May 1, 3:41 pm
Thomas Palley and Simon Wren-Lewis have been having a backandforth over heterodox economics versus garden-variety saltwater economics, and their role in making sense of the economic crisis. Palley accuses Wren-Lewis and me of “flimflam”; Wren-Lewis wonders what he’s talking about.
Actually, I think I know what’s going on here, but first a point about flimflam. Palley tells us that
The essence of Keynes’ economics was the liquidity preference theory of interest rates and rejection of the claim that price and nominal wage flexibility would ensure full employment. New Keynesians abandon both. They replace liquidity preference theory with loanable funds interest rate theory and they use price and nominal wage rigidity to explain cyclical unemployment.
My reaction was, what? New Keynesians assert — as Keynes did, although I don’t think it matters for this debate what he said — that both liquidity preference and loanable funds are true. There are conditions under which one or the other is the main one to focus on — at full employment, loanable funds are crucial, in a liquidity trap, liquidity preference. But no modern Keynesian, new or paleo, forgets about the importance of liquidity preference.
And as for wage and price inflexibility as the cause of unemployment — grrr. I’ve written again and again on this subject, pointing out that in a liquidity trap price flexibility probably makes things worse, not better; Gauti Eggertsson and I have analyzed the paradox of flexibility in a New Keynesian model.
It’s hard to escape the impression that Palley here is engaging in his own version of the right-wing myth of the stupid progressive economist; he’s so sure that mainstream Keynesians have unlearned all the important lessons that he hasn’t bothered to read what we actually write.
So what’s this all about then? Palley goes on in both posts about the evils of the marginal productivity theory of distribution; like Wren-Lewis, I don’t see what this has to do with analyzing the crisis, one way or another. But I think I do understand where this is coming from. There’s a long if bizarre tradition among some left-leaning economists that sees the notion that factors of production are paid their marginal products — or even that this is a useful first cut when thinking about the factor distribution of income — as somehow implying an acceptance of the moral right of capitalists to keep their spoils. This doesn’t really make sense, but you do see attacks on marginal productivity theory cropping up in weird places — e.g., in Jamie Galbraith’s oddly off-center attack on Thomas Piketty.
And what’s going on here, I think, is a fairly desperate attempt to claim that the Great Recession and its aftermath somehow prove that Joan Robinson and Nicholas Kaldor were right in the Cambridge controversies of the 1960s. It’s a huge non sequitur, even if you think they were indeed right (which you shouldn’t.) But that’s what seems to be happening.
I complessi degli eterodossi (appena per esperti)
Thomas Palley e Simon Wren-Lewis hanno avuto un botta e risposta sull’economia degli eterodossi e la ordinaria economia “dell’acqua salata” [1] e sul loro ruolo nell’interpretare la crisi economica. Palley accusa Wren-Lewis ed il sottoscritto di “manipolazione”; Wren-Lewis si chiede di cosa stia parlando.
In verità, penso di sapere cosa stia succedendo, ma prima di tutto mi soffermo sulle “manipolazioni”. Palley ci racconta che:
“L’essenza dell’economia di Keynes era la teoria dei tassi di interesse basata sulla preferenza per la liquidità ed il rigetto della pretesa che la flessibilità dei prezzi e dei salari nominali avrebbe assicurato la piena occupazione. I neokeynesiani abbandonano entrambi i concetti. Essi rimpiazzano la teoria della preferenza per la liquidità con la teoria dei tassi di interesse basata sui fondi mutuabili ed utilizzano la rigidità dei prezzi e dei salari nominali per spiegare la disoccupazione ciclica.”
La mia reazione è stata: di cosa parla ? I neokeynesiani sostengono – come fece Keynes, sebbene non penso che conti per questo dibattito ciò che disse – che sia la teoria basata sulla preferenza della liquidità che quella basata sui fondi mutuabili sono vere [2]. Ci sono condizioni nelle quali l’una o l’altra diventano il punto principale su cui concentrarsi – in condizioni di piena occupazione i fondi mutuabili sono cruciali, in una trappola di liquidità è cruciale la preferenza per la liquidità. Ma non è vero che i keynesiani attuali, che siano di ispirazione nuova o antica, dimentichino l’importanza della preferenza per la liquidità.
