Mar 27, 2:05 pm
Yesterday I offered a rousing defense of the use of simplified models in economics. So maybe it’s appropriate that today I offer a caution: you should use models, but you should always remember that they’re models, and always beware of conclusions that depend too much on the simplifying assumptions. And I have a case in point, which ties into one of my other big concerns: the appropriate taxation of capital income.
Greg Mankiw is upset at my suggestion that the Bush administration was motivated by class interests in its determination to slash taxes on capital income and eliminate estate taxes. He wants us to know that it was all about optimal taxation, as dictated by economic theory.
Well, we could have a political discussion: How many people really, truly believe that George W. Bush chose to slash taxes on dividends and phase out the inheritance tax because Greg Mankiw and Glenn Hubbard told him that this was the conclusion from economic theory? Can we have a show of hands?
But let me instead point out that the case for zero or low taxation of capital income rests on very strong, very unrealistic assumptions — basically perfectly rational intertemporally optimizing agents, with dynasties behaving as if they were infinitely lived individuals. Question those assumptions, and the whole case falls apart. Don’t take my word for it — read Peter Diamond and Emmanuel Saez (pdf), who also point out that the intertemporal optimizing model of saving is in fact rejected by lots of evidence.
And when it comes to bequests, read Irving Fisher (pdf):
The ordinary millionaire capitalist about to leave this world forever cares less about what becomes of the fortune he leaves behind than we have been accustomed to assume. Contrary to a common opinion, he did not lay it up, at least not beyond a certain point, because of any wish to leave it to others. His accumulating motives were rather those of power, of self-expression, of hunting big game.
The point here is that the economic case for not taxing capital rests on a stylized model that we know does a bad job of capturing real behavior; the case for taxing capital rests on considerations of equity and concerns about excessive concentration of wealth that are very much grounded in real-world observation. You don’t have to be a know-nothing to argue that the second case trumps the first.
Oh, and you can believe this without renouncing the use of intertemporal optimization as a useful simplifying gadget in some cases. My original liquidity-trap paper involving embedding a minimalist monetary framework in, yes, a model of perfectly rational, infinitely-lived individuals. I did that to clear out the clutter and focus on what I considered the core issue — but I wouldn’t have pursued it if I thought the results depended crucially on the truth of those assumptions.
Using models without believing that they represent The Truth is hard; it’s very easy to fall of that tightrope one way or the other. But it’s what you have to do if you want to do useful economics.
Troppa fiducia nei modelli, versione tassazione sui capitali
Ieri ho presentato una difesa dei modelli semplificati in economia, allo scopo di stimolarne l’utilizzo. Forse è dunque opportuno che oggi presenti una messa in guardia: dovreste usare modelli, ma dovreste sempre ricordare che di modelli si tratta, ed essere sempre diffidenti da conclusioni che dipendano troppo da assunti semplificatori. E su tale argomento ho un esempio, che si collega ad una delle mie preoccupazioni maggiori: la tassazione appropriata del capitale.
Greg Mankiw va su tutte le furie per la mia indicazione per la quale la Amministrazione Bush era spinta da interessi di classe nella sua determinazione a ridurre le tasse sui redditi da capitale ed a eliminare le tasse di successione. Vuole che si sappia che dipendeva tutto dalla tassazione ottimale, come prescritta dalla teoria economica.
Ebbene, potremmo ben discuterne in termini politici: quante persone credono sul serio, veramente, che George W. Bush scelse di abbattere le tasse sui dividendi e di eliminare gradualmente la tassa di successione perché Greg Mankiw e Glenn Hubbard gli avevano detto che a questo conduceva la teoria economica? Vogliamo fare una votazione per alzata di mano?
Ma lasciatemi piuttosto mettere in evidenza che gli argomenti per una tassazione sui capitali molto bassa, o a zero, si basano su assunti molto arditi, del tutto irrealistici – fondamentalmente gli agenti economici che sono capaci di ottimizzare, perfettamente e razionalmente, gli sviluppi intertemporali [1], con le dinastie che si comportano come individui con sconfinata esperienza. Mettete in discussione questi assunti, e l’intero esempio cade a pezzi. Non dovete credermi sulla parola – leggete Peter Diamond ed Emmanuel Saez (disponibili in pdf), i quali anche indicano come il modello di risparmio della ottimizzazione intertemporale è stato nei fatti destituito di fondamento da una gran quantità di prove.
E quando si passa ai lasciti (della storia della teoria economica), si legga Irving Fisher (disponibile in pdf):
“I normali capitalisti miliardari prossimi a lasciare per sempre questo mondo, si preoccupano meno della fine che fanno le fortune che si lasciano alle spalle di quello che siamo soliti immaginare. Contrariamente all’opinione comune, essi non le hanno messe da parte, almeno non oltre una certa quantità, per un qualche desiderio di lasciarle agli altri. I motivi della accumulazione erano stati piuttosto quelli del potere, della auto affermazione, del partecipare alla ‘grande partita’.”
In questo caso il punto è che l’argomento economico per non tassare i capitali si basa su un modello semplificato che sappiamo non funziona granché nell’interpretare i comportamenti effettivi; la tesi del tassare i capitali si basa invece su considerazioni di equità e su preoccupazioni sulla eccessiva concentrazione della ricchezza che poggiano molto sull’osservazione del mondo reale. Non c’è bisogno di essere sprovveduti per sostenere che il secondo genere di argomenti surclassa il primo.
Infine, in qualche caso potete convincervi di questo rinunciando alla ottimizzazione intertemporale come utile strumento di semplificazione. Il mio saggio originario sulla trappola di liquidità includeva l’impianto di uno schema monetario minimalista in un modello, proprio così, di individui perfettamente razionali e infinitamente esperti. Feci così per far piazza pulita degli elementi di disordine e per concentrarmi su quello che consideravo il tema centrale – ma non sarei andato avanti se avessi pensato che i risultati dipendevano fondamentalmente dalla verità di quegli assunti.
Utilizzare i modelli senza credere che essi rappresentino ‘La Verità’ è difficile; è molto facile cadere da quella corda da funambolo, in un modo o nell’altro. Ma è quello che si deve fare se si vuol praticare un’economia utile.
[1] Ovvero, le differenze che normalmente intervengono tra una previsione economica e gli esiti della decisione derivante da quella aspettativa.
By mm
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