Blog di Krugman

Memorie dell’austerità (dal blog di Krugman, 31 marzo 2014)

 

Mar 31, 8:15 am

Austerity Memories

Preparing for this morning’s class (pdf), I inevitably found myself thinking back to the austerity debate of 2010-2012, which was simultaneously exhilarating and deeply depressing. On one side, the critique of austerity was a classic example of high-quality, relevant economic research done in real time to respond to important issues – and it has left us with much better evidence on the effects of fiscal policy than we had before. On the other side, the nakedness of the way policymakers seized on research telling them what they wanted to hear made you wonder whether economic research can, in fact, actually make a positive difference in the real world.

 

Before the debate, it was possible to say that we had little evidence for the Keynesian proposition that increases (decreases) changes in government spending and/or deficits lead, other things equal, to short run increases (decreases) in output and employment. The problem was that other things are rarely equal. In fact, the raw correlation goes the other way, because slumps that happen for reasons unrelated to fiscal policy (like housing busts) lead to increased deficits and to some extent increased spending, e.g. on unemployment benefits.

 

The Alesina/Ardagna work, which purported to correct for these cyclical effects and still show that austerity is expansionary, helped provoke a surge of empirical work, much of it involving the search for natural experiments. And austerity in the euro area itself provided a massive natural experiment.

The result is that we now have overwhelming evidence for the Keynesian proposition, and very strong evidence that when monetary policy can’t lean against fiscal policy – when you either have a fixed exchange rate or are in a liquidity trap – the multiplier is greater than one. The efficacy of fiscal policy in the short run is now as well-established a concept, as grounded in empirical evidence, as the efficacy of monetary policy. (Of course, some people still haven’t gotten that memo either.)

But again, the course of policy – and the relationship of policy to research – was something else. It’s still amazing to look at the eagerness with which policymakers abandoned 60 years’ worth of textbook economics in favor of a radical anti-Keynesian claim that was subjected to intense criticism from the very beginning. As I said, the nakedness of it is just astonishing. People who had no idea what the data or the history looked like, who had no idea of what was involved in attempts to tease out the effect of fiscal policy from the noise, jumped on Alesina/Ardagna as refuting everything anyone else had said on the subject. Were they really unaware that they were committing the sin of letting wishful thinking drive their choices? Did they just not care?

 

 

Oh, and of course, nobody except the IMF – which was much closer to being right than other key players – has admitted having been wrong about anything.

 

Memorie dell’austerità

 

Preparando la lezione di questa mattina (disponibile in pdf), mi sono inevitabilmente ritrovato a pensare al dibattito sull’austerità del 2010-2012, che fu assieme esilarante e profondamente deprimente. Da una parte, la critica all’austerità fu un esempio di rilevante ricerca economica di elevata qualità, condotta in tempo reale per rispondere a temi importanti – e ci ha lasciato con molte migliori prove sugli effetti della politica della finanza pubblica di quelle che avevamo in precedenza. Dall’altra parte, la brutalità del modo in cui gli operatori politici colsero al volo le ricerche che dicevano loro quello che volevano sentirsi dire, vi faceva chiedere se la ricerca economica possa, nei fatti, esercitare effettivamente una differenza positiva nel mondo reale.

Prima del dibattito, era possibile affermare che c’erano modeste prove a sostegno della affermazione keynesiana secondo la quale i mutamenti in crescita (o in calo) della spesa pubblica o dei deficit portano, a parità delle altre condizioni, ad una crescita (o ad un calo) della produzione e dell’occupazione nel breve termine. Il problema era che raramente le altre condizioni restano eguali. Di fatto, la rozza correlazione va in senso inverso, perché le crisi che avvengono per ragioni non connesse con la politica della finanza pubblica (come l’esplosione di bolle immobiliari) portano ad accrescere i deficit e in qualche misura ad accrescere la spesa pubblica, ad esempio nei sussidi per la disoccupazione.

Il lavoro di Alesina/Ardagna, che pretendeva di correggere questi effetti ciclici e tuttavia di dimostrare che l’austerità è espansiva, contribuì a provocare una crescita di studi empirici, molti dei quali riguardarono la ricerca di esperimenti naturali. E l’austerità nell’area euro fornì di per sé un massiccio esperimento naturale.

Il risultato è che adesso disponiamo di prove schiaccianti per la concezione keynesiana, e di una testimonianza molto forte che quando la politica monetaria non può contrastare la politica della finanza pubblica – quando si ha un tasso di cambio fisso o si è in una trappola di liquidità – il moltiplicatore [1] è più grande di uno. L’efficacia nel breve periodo della politica della finanza pubblica è ora un concetto ben definito, in quanto fondato su prove empiriche, come l’efficacia della politica monetaria (naturalmente alcune persone non hanno neppure ricevuto la notizia[2]).

Ma l’andamento della politica – e la relazione tra politica e ricerca – fu anche qualcos’altro. E’ ancora sorprendente guardare alla prontezza con la quale gli operatori politici abbandonarono l’apprezzabile economia dei libri di testo degli anni ’60 a favore di una radicale argomentazione antikeynesiana, che fu oggetto di grandi critiche sin dall’inizio. Come ho detto, la brutalità di tutto questo fu semplicemente strabiliante. Persone che non avevano alcuna idea delle risultanze dei dati o dei fatti della storia, che non avevano alcuna idea di quello che era in ballo nei tentativi di districare l’effetto della politica della finanza pubblica dal frastuono circostante, saltarono sulle tesi di Alesina/Ardagna come se potessero confutare tutto quello che chiunque altro aveva detto sul tema. Erano davvero inconsapevoli di star commettendo il peccato di far guidare le loro scelte semplicemente dai loro desideri? O proprio non se ne curavano?

E naturalmente nessuno – ad eccezione del Fondo Monetario Internazionale, che si avvicinò alla ragione molto di più di altri attori principali – ha ammesso di aver avuto torto su nulla.



[1] Per il concetto di ‘multiplier’ vedi le note sulla traduzione.

[2] Il riferimento nel link è ad un post precedente del gennaio del 2014, nel quale in realtà si elogiava il Presidente della Fed di Minneapolis – Narayana Kocherlakota – per aver preso atto degli insegnamenti di questi anni ed aver cambiato opinione, diversamente da vari altri.

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