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Posti di lavoro, competenze e zombie, di Paul Krugman (New York Times 30 marzo 2014)

 

Jobs and Skills and Zombies

MARCH 30, 2014 Paul Krugman

A few months ago, Jamie Dimon, the chief executive of JPMorgan Chase, and Marlene Seltzer, the chief executive of Jobs for the Future, published an article in Politico titled “Closing the Skills Gap.” They began portentously: “Today, nearly 11 million Americans are unemployed. Yet, at the same time, 4 million jobs sit unfilled” — supposedly demonstrating “the gulf between the skills job seekers currently have and the skills employers need.”

Actually, in an ever-changing economy there are always some positions unfilled even while some workers are unemployed, and the current ratio of vacancies to unemployed workers is far below normal. Meanwhile, multiple careful studies have found no support for claims that inadequate worker skills explain high unemployment.

But the belief that America suffers from a severe “skills gap” is one of those things that everyone important knows must be true, because everyone they know says it’s true. It’s a prime example of a zombie idea — an idea that should have been killed by evidence, but refuses to die.

And it does a lot of harm. Before we get there, however, what do we actually know about skills and jobs?

Think about what we would expect to find if there really were a skills shortage. Above all, we should see workers with the right skills doing well, while only those without those skills are doing badly. We don’t.

Yes, workers with a lot of formal education have lower unemployment than those with less, but that’s always true, in good times and bad. The crucial point is that unemployment remains much higher among workers at all education levels than it was before the financial crisis. The same is true across occupations: workers in every major category are doing worse than they were in 2007.

Some employers do complain that they’re finding it hard to find workers with the skills they need. But show us the money: If employers are really crying out for certain skills, they should be willing to offer higher wages to attract workers with those skills. In reality, however, it’s very hard to find groups of workers getting big wage increases, and the cases you can find don’t fit the conventional wisdom at all. It’s good, for example, that workers who know how to operate a sewing machine are seeing significant raises in wages, but I very much doubt that these are the skills people who make a lot of noise about the alleged gap have in mind.

 

And it’s not just the evidence on unemployment and wages that refutes the skills-gap story. Careful surveys of employers — like those recently conducted by researchers at both M.I.T. and the Boston Consulting Group — similarly find, as the consulting group declared, that “worries of a skills gap crisis are overblown.”

The one piece of evidence you might cite in favor of the skills-gap story is the sharp rise in long-term unemployment, which could be evidence that many workers don’t have what employers want. But it isn’t. At this point, we know a lot about the long-term unemployed, and they’re pretty much indistinguishable in skills from laid-off workers who quickly find new jobs. So what’s their problem? It’s the very fact of being out of work, which makes employers unwilling even to look at their qualifications.

So how does the myth of a skills shortage not only persist, but remain part of what “everyone knows”? Well, there was a nice illustration of the process last fall, when some news media reported that 92 percent of top executives said that there was, indeed, a skills gap. The basis for this claim? A telephone survey in which executives were asked, “Which of the following do you feel best describes the ‘gap’ in the U.S. workforce skills gap?” followed by a list of alternatives. Given the loaded question, it’s actually amazing that 8 percent of the respondents were willing to declare that there was no gap.

 

 

 

The point is that influential people move in circles in which repeating the skills-gap story — or, better yet, writing about skill gaps in media outlets like Politico — is a badge of seriousness, an assertion of tribal identity. And the zombie shambles on.

Unfortunately, the skills myth — like the myth of a looming debt crisis — is having dire effects on real-world policy. Instead of focusing on the way disastrously wrongheaded fiscal policy and inadequate action by the Federal Reserve have crippled the economy and demanding action, important people piously wring their hands about the failings of American workers.

 

Moreover, by blaming workers for their own plight, the skills myth shifts attention away from the spectacle of soaring profits and bonuses even as employment and wages stagnate. Of course, that may be another reason corporate executives like the myth so much.

So we need to kill this zombie, if we can, and stop making excuses for an economy that punishes workers.

 

Posti di lavoro, competenze e zombie, di Paul Krugman

New York Times 30 marzo 2014

 

Pochi mesi fa, Jamie Dimon, l’amministratore delegato della JP Morgan Chase, e Marlene Seltzer, amministratrice delegata di Jobs for the Future, pubblicarono un articolo su Politico dal titolo “Chiudere il divario di competenze”. L’avvio era solenne: “Oggi, quasi 11 milioni di americani sono disoccupati. Tuttavia, nello stesso tempo, 4 milioni di posti di lavoro sono scoperti” – il che si suppone dimostri “l’abisso tra le competenze che coloro che cercano lavoro attualmente possiedono e quelle che sono necessarie ai datori di lavoro.”

Effettivamente, in una economia in perenne mutamento ci sono sempre alcune posizioni scoperte anche quando ci sono lavoratori disoccupati, e l’attuale rapporto tra posti vacanti e lavoratori disoccupati è assai al di sotto della norma. Nel frattempo, vari studi accurati non hanno trovato sostegno alle pretese secondo le quali l’inadeguata competenza dei lavoratori spiegherebbe l’alta disoccupazione.

