Raghuram Rajan is Governor of the Reserve Bank of India.
APR 28, 2014
MUMBAI – As the world struggles to recover from the global economic crisis, the unconventional monetary policies that many advanced countries adopted in its wake seem to have gained widespread acceptance. In those economies, however, where debt overhangs, policy is uncertain, or the need for structural reform constrains domestic demand, there is a legitimate question as to whether these policies’ domestic benefits have offset their damaging spillovers to other economies.
More problematic, the disregard for spillovers could put the global economy on a dangerous path of unconventional monetary tit for tat. To ensure stable and sustainable economic growth, world leaders must re-examine the international rules of the monetary game, with advanced and emerging economies alike adopting more mutually beneficial monetary policies.
To be sure, there is a role for unconventional policies like quantitative easing (QE); when markets are broken or grossly dysfunctional, central bankers need to think innovatively. Indeed, much of what was done immediately after the collapse of US investment bank Lehman Brothers in 2008 was exactly right, though central bankers had no guidebook.
But problems arise when these policies are extended beyond repairing markets; the domestic benefits are at best unclear when economies are deeply damaged or need serious reform, while the spillovers from such policies fuel currency and asset-price volatility in both the home economy and emerging countries.
Greater coordination among central banks would contribute substantially to ensuring that monetary policy does its job at home, without excessive adverse side effects elsewhere. Of course, this does not mean that central bankers should be hosting meetings or conference calls to discuss collective strategies. Rather, the mandates of systemically influential central banks should be expanded to account for spillovers, forcing policymakers to avoid unconventional measures with substantial adverse effects on other economies, particularly if the domestic benefits are questionable.
For a long time, economists had converged on the view that if central banks optimized policies for their domestic situation, coordination could offer little benefit. But central banks today are not necessarily following optimal policies – a variety of domestic constraints, including dysfunctional domestic politics, may prompt more aggressive policies than are strictly warranted or useful.
In addition, cross-border capital flows, which increase economies’ exposure to the effects of one another’s policies much more than in the past, are not necessarily guided by economic conditions in recipient countries. Central banks, in an effort to keep capital away and hold down the exchange rate, risk becoming locked into a cycle of competitive easing aimed at maximizing their countries’ share of scarce existing world demand.
With a few rare but laudable exceptions, officials at multilateral institutions have not questioned these unconventional monetary policies, and have largely been enthusiastic about them. This approach carries two fundamental risks.
The first hazard is a breakdown of the rules of the game. Endorsing unconventional monetary policies unquestioningly is tantamount to saying that it is acceptable to distort asset prices if there are other domestic constraints on growth.
By the same token, it would become legitimate for countries to practice what they might call “quantitative external easing” (QEE), with central banks intervening to hold down their exchange rates, while building huge reserves. If net spillovers do not determine internationally acceptable policy, multilateral institutions cannot claim that QEE contravenes the rules of the game, regardless of how much instability it engenders.
In fact, this is no mere hypothetical. Quantitative easing and its cousins are implemented primarily in situations in which banks are willing to hold enormous quantities of reserves unquestioningly – typically when credit channels are blocked and other sources of interest-sensitive demand are weak. In such situations, QE “works,” if at all, primarily by altering exchange rates and shifting demand between countries. In other words, it is different from QEE in degree, not in kind.
The second danger is that source countries’ unwillingness to take spillovers into account causes unintended collateral damage in recipient countries, prompting self-interested action on their part. Even as source-country central banks have painstakingly communicated how domestic conditions will guide their exit path from unconventional policies, they have remained silent about how they would respond to foreign turmoil.
28 aprile 2014
Contenere la facilitazione monetaria competitiva
di Raghuram Rajan
MUMBAI – Nel mentre il mondo combatte per riprendersi dalla crisi economica globale, le politiche monetarie non convenzionali adottate all’indomani sembrano aver guadagnato un consenso generale. Tuttavia, in quelle economie nelle quali il debito è in eccesso, dove la politica è incerta, oppure dove il bisogno di riforme strutturali limita la domanda interna, ci si chiede legittimamente se i benefici di queste politiche nazionali bilancino le loro ripercussioni sulle altre economie.
