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Salvarsi diventa conveniente, di Paul Krugman (New York Times 17 aprile 2014)

 

Salvation Gets Cheap

APRIL 17, 2014 Paul Krugman

The Intergovernmental Panel on Climate Change, which pools the efforts of scientists around the globe, has begun releasing draft chapters from its latest assessment, and, for the most part, the reading is as grim as you might expect. We are still on the road to catastrophe without major policy changes.

But there is one piece of the assessment that is surprisingly, if conditionally, upbeat: Its take on the economics of mitigation. Even as the report calls for drastic action to limit emissions of greenhouse gases, it asserts that the economic impact of such drastic action would be surprisingly small. In fact, even under the most ambitious goals the assessment considers, the estimated reduction in economic growth would basically amount to a rounding error, around 0.06 percent per year.

What’s behind this economic optimism? To a large extent, it reflects a technological revolution many people don’t know about, the incredible recent decline in the cost of renewable energy, solar power in particular.

Before I get to that revolution, however, let’s talk for a minute about the overall relationship between economic growth and the environment.

Other things equal, more G.D.P. tends to mean more pollution. What transformed China into the world’s largest emitter of greenhouse gases? Explosive economic growth. But other things don’t have to be equal. There’s no necessary one-to-one relationship between growth and pollution.

People on both the left and the right often fail to understand this point. (I hate it when pundits try to make every issue into a case of “both sides are wrong,” but, in this case, it happens to be true.) On the left, you sometimes find environmentalists asserting that to save the planet we must give up on the idea of an ever-growing economy; on the right, you often find assertions that any attempt to limit pollution will have devastating impacts on growth. But there’s no reason we can’t become richer while reducing our impact on the environment.

Let me add that free-market advocates seem to experience a peculiar loss of faith whenever the subject of the environment comes up. They normally trumpet their belief that the magic of the market can surmount all obstacles — that the private sector’s flexibility and talent for innovation can easily cope with limiting factors like scarcity of land or minerals. But suggest the possibility of market-friendly environmental measures, like a carbon tax or a cap-and-trade system for carbon emissions, and they suddenly assert that the private sector would be unable to cope, that the costs would be immense. Funny how that works.

The sensible position on the economics of climate change has always been that it’s like the economics of everything else — that if we give corporations and individuals an incentive to reduce greenhouse gas emissions, they will respond. What form would that response take? Until a few years ago, the best guess was that it would proceed on many fronts, involving everything from better insulation and more fuel-efficient cars to increased use of nuclear power.

 

 

 

 

One front many people didn’t take too seriously, however, was renewable energy. Sure, cap-and-trade might make more room for wind and the sun, but how important could such sources really end up being? And I have to admit that I shared that skepticism. If truth be told, I thought of the idea that wind and sun could be major players as hippie-dippy wishful thinking.

But I was wrong.

The climate change panel, in its usual deadpan prose, notes that “many RE [renewable energy] technologies have demonstrated substantial performance improvements and cost reductions” since it released its last assessment, back in 2007. The Department of Energy is willing to display a bit more open enthusiasm; it titled a report on clean energy released last year “Revolution Now.” That sounds like hyperbole, but you realize that it isn’t when you learn that the price of solar panels has fallen more than 75 percent just since 2008.

Thanks to this technological leap forward, the climate panel can talk about “decarbonizing” electricity generation as a realistic goal — and since coal-fired power plants are a very large part of the climate problem, that’s a big part of the solution right there.

It’s even possible that decarbonizing will take place without special encouragement, but we can’t and shouldn’t count on that. The point, instead, is that drastic cuts in greenhouse gas emissions are now within fairly easy reach.

So is the climate threat solved? Well, it should be. The science is solid; the technology is there; the economics look far more favorable than anyone expected. All that stands in the way of saving the planet is a combination of ignorance, prejudice and vested interests. What could go wrong? Oh, wait.

 

Salvarsi diventa conveniente, di Paul Krugman

New York Times 17 aprile 2014

 

Il Comitato Intergovernativo sul Cambiamento Climatico, che raccoglie gli sforzi degli scienziati di tutto il mondo, ha cominciato ha cominciato a distribuire i capitoli in bozza delle sue ultime valutazioni, e, per la maggior parte, la lettura è sgradevole come ci si potrebbe aspettare. Siamo ancora sulla strada di una catastrofe, se non intervengono importanti cambiamenti politici.

Ma c’è una parte della valutazione che è sorprendentemente, seppur a determinate condizioni, positiva: il loro giudizio sull’economia della riduzione del danno. Anche se il rapporto si pronuncia per una drastica iniziativa per limitare le emissioni di gas serra, esso afferma che l’impatto economico di tali drastiche iniziative sarebbe sorprendentemente modesto. Di fatto, anche sulla base dei più ambiziosi obbiettivi che la valutazione prende in considerazione, la riduzione della crescita economica che viene stimata ammonterebbe fondamentalmente, con un margine di approssimazione, ad uno 0,06 per cento all’anno.

Da cosa dipende questo ottimismo economico? In larga misura, esso riflette una rivoluzione tecnologica della quale molti non sono al corrente, l’incredibile riduzione recente del costo dell’energia rinnovabile, dell’energia solare in particolare.

Prima di passare a tale rivoluzione, tuttavia, consentitemi di discorrere per un attimo della relazione tra crescita economica e ambiente.

