March 18, 2014, 4:15 pm
A few more thoughts on Nate Silver and his attempt to be a fox among hedgehogs.
First, a personal note: As an economist, I’m actually much more a fox than a hedgehog. In my home field of international economics, the great majority of researchers are either “real trade” people — using microeconomic models to understand international specialization and trade — or “international finance” types — using macroeconomic models to understand currency movements and the balance of payments. Only a relative handful of people straddle that divide; as someone who right from the beginning of my career was writing both about increasing returns and about currency crises, about economic geography and exchange rate regimes, I was pretty unusual. When I branched out into straight macro with my work on the liquidity trap, that was another foxlike move. And turning to income inequality as an issue was yet more of that.
Have I, in all of this, allowed the data to move my views? Very much so. I was initially very critical of the idea of self-fulfilling currency crises, but changed my mind after watching the Asian crisis unfold. I didn’t believe in the liquidity trap, in the possibility of a sustained shortfall in demand that couldn’t easily be solved with monetary policy, until Japan forced me to reexamine my model. I used to worry much more than I do now about the possibility of fiscal crisis induced by loss of confidence, even in countries that borrow in their own currency, but was persuaded by experience to rethink that view and reconsider my model.
It’s true that I haven’t changed my views on macroeconomics very much in the face of experience since 2008 — although I did mark down my views about the risks of outright deflation. But the reason I’ve pretty much stayed with the macro framework I already had in 2008 was the fact that the framework, you know, has worked — I made predictions about interest rates and inflation that were very much at odds with what a lot of people were saying, and I was right.
And right there you have an important lesson about what it means to take data into account. It very much does not mean changing your views all the time — if you have a model of how the world works, and the model is working, stability in what you say reflects respect for the data, not inflexibility. If I have spent the past 5+ years insisting, over and over again, that in a liquidity trap budget deficits don’t crowd out private spending and expanding the Fed’s balance sheet doesn’t cause inflation, that’s because they don’t. And if I return to those points many times, it’s because too much of the world still doesn’t get it.
Now, about FiveThirtyEight: I hope that Nate Silver understands what it actually means to be a fox. The fox, according to Archilocus, knows many things. But he does know these things — he doesn’t approach each topic as a blank slate, or imagine that there are general-purpose data-analysis tools that absolve him from any need to understand the particular subject he’s tackling. Even the most basic question — where are the data I need? — often takes a fair bit of expertise; I know my way around macro data and some (but not all) trade data, but I turn to real experts for guidance on health data, labor market data, and more.
What would be really bad is if this turns into a Freakonomics-type exercise, all contrarianism without any appreciation for the importance of actual expertise. And Michael Mann reminds me that Nate’s book already had some disturbing tendencies in that direction.
Ulteriori pensieri su ricci e volpi [1]
Qualche altro pensiero su Nate Silver e sul suo tentativo di essere una volpe in mezzo ai ricci.
Prima un nota personale: come economista, io sono effettivamente più una volpe che un riccio. Nel mio campo dell’economia internazionale, la grande maggioranza dei ricercatori sono o del genere del “commercio reale” – che utilizzano modelli microeconomici per capire la specializzazione ed il commercio internazionale – o del genere della “finanza internazionale” – che usano modelli macroeconomici per capire i movimenti valutari e la bilancia del pagamenti. Solo una manciata di persone stanno a cavallo di quella linea divisoria; da individuo che proprio agli inizi della propria carriera scriveva sia sui rendimenti crescenti che sulle crisi valutarie, sulla geografia economica e sui regimi dei tassi di cambio, ero abbastanza inconsueto. Quando mi allargai alla macroeconomia vera e propria con il mio lavoro sulla trappola di liquidità, quello era un’altra mossa da volpe. E spostandomi alla ineguaglianza dei redditi, come tematica era ancora ulteriormente diversa.
In tutto questo, ho consentito che i dati modificassero i miei punti di vista? Molto. Inizialmente ero molto critico con l’idea di crisi valutarie che si auto-avverano, ma cambiai la mia opinione dopo aver visto lo svolgimento della crisi asiatica. Non credevo nella trappola di liquidità, nella possibilità di una prolungata caduta nella domanda che non potesse essere facilmente risolta con la politica monetaria, finché il Giappone non mi costrinse a rivedere il mio modello. Ero di solito molto più preoccupato di ora sulla possibilità di crisi finanziarie indotte dalla perdita di fiducia, anche in paesi che si indebitano nella propria valuta, ma sono stato persuaso dall’esperienza a ripensare quel punto di vista ed a riconsiderare il mio modello.
E’ vero che, a fronte dell’esperienza, a partire dal 2008 non ho modificato di molto i miei punti di vista – sebbene abbia molto attenuato le mie valutazioni sui rischi di una aperta deflazione. Ma la ragione per la quale non mi sono mosso granché dal modello macroeconomico che avevo già nel 2008, come sapete, è che quello schema ha funzionato – feci previsioni sui tassi di interesse e sull’inflazione che erano del tutto opposte a quello che molte persone venivano dicendo, ed avevo ragione io.
E proprio lì c’è una importante lezione su quello che significhi mettere in conto le statistiche. Non significa affatto cambiare i propri punti di vista ogni volta – se si ha un modello di come il mondo funziona, restare stabili in quello che si dice è una manifestazione del rispetto delle statistiche, non della mancanza di flessibilità. Se ho speso i cinque anni passati e più nel sostenere, in continuazione, che in una trappola di liquidità i deficit di bilancio non ‘spiazzano’ la spesa privata e l’espansione degli equilibri patrimoniali della Fed non provoca inflazione, dipende dal fatto che è così. E se ritorno su quei concetti molte volte, è perché una parte troppo grande del mondo ancora non li afferra.
A questo punto, a proposito di FiveThirtyEight: io spero che Silver capisca quello che effettivamente significhi essere una volpe. La volpe, secondo Archiloco [2], conosce molte cose. Ma conosce per davvero tali cose – non affronta ciascun tema come una pagina ancora da scrivere, o non immagina che ci siano strumenti di analisi dei dati buoni per tutti gli usi che esimano dal comprendere l’oggetto particolare con il quale ci si sta misurando. Anche la questione più fondamentale – dove sono i dati di cui ho bisogno? – spesso richiede una discreta dose di esperienza; io mi oriento sui dati della macroeconomia e su una parte (ma non su tutti) i dati del commercio, ma mi rivolgo ad esperti veri per essere indirizzato sulle statistiche sanitarie, su quelle sul mercato del lavoro e su altre.
Quello che sarebbe davvero negativo è se questo si trasformasse in un esercizio del genere di una economia da individui stravaganti, una ostinata controtendenza su tutto, senza alcun apprezzamento sulla importanza di una esperienza effettiva. E Michael Mann mi rammenta che il libro di Nate già aveva fastidiose tendenze in quella direzione.
[1] Si riprende il tema del post del 18 marzo, h. 7,55. Essere una volpe anziché un riccio era un concetto espresso da Nate Silver, per esprimere lo stile cui voleva improntare il nuovo blog FiveThirtyEight, attorno al quale c’era molta attesa. Mi pare che intendesse che la volpe è un animale eclettico, che si occupa di tante cose, mentre il riccio è un soggetto che si specializza in poche cose, un po’ pedante. Non saprei dire se sia una differenza accertata in zoologia, anche se è vero che i ricci sono un po’ lenti.
[2] Tra gli scarsi frammenti di questo poeta lirico greco (nato nel 680 a.C) è rimasta una favola sulla volpe.
By mm
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