Blog di Krugman

Alla ricerca disperata di ciò che non conta (12 maggio 2014)

 

May 12, 7:06 am

Desperately Seeking Irrelevance

Simon Wren-Lewis says most of what needs to be said in response to Tony Yates. But I think it’s important to highlight the self-destructiveness of the attitude on display.

Consider the state of the debate over economic policy in 2009-2010. On one side you had economists who understood and took seriously simple macro models – extended versions of IS-LM with endogenous money, and various New Keynesian models designed mainly to show how IS-LMish results can be consistent with constrained maximization. On the other you had people who did macroeconomics not by models but via slogans and gut feelings.

The lay side of this debate looked at budget deficits and “money printing” (the expansion of the central bank balance sheet) and issued dire warnings about soaring interest rates and inflation. The other side said no, we’re at the zero lower bound, so none of this will happen. And these predictions – which the non-economists considered completely implausible and absurd – proved correct.

If economics were an ordinary field of scholarly inquiry, this outcome would have been celebrated as proof that we really do know something useful. (I personally was deeply gratified at the demonstration that I have not been fooling myself all these years.)

But no. Faced with a triumph of simple models, which made strong, counterintuitive predictions that panned out, a significant number of economists refuse to take yes for an answer; they seek out reasons to insist that things are more complicated than that, even though in practice they weren’t complicated at all, and to declare that the field isn’t ready to offer useful advice. Time for more research!

But surely the question here is why society should support such research. If your view is that after three generations of macroeconomics, the field had nothing helpful to say in the face of a huge economic crisis, why should anyone believe that your research program will ever produce anything useful?

And again: what we see here is a determination to declare that we as a profession have nothing useful to offer in the teeth of overwhelming evidence that we actually do know something.

I’m not sure what this is about. Maybe in part it’s academic distaste for the very notion of emerging from the ivory tower to engage with real concerns. But let me remind my colleagues that nobody has to take economists seriously. If we as a profession are going to squirt out clouds of ink and scuttle for safety whenever anyone suggests a real-world use for our work, what good are we?

 

Alla ricerca disperata di ciò che non conta

 

Simon Wren-Lewis dice molto di quello che andava detto in risposta a Tony Yates. Ma penso che sia importante mettere l’accento sulla auto distruttività della attitudine che viene ora in mostra.

Si consideri lo stato del dibattito sulla politica economica negli anni 2009-2010. Da una parte c’erano economisti che capivano e prendevano sul serio modelli economici semplici – versioni ampliate dell’ IS-LM con moneta endogena, e vari modelli neokeynesiani rivolti principalmente a dimostrare come risultati più o meno simili allo IS-LM potevano essere coerenti con una limitata massimizzazione. D’altra parte c’erano persone che facevano macroeconomia non con i modelli ma con sensazioni viscerali.

La componente profana di questo dibattito guardava ai deficit di bilancio ed allo “stampar moneta” (l’espansione degli equilibri patrimoniali della banca centrale) e avanzava ammonimenti terribili sui tassi di interesse e sull’inflazione che sarebbero saliti alle stelle. L’altra parte diceva il contrario, che non sarebbe successo niente del genere. E queste ultime previsioni – che i non-economisti consideravano completamente infondate ed assurde – si sono mostrate corrette.

Se l’economia fosse un campo ordinario di indagine per studiosi, un tale risultato sarebbe stato celebrato come la prova che effettivamente conosciamo nozioni utili (personalmente, sono rimasto molto gratificato dalla dimostrazione che non mi ero preso in giro in tutti gli anni passati).

Invece no. Dinanzi al trionfo dei semplici modelli, che avanzarono previsioni impegnative e contrarie al senso comune che ebbero successo, un significativo numero di economisti si rifiutarono di rispondere con una semplice ammissione; cercarono ragioni per insistere sul concetto che le cose erano più complicate, anche se in pratica esse non erano affatto complicate, e per dichiarare che la disciplina non era pronta ad offrire consigli utili. Era tempo di ulteriori ricerche!

Ma in questo caso la domanda evidentemente è perché la società dovrebbe sostenere tali ricerche. Se la vostra opinione è che dopo tre generazioni di teoria macroeconomica, la disciplina non ha niente di utile da dire a fronte di una vasta crisi economica, perché si dovrebbe credere che il vostro programma di ricerca produrrà mai qualcosa di utile?

Ed ancora: quello a cui assistiamo, in questo caso, è l’ostinazione a dichiarare che noi stessi, come soggetti di tale disciplina, non abbiamo niente di utile da dire, in barba alla prova evidente che in verità qualcosa sappiamo.

Non sono certo di come interpretare tutto questo. Forse, in parte, è una avversione professorale nei confronti della semplice idea di venir fuori dalla torre di avorio per impegnarsi sulle preoccupazioni vere. Ma lasciatemi ricordare ai miei colleghi che nessuno è tenuto a prendere sul serio gli economisti. Se siamo una professione destinata a schizzare nuvole di inchiostro e a darsi a fughe precipitose ogni qual volta qualcuno suggerisce di usare il nostro lavoro al servizio del mondo reale, quale è mai la nostra utilità?

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