitare nuove cose da fare – attività che producano risultati che ci sono necessari, convenienti o che ci arricchiscono.

Le prime due opzioni riguardano posti di lavoro che consideriamo tipici dei “colletti blu”. Gran parte della altre tre opzioni rappresentano posti di lavoro che consideriamo tipici dei “colletti bianchi”.

L’arrivo della Rivoluzione Industriale – la macchina a vapore per generare energia e la metallurgia per costruire macchinari – ridusse grandemente il bisogno di muscoli e di abilità manuali da parte degli uomini. Ma accrebbe enormemente il bisogno dei circuiti umani di occhi-orecchie-cervello-mani e bocca sia nelle postazioni di lavoro dei colletti blu che dei colletti bianchi.

Nel corso del tempo, i prezzi reali delle macchine continuarono a scendere. Ma non fu così per i prezzi reali dei circuiti di controllo cibernetico che avevano bisogno di tenere correttamente in attività le macchine, perché ogni circuito di controllo richiedeva un cervello umano, ed ogni cervello umano richiedeva una quindicina d’anni di crescita, di istruzione e di sviluppo.

Ma non c’è una legge ferrea dei salari che esiga che le tecnologie energetiche e la manipolazione della materia avanzino più rapidamente delle tecnologie di governo e di controllo. La direzione del progresso tecnologico ai giorni nostri va verso lo spostamento dagli uomini alle macchine di parti molto ampie, sia nelle componenti dei colletti blu che dei colletti bianchi, dei processi e delle procedure della continua supervisione.

Quanti tra noi possono essere occupati nei servizi alla persona, e quanto possono essere retribuiti in modo elevato quei posti di lavoro (in termini assoluti)? Il punto di vista ottimistico è che coloro, come me, che si ritrovano ad aver timore della distribuzione relativa dei salari del futuro come una fonte di gigantesca ineguaglianza e di squilibrio di potere, soffrano di un difetto di immaginazione.

Marx non vide che il rimpiazzamento dei lavoratori tessili da parte di circuiti automatici avrebbe probabilmente provocato tutt’altro che un abbassamento dei salari dei lavoratori. Dopo tutto, il volume della produzione probabilmente non si sarebbe ampliato a sufficienza da reimpiegare tutti quelli che avevano perso il posto di lavoro come tessitori di telai manuali, come sorveglianti delle macchine o come venditori di tappeti, non era così?

Non era così, ma l’errore di Marx non era nuovo. Un secolo prima, i fisiocratici francesi Quesnay, Turgot e Condorcet non si accorsero che la parte di forza lavoro francese occupata in agricoltura sarebbe probabilmente caduta al di sotto del 50 per cento senza provocare un disastro sociale. Dopo tutto, in un mondo di solidi agricoltori, di utili artigiani, di aristocratici dissoluti e di valletti, la domanda di oggetti manifatturieri e di valletti era limitata da quanto ognuno di quegli aristocratici poteva farne uso. Quindi, un declino del numero degli agricoltori non avrebbe prodotto altro risultato che la povertà ed una miseria generalizzata.

Né Marx né i fisiocratici potevano immaginare le splendide cose ben retribuite che avremmo trovato da fare una volta che non avemmo più bisogno di occupare il 60% della forza lavoro in agricoltura ed un altro 20% nella filatura a mano, nella tessitura sui telai a mano, e nei trasporti di terra con carri e cavalli. Ed oggi, il punto di vista ottimistico è che quelli con ricchezze in eccesso continueranno a pensare ad una quantità di cose da far fare a tutti gli altri in modo da rendere le loro esistenze più convenienti e lussuose, e che l’ingegnosità dei ricchi supererà l’offerta di lavoro da parte dei poveri e sposterà i poveri nella classe media.

Ma, dato il rapido sviluppo delle tecnologie della gestione e del controllo, il punto di vista pessimistico merita attenzione. In quello scenario, pezzi della (precedente) terza opzione  restano ostinatamente impermeabili all’intelligenza artificiale e continuano ad essere noiosamente indifferenti alla mente, mentre l’opzione quattro – impegnarsi nello scambio e nella negoziazione sociale – resta limitata. Benvenuti nell’economia della virtuale fabbrica dello sfruttamento, nella quale molti di noi sono incatenati ai tavoli ed agli schermi – tante piccole rotelle dell’ingranaggio al servizio del “Turco Meccanico” di Amazon [2], per sempre.



[1] Il “Turco Meccanico”, anche noto come “Giocatore automatico di scacchi” era una macchina che venne costruita nel 1770 e messa in mostra un po’ dappertutto in America ed in Europa, sino al 1854, quando venne distrutta in un incendio. Essa simulava una giocatore meccanico di scacchi, che poteva competere con persone esperte. In realtà era un trucco, perché – se ho ben compreso – sembra che al suo interno operasse un operatore esperto in scacchi nascosto.

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[2] Amazon di recente ha avviato, utilizzando il nome di “Turco Meccanico” del quale abbiamo spiegato nella nota 1 le origini, una sorta di mercato del lavoro on-line che produce precarissimi rapporti di lavoro on-line. Nel senso che si lavora a tempi definiti e di solito esigui, su mansioni determinate e stando a casa propria.

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