Apr 9, 11:18 am
The suggestion that only the short-term unemployed matter for wage determination, that the long-term unemployed have been written off, is rapidly congealing into orthodoxy. And it might be true. But I’m with Mike Konczal here: it’s far from being a well-established fact. Mike argues that to the extent it was true at all, it was a temporary phenomenon, and that more recent data don’t support the claim. I’d make a different (although not necessarily conflicting) argument: a lot of the supposed evidence comes from applying Phillips curves estimated over periods of moderate to high inflation, and there are good reasons to believe that such estimates misbehave at low inflation.
If you look at the figures Mike extracts from Krueger et al (pdf), they show “accelerationist” Phillips curves: unemployment determines not the rate of change of prices or wages, but the change in the rate of change. The idea is that recent inflation gets built into expectations and hence establishes a new baseline for each year’s short-run tradeoff.
But we know that there is strong evidence for downward nominal wage rigidity, which is binding for many workers at low inflation; we are constantly told that these days inflation expectations are “anchored”; and we know from historical experience with prolonged large output gaps (PLOGs) that countries very rarely go into actual deflation. All of this suggests that using a wage or price equation estimated over the 70s and early 80s could be very misleading if applied to today’s environment.
In fact, I’ve pointed out in the past that if you restrict yourself to Great Moderation-era data, what you seem to find is an old-fashioned, non-accelerationist Phillips curve. Furthermore, recent experience is consistent with that curve. Here’s the rate of growth of nonsupervisory wages:
I’d like to see someone do some more formal testing here, estimating Phillips curves on some rolling basis. My strong bet is that the coefficient on lagged inflation, which is forced to be 1 in the Krueger et al work, “wants” to be a lot less than 1 in recent decades.
My point is that we may well be mistaking the normal behavior of a low-inflation, depressed economy for a structural rise in the natural rate of unemployment.
PS: The Beveridge curve, widely taken as a sign of structural unemployment, seems to be normalizing.
Bassa inflazione ed illusioni strutturali (per esperti)
Il suggerimento che solo i disoccupati a breve-termine contino per la determinazione dei salari, che i disoccupati a lungo termine siano stati cancellati, si sta rapidamente consolidando in ortodossia. E può esser vero. Ma in questo caso sono con Mike Konczal: è lungi dall’essere un fatto ben accertato. Mike sostiene che nella misura in cui fosse un fatto del tutto vero, sarebbe un fenomeno temporaneo, ed inoltre che i dati più recenti non sono a sostegno di quella tesi. Avanzerei un argomento diverso (seppur non in conflitto): un bel po’ delle supposte prove derivano dalla applicazione delle curve di Phillips [1] che vengono stimate nei periodi da moderata ad elevata inflazione, e ci sono buone ragioni per credere che tali stime non si comportino adeguatamente nei periodi di bassa inflazione.
Se guardate alle tabelle che Mike estrae da Krueger ed altri (disponibile in pdf), esse mostrano curve di Phillips “accelerative”: la disoccupazione determina non il tasso di cambiamento dei prezzi e dei salari, ma il cambiamento nel tasso di cambiamento. L’idea è che la recente inflazione si costruisca nelle aspettative e di conseguenza stabilisca una nuova base di partenza per il bilanciamento di breve periodo di ogni anno.
Ma noi sappiamo che ci sono forti testimonianze della rigidità verso il basso dei salari nominali, che è vincolante per molti lavoratori in condizioni di bassa inflazione; c’è stato detto continuamente che le aspettative di inflazione di questi tempi sono “ancorate”; e sappiamo dall’esperienza storica degli ampi differenziali di prodotto che durano nel tempo che i paesi molto raramente finiscono in una effettiva deflazione. Tutto questo suggerisce che utilizzare una equazione dei salari o dei prezzi stimata nel corso degli anni ’70 e dei primi anni ’80 potrebbe essere molto fuorviante, se applicato alle condizioni di oggi.
Di fatto, ho messo in evidenza in passato che se ci si delimita ai dati dell’epoca della Grande Moderazione, quello che pare si scopra è una curva di Phillips vecchio stampo, non accelerativa. In aggiunta, l’esperienza recente è coerente con quella curva. Ecco il tasso di crescita dei salari degli addetti senza funzioni di supervisione:
Mi piacerebbe vedere qualcuno fare qualche prova in modo più formale in questo caso, stimando le curve di Phillips su una base in movimento. Sono pronto a scommettere che il coefficiente su una inflazione che resta indietro, che viene costretto al livello di 1 nel lavoro di Krueger ed altri, avrebbe una chiara necessità di collocarsi un bel po’ sotto il livello di 1 nei decenni recenti.
La mia opinione è che è probabile che stiamo tutti fraintendendo il normale comportamento di una bassa inflazione, di una economia depressa a causa di una crescita strutturale del tasso naturale di disoccupazione.
PS: la curva di Beveridge [2], generalmente considerata come un segno di disoccupazione strutturale, sembra si stia normalizzando.
[1] Vedi la lunga spiegazione (desunta da Wikipedia) nelle note sulla traduzione.
[2] William Beveridge fu economista e sociologo, nonché autore di una famosissimo rapporto che nel dopoguerra costituì la base per la costruzione della Stato Sociale britannico, da parte dei governi laburisti. La “curva di Beveridge” indica la relazione tra la disoccupazione ed i posti di lavoro disponibili. Come si vede dalla figura, l’asse verticale è dato dalla disponibilità di posti di lavoro espressa come percentuale della forza lavoro complessiva, mentre l’asse orizzontale indica il tasso di disoccupazione.
Sembra logico che più il tasso di disoccupazione cresce (si sposta verso destra), minore sia la quantità di posti di lavoro disponibili. Ma c’era sino a non molto tempo fa un mistero di cui parlava un post di Krugman del 1 luglio 2013. Il mistero è leggibile nella figura, considerando che essa rappresenta il periodo complessivo degli ultimi 12 anni e che i punti rossi, nella loro sequenza, indicano l’evoluzione dei posti di lavoro disponibili dall’anno 2009 all’anno 2013. Sembrerebbe dunque che la disponibilità di posti di lavoro, pure a livelli comprensibilmente inferiori rispetto ai primi anni 2000, stia nel periodo più recente risalendo nonostante che il tasso di disoccupazione sia in questi anni aumentato.
Ebbene, parrebbe che questa anomalia stia scomparendo.
By mm
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