Blog di Krugman

Disoccupazione: non c’è niente di personale (17 maggio 2014)

 

May 17, 9:34 am

Unemployment: It’s Not Personal

Matt O’Brien has an interesting if depressing piece on long-term unemployment, making the point that long-term unemployment is basically bad luck: if you got laid off in a bad economy, you have a hard time finding a new job, and the longer you stay unemployed the harder it becomes to find work.

Obviously I agree with this analysis – and I’d add that O’Brien’s results more or less decisively refute the alternative story, which is that the long-term unemployed are workers with a problem.

You can see how this story might work. Suppose that workers have some quality – sticktoitiveness, or something – that doesn’t show up in official skill measures but which potential employers can intuit. Then workers lacking this ineffable quality would tend to lose their jobs and have trouble getting new jobs; the difficulty the long-term unemployed have in job search would reflect their personal inadequacy.

Read between the lines of a lot of commentary on the unemployed – especially from those eager to slash benefits – and you’ll realize that something like this is the implicit underlying theory.

But here’s the thing: the association between worker quality and unemployment should be much stronger in a good economy than in a bad economy. In 2000, with labor scarce, there probably was something wrong with many people who got laid off; in 2009, it was just a matter of being in the wrong place. So if unemployment was about personal characteristics, being unemployed should have mattered less for job search after the Great Recession than before. What we actually see, of course, is the opposite.

In other words, it’s nothing personal; it’s the economy, stupid. And as O’Brien said, it’s one more reason failure to provide more stimulus is a crime against American workers.

 

Disoccupazione: non c’è niente di personale

 

Matt O’Brien ha un articolo interessante, seppur deprimente, sulla disoccupazione di lungo periodo, nel quale avanza la tesi che la disoccupazione di lungo periodo sia fondamentalmente una cattiva sorte: se siete stati licenziati in un periodo economico negativo, è difficile trovare un nuovo posto di lavoro, e più a lungo si resta disoccupati, più difficile è trovare lavoro.

Naturalmente sono d’accordo con questa analisi – e aggiungerei che i risultati di O’Brien confutano in modo abbastanza definitivo il racconto opposto, secondo il quale i disoccupati di lungo periodo sono lavoratori con un problema.

Ci si rende conto come questo racconto possa stare in piedi. Supponiamo che i lavoratori abbiano alcune qualità – la capacità di portare a fondo le cose, o qualcosa del genere – che non si manifesta nei modi ufficiali di misurare le competenze ma che i potenziali datori di lavoro possano intuire. In tal modo, i lavoratori che difettano di questa indescrivibile qualità tenderebbero a perdere i loro posti di lavoro ed a avere difficoltà nel trovare nuovi posti di lavoro; la difficoltà dei disoccupati di lungo termine nel cercare lavoro rifletterebbe la loro personale inadeguatezza.

Se si leggono tra le righe molte cronache sui disoccupati – specialmente quelle di coloro che sono ansiosi di tagliare i sussidi di disoccupazione – si comprenderà che qualcosa di questo genere è la teoria implicita di quelle descrizioni.

Ma il punto è qua: la associazione tra qualità del lavoratore e disoccupazione dovrebbe essere molto più forte in un periodo economico positivo che non in un periodo negativo. Nel 2000, con una scarsità di lavoro, probabilmente c’era qualcosa di sbagliato in molte persone che venivano licenziate; nel 2009, era solo una questione di trovarsi nel posto sbagliato. Dunque, se la disoccupazione dipendesse dalle caratteristiche delle persone, agli effetti della ricerca di una posto di lavoro, essere disoccupati dovrebbe avere avuto minore importanza dopo la Grande Recessione che prima. Per la verità ovviamente, si constata l’opposto.

In altre parole, non c’è niente di personale; è l’economia, stupidi! [1] E come ha detto O’Brien, essa è una ragione in più per la quale mancare di fornire maggiori misure pubbliche di sostegno è un crimine contro i lavoratori americani.

 

 

[1] Come è noto, l’espressione, ovvero l’aggiunta di “stupido/i!”, venne spontanea nella occasione di un dibattito pubblico a Bill Clinton, e da quel momento è entrata nell’uso comune.

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