In modo più problematico, il trascurare tali ripercussioni potrebbe mettere l’economia globale sul sentiero pericoloso di una logica monetaria non convenzionale basata sulle ritorsioni. Per assicurare una crescita economica stabile e sostenibile, i dirigenti mondiali dovrebbero riesaminare le regole internazionali del gioco monetario; le economie avanzate e quelle emergenti assieme dovrebbero essere capaci di adottare politiche monetarie mutualmente soddisfacenti.
E’ innegabile che ci sia un ruolo per politiche come quella della ‘facilitazione quantitativa’ (QE) [1]; quando i mercati sono deboli o esageratamente inefficienti, i banchieri centrali hanno bisogno di ragionare in termini innovativi. In effetti, molto di quello che è stato fatto immediatamente dopo il collasso della banca di investimenti americana Lehman Brothers nel 2008 è stato semplicemente giusto, sebbene i banchieri centrali non dispongano di guide sicure.
Ma problemi si sollevano quando queste politiche sono prolungate oltre il tempo necessario per porre rimedio ai guasti dei mercati; quando le economie sono profondamente danneggiate e richiedono serie riforme, i benefici interni sono nel migliore dei casi poco chiari, mentre le ripercussioni di tali politiche alimentano volatilità nelle valute e nei prezzi degli assets sia nell’economia interna che nei paesi emergenti.
Un maggiore coordinamento tra le banche centrali contribuirebbe ad assicurare che la politica monetaria svolga i suoi compiti all’interno, senza eccessivi effetti collaterali nel resto del mondo. Ovviamente, questo non significa che i banchieri centrali debbano farsi carico di incontri o di teleconferenze per discutere di strategie collettive. Piuttosto, la autonomia di iniziativa delle banche centrali con una influenza sistemica dovrebbe essere ampliata sino a comprendere le ricadute delle sue iniziative, costringendo gli operatori politici ad evitare misure non convenzionali con effetti sostanzialmente negativi sulle altre economie, in particolare laddove i benefici interni siano dubbi.
Da molto tempo gli economisti hanno convenuto sul punto di vista per il quale se le banche centrali hanno ottimizzato politiche per le loro situazioni nazionali, il coordinamento potrebbe pur offrire un piccolo beneficio. Ma le banche centrali ai giorni nostri non stanno di necessità seguendo politiche ottimali – una varietà di limitazioni interne, incluse politiche nazionali disfunzionali, possono suggerire politiche più aggressive che siano rigorosamente giustificate o utili.
In aggiunta, i flussi dei capitali oltre frontiera, che aumentano l’esposizione delle economie agli effetti delle politiche altrui assai di più che nel passato, non sono necessariamente determinati dalle condizioni economiche dei paesi destinatari. Le banche centrali, nello sforzo di tenere sotto controllo i capitali e di abbassare il tasso di cambio, rischiano di rinchiudersi in un ciclo di facilitazione competitiva rivolta a massimizzare la quota della domanda mondiale esistente a favore dei loro paesi.
Con rare seppur lodevoli eccezioni, i dirigenti delle istituzioni multilaterali non hanno avanzato interrogativi su queste politiche monetarie non convenzionali, e si sono mostrati in larga parte entusiasti verso di esse. E’ un approccio che comporta due rischi fondamentali.
Il primo pericolo è quello di un rovesciamento delle regole del gioco. Appoggiare politiche monetarie non convenzionali senza avanzare dubbi è la stessa cosa che dire che è accettabile distorcere i prezzi degli assets, in presenza di altri limiti interni alla crescita.
Nello stesso modo, diventerebbe legittimo che i paesi praticassero quello che potrebbero definire “facilitazione quantitativa esterna” (QEE), con le banche centrali che intervengono per abbassare i loro tassi di cambio, nel mentre aumentano vaste riserve. Se le ricadute nette non sono il fattore che decide della ammissibilità politica al livello internazionale, le istituzioni internazionali non possono sostenere che quella “facilitazione quantitativa esterna” contravverrebbe le regole del gioco, a prescindere da quanta instabilità essa generi.
