April 25, 2014, 10:09 am
It’s kind of a sideshow in the larger scheme of things, but something worth noting is taking place on the fringes (literally) of economic discussion: an upwelling of frustration on the part of heterodox economists. You see it in Thomas Palley’s complaint about gattopardo economics, which I discussed yesterday; you see it in the demands for a radical change in the economics curriculum, which Simon Wren-Lewis wrote about yesterday.
I understand the frustration, but the heterodox need to realize that they have, to an important extent, been working with the wrong story line.
Here’s the story they tell themselves: the failure of economists to predict the global economic crisis (and the poor policy response thereto), plus the surge in inequality, show the failure of conventional economic analysis. So it’s time to dethrone the whole thing — basically, the whole edifice dating back to Samuelson’s 1948 textbook — and give other schools of thought equal time.
Unfortunately for the heterodox (and arguably for the world), this gets the story of what actually happened almost completely wrong.
It is true that economists failed to predict the 2008 crisis (and so did almost everyone). But this wasn’t because economics lacked the tools to understand such things — we’ve long had a pretty good understanding of the logic of banking crises. What happened instead was a failure of real-world observation — failure to notice the rising importance of shadow banking. Economists looked at conventional banks, saw that they were protected by deposit insurance, and failed to realize that more than half the de facto banking system didn’t look like that anymore. This was a case of myopia — but it wasn’t a deep conceptual failure. And as soon as people did recognize the importance of shadow banking, the whole thing instantly fell into place: we were looking at a classic financial crisis.
What about the lousy policy response — austerity and all that? The key point here was that policymakers weren’t basing their decisions on conventional economics. On the contrary, they decided to blow off textbook macroeconomics and embrace exotic doctrines like expansionary austerity and a mysterious growth cliff at 90 percent debt relative to GDP. The disastrous policy responses that have perpetuated the slump are the result of mainstream economics having too little influence, not too much.
Now, to be fair, there is a civil war within academic macroeconomics, and what I’m calling “mainstream” is the saltwater side of that civil war. But the critics want much more than to boost saltwater macro at the expense of the new classical guys — they want to drive people like me out of the temple, too. And the thing is that they want to do this even though, as Wren-Lewis says, Keynesian macro has actually performed very well since 2008.
What about the new respect given to heterodox thinkers like Minsky, and heterodox ideas like secular stagnation? I agree that mainstream economists didn’t pay enough attention to such people — way back, one of my principles for working in economics was “listen to the Gentiles.” But it’s hard to claim that such work is deeply incompatible with mainstream economics when Janet Yellen embraces Minsky and Larry Summers becomes a secular stagnationist.
And what about inequality? Some people are annoyed at Thomas Piketty by presenting his data and ideas in a form that is fairly comfortable for conventional economists, at least those of eclectic disposition. But doesn’t that show that conventional economics is indeed capable of accommodating big concerns about inequality? You fairly often find heterodox economists insisting that to accept the idea that capital and labor are paid their marginal products, even as a working hypothesis to be modified when you address things like executive pay, is to accept that high inequality is morally justified. But that’s obviously not the case: there are plenty of economists who are willing to use marginal-product models (as gadgets, not as fundamental truth) who don’t at all accept the sanctity of the market distribution of income. So this complaint is, in its own way, as much of a distortion as the right-wing claim that anyone who so much as mentions inequality is a Marxist.
How should the crisis and the reemergence of very high income inequality affect how we do and teach economics? For sure, it says that we need to do a lot more history, including deep history. Events have also reflected very badly on the style of economics that prizes “microfoundations” based on ultra-rational behavior over evidence, and rules any kind of ad hockery out of bounds. But the heterodox want more than that; they want to interpret recent events as a refutation of the kind of economics Wren-Lewis, or Janet Yellen, or Larry Summers (as economist, not public official), or yours truly does. And that interpretation just doesn’t work. By all means, advance heterodox ideas if you believe they’re right. But don’t claim vindication from events that didn’t actually follow the script you wish they did.
Frustrazione degli eterodossi
E’ come un evento secondario nel quadro più ampio delle cose, ma qualcosa merita di essere annotato in queste prese di posizione sulle frange (letteralmente) del dibattito economico: una sorta di frustrazione montante dalle parti degli economisti eterodossi. La si vede nella lamentela di Thomas Palley a proposito dell’ “economia del gattopardo” [1], che ho discusso ieri; la si vede nelle richieste per un radicale cambiamento nel curriculum di economia, della quale Simon Wren-Lewis ha scritto ieri.