Ma il convincimento che l’America soffra di una “carenza di competenze” è una di quelle cose che chiunque sia importante sa che deve essere vera, giacché tutti quelli che conosce sanno che è vera. E’ un ottimo esempio di idea ‘zombi’, un’idea che dovrebbe essere stata ammazzata dall’evidenza, ma si rifiuta di morire.

E fa un gran danno. Prima di arrivare a quel punto, tuttavia, cos’è che effettivamente si deve sapere su competenze e posti di lavoro?

Si rifletta su quello che dovremmo aspettarci di trovare se davvero ci fosse carenza di competenze. Soprattutto, dovremmo vedere lavoratori con le competenze appropriate cavarsela bene, e soltanto quelli che non le hanno essere in difficoltà. Non è così.

Sì, i lavoratori con un bel po’ di istruzione ufficiale hanno minore disoccupazione di quelli che ne hanno meno, ma questo è sempre vero, nei periodi buoni come in quelli cattivi. Il punto cruciale è che la disoccupazione resta molto più elevata tra i lavoratori a tutti i livelli di istruzione rispetto a quella che era prima della crisi finanziaria. E’ vera la stessa cosa in tutti i settori lavorativi: i lavoratori in tutte le principali categorie stanno andando peggio che nel 2007.

Alcuni datori di lavoro si lamentano assai per le difficoltà che hanno nel trovare lavoratori con le competenze necessarie. Ma parlateci dei soldi: se i datori di lavoro hanno estremo bisogno di certe competenze, essi dovrebbero essere disponibili ad offrire più alti salari per attrarre i lavoratori che le possiedono. In realtà, invece, è molto difficile trovare gruppi di lavoratori che ottengono grandi incrementi salariali, ed i casi che si incontrano non corrispondono affatto a quello che suggerirebbe il senso comune. E’ un bene, ad esempio, che i lavoratori che sanno come far funzionare una macchina da cucire conoscano significativi aumenti dei salari, ma ho molti dubbi che siano queste le persone che si hanno in mente a proposito della pretesa carenza di competenze di cui si fa un gran parlare.

E non è solo la prova della disoccupazione e dei salari che confuta la spiegazione basata sulla carenza di competenze. Sondaggi scrupolosi tra i datori di lavoro – come quelli recentemente condotti da ricercatori, sia al MIT che al Boston Consulting Group – sono giunti alla stessa conclusione. Come ha dichiarato il gruppo dei consulenti, “i timori di una crisi per mancanza di competenze sono esagerati.”

L’unico brandello di prova che potrebbe essere addotto a favore della tesi della carenza di competenze è la brusca crescita della disoccupazione a lungo termine: essa potrebbe essere la prova che molti lavoratori non hanno quello che vogliono i datori di lavoro. Ma non è così. A questo punto, sappiamo molto sui disoccupati a lungo termine, ed essi sono abbastanza indistinguibili in fatto di competenze dai lavoratori licenziati che trovano rapidamente nuovi posti di lavoro.

Dunque, in che modo questa leggenda della carenza di competenze non solo persiste, ma resta parte di “quello che tutti sanno”? Ebbene, c’è una bella illustrazione del meccanismo che risale all’autunno passato, quando alcuni giornali informarono che il 92 per cento degli amministratori delegati più importanti dicevano che, in effetti, c’era una carenza di competenze. Quale era la base di quella affermazione? Un sondaggio telefonico nel quale si chiedeva a quegli amministratori: “Quali tra le cose seguenti a vostro avviso descrive in modo migliore ciò che manca nel ‘difetto’ di competenze della forza lavoro negli Stati Uniti?”. Considerata la tendenziosità della domanda, è abbastanza sorprendente che l’8 per cento delle risposte abbiano voluto dichiarare che non c’era alcun difetto di competenze.

Il punto è che le persone influenti frequentano circoli nei quali ripetere la storia della carenza di competenze – o, meglio ancora, scrivere della carenza di competenze su organi di seconda mano come Politico [1] – è un distintivo di serietà, una manifestazione di identità tribale. E gli zombi ci camminano sopra.

Sfortunatamente, la leggenda delle competenze – come la leggenda della crisi da debito incombente – provoca effetti tremendi nella politica del mondo reale. Invece di concentrarsi sul modo disastrosamente sbagliato in cui la politica della finanza pubblica e l’iniziativa inadeguata da parte della Fed hanno azzoppato l’economia e chiedere di agire, persone importanti si contorcono con fervore le mani sulle inettitudini dei lavoratori americani.

Inoltre, incolpando i lavoratori per le loro proprie difficoltà, la leggenda delle competenze allontana l’attenzione dallo spettacolo dei profitti che salgono alle stelle e delle gratifiche, persino in tempi di occupazione e di salari stagnanti. Ovviamente, questa può essere l’altra ragione per la quale agli amministratori delegati la leggenda piace molto.

Abbiamo dunque bisogno di ammazzare gli zombi, se ci riesce, e di smettere di accampare scuse per una economia che punisce i lavoratori.


 

 

 


[1] Una rivista ed un blog americano. Peraltro diventati famosi per una sorta di “classifica” che ogni tanto pubblicano sugli uomini politici americani che si sono distinti nell’affermare cose “vere” o “non vere”. Un giornalismo presunto moderno ed efficace, molte volte semplicemente ambiguo.

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