A parità delle altre condizioni, il PIL tende a comportare maggiore inquinamento. Cosa ha trasformato la Cina nel più grande produttore mondiale di gas serra? La crescita economica esplosiva. Ma non è necessario che gli altri fattori restino immutati. Non è necessario che la relazione tra crescita ed inquinamento sia di uno ad uno.

Sia a destra che a sinistra, le persone spesso non riescono ad afferrare questo punto (non sopporto quando i commentatori cercano di trattare ogni tema secondo lo schema “hanno torto entrambi gli schieramenti”, ma in questo caso è proprio così). A sinistra, si trovano talvolta ambientalisti che sostengono che per salvare il pianeta dobbiamo rinunciare all’idea di una economia in crescita perenne: a destra, si trovano spesso giudizi per il quali ogni tentativo di limitare l’inquinamento avrà effetti devastanti sulla crescita. Ma non c’è alcuna ragione per la quale non si possa diventare più ricchi nel mentre si riduce il nostro impatto sull’ambiente.

Fatemi aggiungere che i sostenitori del libero mercato sembrano prestarsi ad una particolare perdita della fiducia ogni qualvolta viene fuori il tema dell’ambiente. Essi di norma strombazzano il loro convincimento che la magia del mercato possa superare tutti gli ostacoli – che la flessibilità del settore privato e l’attitudine all’innovazione possano facilmente misurarsi con fattori limitanti quali la scarsità di territori o di minerali. Ma si indichi la possibilità di misure ambientali non ostili al mercato, come una tassa sull’anidride carbonica o un sistema di emissioni del carbonio del genere “cap-and-trade[1], ed essi improvvisamente sostengono che il settore privato sarebbe incapace di adattarsi, che sarebbero enormi. Curiosa logica.

La posizione ragionevole da parte dell’economia sul cambiamento climatico è sempre stata quella che l’economia riserva ad ogni altro oggetto – se si danno alle imprese ed agli individui gli incentivi per ridurre le emissioni di gas serra, essi risponderanno. In qual modo si manifesterebbe tale risposta? Sino a pochi anni orsono, l’ipotesi migliore era che si sarebbe sviluppata su molti fronti, includendo tutto, da un migliore isolamento termico a veicoli con maggiore efficienza di combustione ad un uso accresciuto di energia nucleare.

Una fonte che in molti, tuttavia, non prendevano gran che sul serio erano le energie rinnovabili. Certo, il ‘cap-and-trade’ poteva determinare maggiore spazio per l’eolico e per il solare, ma quanto avrebbero finito per essere realmente importanti tali fonti?  E devo ammettere, che io condividevo quello scetticismo. Se devo dire la verità, pensavo che l’idea che il vento e il sole avrebbero potuto essere fattori importanti, pensavo appartenesse ai modi di pensare ottimistici tipici di ‘figli dei fiori’ un po’ svitati.

Ma sbagliavo.

Il comitato sul cambiamento climatico, nella sua consueta prosa compassata, osserva che “molte tecnologie delle ER (energie rinnovabili) hanno mostrato sostanziali miglioramenti nelle prestazioni e riduzione di costi”, dal momento che il Comitato mise in circolazione le sue ultime stime, nel passato 2007. Il Dipartimento dell’Energia è disponibile a far mostra di un po’ di più esplicito entusiasmo; esso ha intitolato un rapporto sulle energie pulite pubblicato l’anno passato: “Rivoluzione subito”. La qualcosa sembra una esagerazione, ma non lo è, dato che si apprende che il prezzo dei pannelli solari è caduto di più del 75 per cento a partire dal 2008.

Grazie a questo balzo in avanti tecnologico, il comitato sul clima può parlare di “decarbonizzazione” della produzione di elettricità come un obbiettivo realistico – e dal momento che le centrali elettriche  a combustione di carbone sono una larga parte del problema climatico, proprio qua c’è gran parte della soluzione del problema.

E’ addirittura possibile che la decarbonizzazione prenda corpo senza alcun particolare incoraggiamento, ma non possiamo e non dovremmo fare affidamento su questo.  Il punto, piuttosto, è che una riduzione drastica nelle emissioni di gas serra è adesso ad una distanza abbastanza semplicemente colmabile.

Dunque, la minaccia del clima è stata risolta? Ebbene, dovrebbe essere così. La scienza è affidabile; la tecnologia c’è; l’economia sembra assai più disponibile di quello che si pensasse. Tutto quello che si mette di traverso alla salvezza del pianeta è una combinazione di ignoranza, di pregiudizio e di interessi costituiti.  Cosa potrebbe andar storto? Aspettate, aspettate.



[1] Ovvero, un sistema mirante alla limitazione delle emissioni che si basa sulla definizione di un limite (“cap”) e sulla possibilità successiva di aprire un commercio tra le imprese, facendo diventare il rispetto o il superamento qualitativo di tale limite un valore economico, ed il non-rispetto un costo. Vale a dire che chi realizza buone prestazioni può “venderle” a chi non le realizza, per consentire a questi ultimi di continuare ad operare in difetto sulle norme per un certo tempo, ma pagando i virtuosi. In altre parole, ci sarebbero limiti e su quei limiti si avvierebbe una competizione economica reale, essendo interesse di tutti di comportarsi nel migliore dei modi, per evitare costi, ed anche – se virtuosi – per ‘rivendere’ i propri buoni risultati.

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