Io capisco la frustrazione, ma gli eterodossi hanno bisogno di comprendere che stanno lavorando, in buona parte, sulla trama sbagliata.
Ecco quello che essi si raccontano: l’incapacità degli economisti nel prevedere la crisi economica globale (e di conseguenza la povertà della risposta politica), in aggiunta alla crescita dell’ineguaglianza, mostrano il fallimento dell’analisi economica tradizionale. E’ dunque tempo di far scendere dal trono l’intera costruzione – fondamentalmente, l’intero edificio che data dal libro di testo di Samuelson del 1948 – e dare eguale spazio ad altre scuole di pensiero.
Sfortunatamente per gli eterodossi (e forse anche per il mondo), così si intende la storia di quello che è effettivamente avvenuto in modo del tutto sbagliato.
E’ vero che gli economisti non sono stati capaci di prevedere la crisi del 2008 (e fu così quasi per tutti). Ma questo non dipese dal fatto che all’economia mancavano gli strumenti per comprendere quei fatti – avevamo da lungo tempo una comprensione della logica delle crisi bancarie. Quello che accadde, invece, fu una incapacità di osservazione del mondo reale – l’incapacità di notare la crescente importanza del sistema bancario ombra. Gli economisti guardavano alle banche convenzionali, vedevano che esse erano protette dalla garanzia dei depositi, e non riuscivano a capire che più della metà del sistema bancario di fatto non assomigliava più a tutto ciò, in nessun modo. Fu un caso di miopia, ma non fu un profondo fallimento concettuale. E appena le persone riconobbero l’importanza del sistema bancario ombra, l’intera faccenda ritrovò la sua logica: stavamo assistendo ad una crisi finanziaria classica.
Che dire della risposta politica scadente, dell’austerità e di tutto il resto? Il punto chiave fu che gli uomini politici non stavano basando le loro decisioni sull’economia convenzionale. Al contrario, decisero di spazzar via la macroeconomia dei libri di testo e di abbracciare dottrine esotiche come quelle dell’austerità espansiva e della misteriosa soglia al 90 per cento della crescita del rapporto tra debito e PIL. Le risposte politiche disastrose che hanno perpetuato la crisi sono il risultato di una economia tradizionale che ha avuto una influenza troppo piccola, non troppo grande.
Ora, ad essere giusti, c’è una guerra civile all’interno dell’economia accademica, e quello che io sto chiamando “convenzionale” è lo schieramento dell’ “acqua salata” [2], all’interno di quella guerra civile. Ma i critici vogliono fare molto di più che non incoraggiare la macro dell’ “acqua salata” – essi vogliono anche spedire fuori dal “tempio” persone come il sottoscritto. E il punto è che vogliono fare questo anche se, come Wren-Lewis dice, la macroeconomia keynesiana si è comportata assai bene all’indomani del 2008.
Cosa dire del nuovo rispetto offerto a pensatori eterodossi come Minsky, ed alle idee eterodosse sulla stagnazione secolare? Io sono d’accordo che gli economisti tradizionali [3] non prestarono sufficiente attenzione a tali persone – nel passato, uno dei miei principi nel lavoro economico era “ascoltare i Gentili” [4]. Ma è difficile sostenere che un lavoro del genere sia profondamente incompatibile con l’economia convenzionale, una volta che Janet Yellen fa proprio Minsky e Larry Summers professa la “stagnazione secolare” [5].
E che dire dell’ineguaglianza? Alcune persone sono disturbate dal fatto che Thomas Piketty presenti i suoi dati e le sue idee in una forma che è abbastanza confortevole per gli economisti convenzionali, almeno per quelli con disposizione eclettica. Ma questo non mostra che l’economia tradizionale è in effetti capace di soddisfare le grandi preoccupazioni per l’ineguaglianza? Si trovano abbastanza frequentemente economisti eterodossi che insistono sul fatto che accettare l’idea che capitale e lavoro siano pagati per il loro prodotto marginale, pur essendo una ipotesi di lavoro da modificare quando ci si rivolge a cose come i compensi dei dirigenti di impresa, sia come accettare che l’elevata ineguaglianza sia moralmente giustificata. Ma in questo caso evidentemente non si tratta di questo: c’è una quantità di economisti che sono disponibili ad utilizzare i modelli del prodotto marginale (alla stregua di artifici logici, non di verità rivelate) che non accettano affatto la santità della distribuzione e del reddito di mercato. Dunque questa lamentela è, per la sua parte, altrettanto distorta della pretesa della destra, secondo la quale chiunque faccia menzione dell’ineguaglianza è un marxista.
