April 24, 2014 1:32 pm
By Martin Wolf
Printing counterfeit banknotes is illegal, but creating private money is not. The interdependence between the state and the businesses that can do this is the source of much of the instability of our economies. It could – and should – be terminated.
I explained how this works two weeks ago. Banks create deposits as a byproduct of their lending. In the UK, such deposits make up about 97 per cent of the money supply. Some people object that deposits are not money but only transferable private debts. Yet the public views the banks’ imitation money as electronic cash: a safe source of purchasing power.
Banking is therefore not a normal market activity, because it provides two linked public goods: money and the payments network. On one side of banks’ balance sheets lie risky assets; on the other lie liabilities the public thinks safe. This is why central banks act as lenders of last resort and governments provide deposit insurance and equity injections. It is also why banking is heavily regulated. Yet credit cycles are still hugely destabilising.
What is to be done? A minimum response would leave this industry largely as it is but both tighten regulation and insist that a bigger proportion of the balance sheet be financed with equity or credibly loss-absorbing debt. I discussed this approach last week. Higher capital is the recommendation made by Anat Admati of Stanford and Martin Hellwig of the Max Planck Institute in The Bankers’ New Clothes.
A maximum response would be to give the state a monopoly on money creation. One of the most important such proposals was in the Chicago Plan, advanced in the 1930s by, among others, a great economist, Irving Fisher. Its core was the requirement for 100 per cent reserves against deposits. Fisher argued that this would greatly reduce business cycles, end bank runs and drastically reduce public debt. A 2012 study by International Monetary Fund staff suggests this plan could work well.
Similar ideas have come from Laurence Kotlikoff of Boston University in Jimmy Stewart is Dead, and Andrew Jackson and Ben Dyson in Modernising Money. Here is the outline of the latter system.
First, the state, not banks, would create all transactions money, just as it creates cash today. Customers would own the money in transaction accounts, and would pay the banks a fee for managing them.
Second, banks could offer investment accounts, which would provide loans. But they could only loan money actually invested by customers. They would be stopped from creating such accounts out of thin air and so would become the intermediaries that many wrongly believe they now are. Holdings in such accounts could not be reassigned as a means of payment. Holders of investment accounts would be vulnerable to losses. Regulators might impose equity requirements and other prudential rules against such accounts.
Third, the central bank would create new money as needed to promote non-inflationary growth. Decisions on money creation would, as now, be taken by a committee independent of government.
Finally, the new money would be injected into the economy in four possible ways: to finance government spending, in place of taxes or borrowing; to make direct payments to citizens; to redeem outstanding debts, public or private; or to make new loans through banks or other intermediaries. All such mechanisms could (and should) be made as transparent as one might wish.
The transition to a system in which money creation is separated from financial intermediation would be feasible, albeit complex. But it would bring huge advantages. It would be possible to increase the money supply without encouraging people to borrow to the hilt. It would end “too big to fail” in banking. It would also transfer seignorage – the benefits from creating money – to the public. In 2013, for example, sterling M1 (transactions money) was 80 per cent of gross domestic product. If the central bank decided this could grow at 5 per cent a year, the government could run a fiscal deficit of 4 per cent of GDP without borrowing or taxing. The right might decide to cut taxes, the left to raise spending. The choice would be political, as it should be.
Opponents will argue that the economy would die for lack of credit. I was once sympathetic to that argument. But only about 10 per cent of UK bank lending has financed business investment in sectors other than commercial property. We could find other ways of funding this.
Our financial system is so unstable because the state first allowed it to create almost all the money in the economy and was then forced to insure it when performing that function. This is a giant hole at the heart of our market economies. It could be closed by separating the provision of money, rightly a function of the state, from the provision of finance, a function of the private sector.
This will not happen now. But remember the possibility. When the next crisis comes – and it surely will – we need to be ready.
Spogliare le banche private del loro potere di creare moneta
di Martin Wolf (Financial Times)
Stampare banconote contraffatte è illegale, ma creare moneta privata non lo è. L’interdipendenza tra Stato ed affari che è all’origine di ciò è alla base di molta della instabilità delle nostre economie. Essa potrebbe – e dovrebbe – essere interrotta.
Due settimane orsono spiegai come tutto questo funzioni. Le banche creano depositi come sottoprodotti dei loro prestiti. Nel Regno Unito, tali depositi sono il 97 per cento dell’offerta di moneta. Alcuni obiettano che tali depositi non sono moneta, in quanto sono soltanto debiti privati trasferibili. Tuttavia l’opinione pubblica considera l’imitazione di denaro di una banca come contante elettronico: una fonte sicura di potere d’acquisto.
Il sistema bancario non è, di conseguenza, una normale attività di mercato, perché fornisce due connessi beni pubblici: denaro e reti di pagamenti. Da una parte, gli equilibri patrimoniali delle banche consistono in asset rischiosi; dall’altra si basano su passività che il pubblico giudica sicure. Questa è la ragione per la quale le banche centrali agiscono come prestatrici di ultima istanza ed i governi forniscono assicurazioni sui depositi ed iniezioni di capitale proprio. Tuttavia i cicli del credito sono ancora ampiamente destabilizzanti.