Di fatto, non si tratta di una semplice ipotesi. Le ‘facilitazioni quantitative’ e le politiche consimili sono messe in atto principalmente nelle situazioni nelle quali le banche hanno la volontà di detenere enormi quantità di riserve senza ricevere obiezioni – quando i canali del credito sono tipicamente bloccati e le altre fonti della domanda sensibili all’interesse sono deboli. In tali situazioni, la ‘facilitazione quantitativa’ funziona, ammesso che accada, principalmente attraverso una alterazione dei tassi di cambio ed uno spostamento della domanda tra i vari paesi. In altre parole, essa è diversa dalla “facilitazione quantitativa esterna” per intensità, non per genere.
Il secondo pericolo è che quell’originaria indisponibilità dei paesi a mettere nel conto le ricadute provoca danni collaterali non intenzionali nei paesi destinatari, inducendoli a loro volta ad agire nel proprio interesse. Persino quando le banche centrali dei paesi che sono stati all’origine del fenomeno hanno accuratamente comunicato a quali condizioni interne avrebbero ispirato le loro vie di uscita dalle politiche non convenzionali, se ne sono rimaste silenziose su come avrebbero risposto alle turbative internazionali.
La conclusione evidente – rafforzata dalla recente turbolenza dei mercati finanziari che ha fatto seguito all’iniziativa americana per venir fuori da più di cinque anni di ‘facilitazione quantitativa’ – è che i paesi destinatari procedono per loro conto. Di conseguenza, le economie emergenti sono sempre più sospettose nel gestire ampi deficit, e stanno collocando come priorità fondamentale quella di mantenere tassi di cambio competitivi e di accumulare ampie riserve da utilizzare come assicurazioni contro gli shocks. In un periodo nel quale la domanda aggregata è penosamente insufficiente, è questa la risposta che i paesi che hanno originato tale situazione intendevano provocare?
Nonostante gli evidenti benefici di una espansione della autonomia di iniziativa [2] delle banche centrali sino a incorporare le ripercussioni, un tale cambiamento sarebbe difficile da mettere in atto in un tempo nel quale le preoccupazioni economiche nazionali sono politicamente di primaria importanza. Una soluzione più praticabile, almeno ad oggi, sarebbe che le banche centrali reinterpretino i loro mandati per valutare le conseguenze delle risposte politiche a medio termine dei paesi che ne ricevono gli effetti, quali un intervento prolungato sul tasso di cambio.
In questo modo le banche centrali potrebbero riconoscere esplicitamente le ricadute negative e minimizzarle, senza oltrepassare i limiti dei loro esistenti mandati. Questa forma più debole di coordinamento potrebbe essere accompagnata da un riesame complessivo degli strumenti di sicurezza.
I rischi generati dall’attuale assenza di regole sono un problema sia per i paesi avanzati che per le economie emergenti. La minaccia costituita dalle facilitazioni monetarie competitive è importante per tutti. In un mondo con una domanda aggregata debole, i paesi si stanno impegnando in una competizione futile per una fetta più grande di quella domanda. Per quella strada, stanno creando rischi per il settore finanziario e per i paesi esteri che diventeranno sempre più evidenti allorquando i paesi usciranno dalle loro politiche non convenzionali.
Il primo passo nel prescrivere una cura giusta è riconoscere la causa della malattia. Prima la riconosceremo, più forte e più sostenibile sarà la ripresa economica globale.
[1] Per il significato di “quantitative easing” vedi le note sulla traduzione.
[2] Come si sarà già notato interpreto e traduco “mandate” (“delega”) con “autonomia di iniziativa” , leggermente diverso ma più chiaro. Il senso è che si dovrebbe incorporare il tema degli effetti internazionali delle loro politiche nella “autonoma” (ma obbligata, alla stregua appunto di un “mandate”) iniziativa delle banche centrali che applicano iniziative monetarie non convenzionali.
By mm
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