Come dovrebbero, la crisi ed il ritorno della elevatissima ineguaglianza di reddito, influenzare i modi in cui facciamo ed insegnamo economia? Di certo, questo ci dice che abbiamo bisogno di un bel po’ di storia in più, inclusa la storia profonda. Gli eventi si sono anche riflettuti assai malamente sullo stile di quella teoria economica che valuta più dei riscontri reali i “fondamenti microeconomici” basati sui comportamenti ultra-razionali [6], e colloca fuori dai confini ogni tipo di approccio dipendente da soluzioni e ipotesi provvisorie. Ma gli eterodossi vogliono ben altro: essi vogliono interpretare i fatti recenti come una confutazione del genere di teoria economica utilizzata da Wren-Lewis, da Janet Yellen, da Larry Summers (come economista, non come dirigente pubblico), o dal sottoscritto. E quella interpretazione non sta proprio in piedi. In ogni caso, vengano avanti le idee eterodosse, se si crede che siano giuste. Ma non si pretenda una convalida da fatti che in verità non hanno seguito il copione che si desiderava seguissero.
[1] Vedi il post del 24 aprile.
[2] Per il termine di “teoria economica dell’acqua salata” vedi le note sulla traduzione a “freshwater and saltwater economists”. In breve, comunque, negli Stati Uniti furono chiamati dell’ “acqua salata” gli orientamenti keynesiani e dell’ “acqua dolce” quelli neoclassici. La ragione di queste bizzarre definizione, erano che i primi orientamenti erano diffusi nelle Università delle due aree delle coste oceaniche (nordest e California), mentre i secondi nella zona dei grandi laghi (Chicago in particolare).
[3] Difficilmente si può tradurre “mainstream economics” se non come “indirizzo/teoria economica prevalente, convenzionale, tradizionale”; tuttavia è una traduzione che può non soddisfare, proprio per quanto Krugman ha appena detto a proposito di “due” tendenze principali nella macroeconomia americana dei decenni passati. C’è una certa illogicità, dunque, a tradurre con “economia dell’indirizzo convenzionale”, quando c’erano due indirizzi in feroce contrasto l’uno con l’altro. Ma, come si è accorto chi nel passato ha letto altri posts di Krugman sull’argomento, c’è una ragione di fondo nel suo ragionamento: egli, diciamo così, non vuole “regalare” niente ai moderni teorici dell’austerità. Al punto che nel recente passato aveva spesso insistito come anche le posizioni teoriche di Milton Friedman fossero state assai diverse dai moderni ‘patiti’ dell’austerità e di una politica monetaria restrittiva.
In ogni caso, nella frase attualmente in questione egli si riferisce alla componente “progressista”: per i keynesiani o neokeynesiani Minsky fu sottovalutato (e rivalutato dopo la crisi, Krugman compreso); per i neoclassici, Minsky era semplicemente una specie di economista blasfemo e inutile, messo per definizione al bando.
[4] Il riferimento è ad un vecchio appunto di Krugman, dattiloscritto nella connessione, che ho trovato altre volte senza riuscire a datarlo. In esso spiegava che una delle sue regole (anzi, la prima) era quella di ascoltare le persone “intelligenti”, anche se non avevano le sue inclinazioni ed il suo linguaggio analitico. Non, proseguiva, per una sottovalutazione degli “eretici”, ma (suppongo) per la necessità di riferirsi ai blocchi intellettuali più consolidati.
[5] Come dire, che gli eretici alla Minsky furono sottovalutati, ma non si può dire che si sia rimasti impermeabili alla loro lettura delle cose. Il che, se mi è permesso, è convincente solo in parte. Perché, ad esempio, se l’errore fatto nel 2008 fu quello di non considerare il sistema bancario ombra, quell’errore dipese anche proprio da una sottovalutazione di Minsky.
[6] Ovvero, l’idea di un approccio alla macroeconomia unicamente basato sulla economia micro, che dà per implicito che la condotta razionale dei micro soggetti economici possa nello stesso modo regolare i comportamenti dei grandi soggetti collettivi.
By mm
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