Cosa si può fare? Una risposta minima consisterebbe nel lasciare il settore com’è, ma nel regolarlo in modo stringente e stabilire che una proporzione maggiore degli equilibri patrimoniali sia finanziata con capitale proprio o con debito credibilmente capace di assorbire le perdite. Discussi questo soluzione la scorsa settimana. Un capitale più alto è la raccomandazione che è stata fatta da Anat Admati dell’Università di Stanford e da Martin Hellwig del Max Plant Institute nel libro “I nuovi vestiti dei banchieri”.
La risposta più impegnativa sarebbe quella di dare allo Stato il monopolio della creazione della moneta. Una tra le più importanti proposte del genere venne fatta nel Programma di Chicago, avanzato nel 1930, tra gli altri, dal grande economista Irving Fisher. Il suo punto centrale era l’obbligo di un cento per cento di riserve a fronte dei depositi. Fisher sostenne che questo avrebbe grandemente ridotto i cicli economici, messo un termine agli assalti agli sportelli e ridotto drasticamente il debito pubblico. Uno studio del 2012 da parte di un gruppo di ricercatori del Fondo Monetario Internazionale suggerisce che questo programma potrebbe risultare ben efficace.
Idee simili sono venute da Laurence Kotlikoff della Università di Boston, nel suo libro “Jimmy Stewart è morto” e da Andrew Jackson e Ben Dyson nel libro “Modernizzare il denaro”. Ecco un profilo di questa seconda ipotesi.
In primo luogo lo Stato, non le banche, creerebbero tutta la moneta per le transazioni, nello stesso modo nel quale oggi crea contante. I clienti avrebbero il denaro in conti correnti dai quali prelevare o trasferire a terzi, e pagherebbero alle banche una commissione per la gestione di quelle contabilità.
In secondo luogo le banche potrebbero offrire conti di investimento [1], che fornirebbero i prestiti. Ma esse potrebbero dare in prestito solo soldi effettivamente investiti dai clienti. Ad esse sarebbe impedito creare tale contabilità dal nulla, cosicché avrebbero quella funzione di intermediazione che molti a torto ritengono abbiano oggi. I possedimenti in tali contabilità non potrebbero essere riassegnati come mezzi di pagamento. I possessori dei conti di investimento sarebbero suscettibili di perdite. I responsabili dei regolamenti potrebbero imporre obblighi di capitale proprio ed altre regole prudenziali, a fronte di tali contabilità.
In terzo luogo, la banca centrale creerebbe nuova moneta in quanto necessaria per promuovere una crescita non inflazionistica. Le decisioni sulla creazione di moneta sarebbero prese, come oggi, da un comitato indipendente di nomina governativa.
Infine, la nuova moneta sarebbe immessa nell’economia in quattro modi possibili: per finanziare la spesa pubblica, al posto di tasse o di indebitamenti; per effettuare pagamenti diretti ai cittadini; per riscattare debiti eccezionali, pubblici o privati; oppure per fare nuovi prestiti attraverso le banche o altri intermediari. Tutti tali meccanismi potrebbero (e dovrebbero) essere resi trasparenti nel modo più desiderabile.
La transizione ad un sistema nel quale la creazione di moneta è separata dalla intermediazione finanziaria sarebbe fattibile, per quanto complessa. Porterebbe però grandi vantaggi. Sarebbe possibile incrementare l’offerta di moneta senza incoraggiare le persone ad indebitarsi oltre misura. Nel settore bancario, finirebbe il sistema del “troppo grande per fallire”. Si trasferirebbe anche il “signoraggio” – i benefici della creazione di moneta – al pubblico. Nel 2013, ad esempio, l’aggregato di sterline M1 (denaro per transazione) è stato l’80 per cento del prodotti interno lordo. Se la banca centrale decidesse una sua crescita del 5 per cento all’anno, il governo potrebbe gestire un deficit di finanza pubblica del 4 per cento del PIL senza indebitamenti o tassazioni. La destra potrebbe decidere di tagliare le tasse, la sinistra di aumentare la spesa pubblica. La scelta diventerebbe politica, come dovrebbe essere.
Gli oppositori sosterranno che l’economia morirebbe per mancanza di credito. Una volta concordavo con quell’argomento. Ma soltanto circa il 10 per cento dei prestiti delle banche del Regno Unito hanno finanziato investimenti di impresa in settori diversi dalla proprietà commerciale. Potremmo trovare altri modi per finanziare quest’ultima.
Il nostro sistema finanziario è così instabile perché lo Stato ha anzitutto permesso di creare quasi tutta la moneta nell’economia e successivamente è stato costretto ad assicurarla nella esecuzione di tale funzione. Questo è un buco gigantesco al cuore delle nostre economie di mercato. Dovrebbe essere chiuso separando la fornitura di moneta, giustamente una funzione dello Stato, dalla fornitura di finanza, una funzione del settore privato.
Non è quello che accade adesso. Si ricordi però che è possibile. Quando arriverà la prossima crisi – e certamente succederà – avremo bisogno d’essere pronti.
[1] Ovvero, un deposito di finanziamenti e/o di titoli detenuti da un istituto finanziario.
By mm
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