Blog di Krugman

Patrimoni americani (24 marzo 2014)

 

Mar 24, 4:23 pm

American Patrimony

One problem the Piketty work I discuss in today’s column may have — at least in America — is the widespread perception, even among those who take inequality seriously, that it’s all about compensation, that wealth inequality isn’t that big an issue, and that inheritance is also not that big an issue. We think hedge fund managers, not Kochs and Waltons.

But is this perception right? A lot of it seems to be based on the Fed’s Survey of Consumer Finances — but this may have trouble tracking really huge fortunes for the same reasons standard income surveys have trouble tracking really high incomes. And the problem is especially acute because wealth distribution is even more skewed than income distribution.

So it turns out that Emmanuel Saez and Gabriel Zucman have been developing an alternative procedure for estimating top wealth shares — preliminary slides here (pdf) — and it tells a very different story from the common one. According to their estimates, the wealth share of the very wealthy is in fact all the way back to Gilded Age levels:

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Meanwhile, focusing on the upper middle class, which is still fashionable among some pundits, misses the whole thing, because everyone below the 99th percentile has actually been left behind:

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If Saez and Zucman are right, and I have every reason to believe that they are, even those upset by trends in US inequality are living in the past. They still think Gordon Gekko is the problem — but if you look at my first chart, you see that things have moved on a lot since 1987, when Wall Street came out. Back then scrappy self-made predators ruled; now we’re much more likely to be talking about their children and heirs.

Patrimonial capitalism is already here, to a much greater extent than people realize.

 

Patrimoni americani

 

Un problema che può esserci con il lavoro di Piketty che ho esaminato nel mio articolo di oggi [1] – almeno in America – è la percezione diffusa, anche tra quelli che prendono il tema dell’ineguaglianza sul serio, che esso abbia interamente a che fare con le retribuzioni, che l’ineguaglianza derivante dalla ricchezza non sia quel gran problema, ed anche la ricchezza ereditaria non sia tale. Pensiamo ai dirigenti degli hedge fund, non ai Koch ed ai Walton.

Ma è l’impressione giusta? In gran parte essa sembra basarsi sul Sondaggio dei bilanci familiari sui consumi della Fed – ma questo pare abbia difficoltà nel seguire realmente gli andamenti delle grandi fortune per le stesse ragioni per le quali i sondaggi sui redditi ordinari hanno difficoltà a seguire realmente gli andamenti dei redditi elevati. E il problema è particolarmente acuto perché la distribuzione della ricchezza è anche più distorta della distribuzione del reddito.

Si scopre dunque che Emmanuel Saez e Gabriel Zucman hanno sviluppato una procedura alternativa per la stima delle quote di ricchezza più alte – qua in pdf le slides preliminari – ed essa ci racconta una storia molto diversa da quella consueta. Secondo le loro stime, la quota di ricchezza dei molto ricchi di fatto è tornata per intero ai livelli dell’Età dell’Oro [2]:

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Nel frattempo, concentrandoci sulla parte superiore della classe media, la qual cosa va ancora di moda tra qualche commentatore, si perde tutta la sostanza, perché tutti coloro che sono sotto il 99° percentile in effetti sono stati lasciati indietro:

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Se Saez e Zucman hanno ragione, ed ho ogni ragione di credere che ce l’abbiano, anche coloro che sono turbati per le tendenze dell’ineguaglianza negli Stati Uniti sono rimasti al passato. Essi pensano ancora che Gordon Gekko sia il problema – ma se guardate alla mia prima tabella, vi accorgete che le cose sono cambiate molto a partire del 1987, quando saltò fuori Wall Street. A quei tempi comandavano grintosi predoni che si erano fatti da soli; ora è molto più probabile che stiamo parlando dei loro figli ed eredi.

Il capitalismo patrimoniale è già qua, in una misura assai più grande di quello che la gente comprende.



[1] “La ricchezza al di sopra del lavoro”, New York Times 25 marzo 2014.

[2] Ovvero degli anni Venti.

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