E per quello che riguarda la non flessibilità dei salari e dei prezzi a causa della disoccupazione – mi viene rabbia. Ho scritto in continuazione su questo argomento, mostrando che in una trappola di liquidità probabilmente la flessibilità dei prezzi rende le cose peggiori; Gauti Eggertsson ed io abbiamo analizzato il paradosso della flessibilità in un modello neo-keynesiano.
E’ difficile sfuggire all’impressione che in questo caso Palley si stia impegnando in una versione sua propria del mito della destra della stupidità dell’economista progressista; egli è così sicuro che i keynesiani più noti abbiano disimparato tutte quelle importanti lezioni che non si è dato il fastidio di leggere quello che abbiamo effettivamente scritto.
Dunque, da che cosa dipende allora tutto questo? Palley procede in entrambi i post sui mali della teoria della distribuzione basata sulla produttività marginale; nello stesso modo di Wren-Lewis, io non vedo che cosa questo abbia a che fare con l’analizzare, in un modo o nell’altro, la crisi. C’è una lunga seppur bizzarra tradizione tra gli economisti di orientamento di sinistra che considera il concetto secondo il quale i fattori della produzione sono pagati per i loro prodotti marginali – o persino che questo sia un primo approccio utile quando si riflette sul fattore della distribuzione del reddito – come se questo in qualche modo implicasse una accettazione del diritto morale dei capitalisti a prendersi i loro bottini. Questo in realtà non ha senso, ma osservate gli attacchi sulla produttività marginale che spuntano fuori nei luoghi più strani – ad esempio nell’attacco sorprendentemente eccentrico di Jeremie Galbraith a Thomas Picketty.
E quello che in questo caso sta accadendo, penso, è un tentativo abbastanza disperato di sostenere che la Grande recessione e le sue conseguenze in qualche modo dimostrano che Joan Robinson e Nicholas Kaldor avevano ragione nelle controversie di Cambridge degli anni ’60. C’è molta illogicità, anche se pensaste che essi avevano davvero ragione (cosa che non dovreste). Ma è quello che sembra stia accadendo.
[1] Su “freshwater and saltwater economics” vedi le note sulla traduzione.
[2] La teoria del tasso di interesse basata sui “fondi mutuabili” (così normalmente si traduce alla lettera “loanable funds”, intendendo dire che quella teoria si basa sull’idea che i fondi risparmiati siano di per sé ‘concedibili’ per gli investimenti) appartiene alla teoria economica classica, ed è oggetto della critica di Keynes nel Capitolo tredicesimo della “Teoria Generale” (il tema in realtà prosegue anche nel capitolo quattordicesimo e quindicesimo). Scrive Keynes che in termini generali, nella teoria economica tradizionale, il tasso di interesse “è il fattore equilibratore che rende uguale la domanda di risparmio, sotto la forma di investimento nuovo realizzato a un tasso di interesse dato, all’offerta di risparmio risultante a quel tasso di interesse dalla propensione psicologica a risparmiare della collettività”. Ovvero: l’utilizzo di capitali per investimenti che si rivolge al risparmio, costituisce la domanda; la disponibilità a cedere quei capitali costituisce l’offerta. Dall’incontro tra quella domanda e quell’offerta, scaturisce un determinato tasso di interesse, che è il modo nel quale vengono soddisfatti gli investitori – che utilizzeranno quei capitali in ragione della maggiore convenienza degli investimenti che hanno in mente – ed i risparmiatori – che in virtù di quel tasso di interesse avranno un vantaggio rispetto a trattenere presso di sé i propri risparmi.
L’obiezione di Keynes è però che una volta che ci siano note sia la domanda che l’offerta, non per questo possiamo dedurne un tasso di interesse particolare, e dobbiamo constatare che quella definizione non può essere soddisfacente.
Una volta che un individuo, sulla base della sua propensione al consumo, abbia deciso quanto intende consumare e quanto accantonare per il suo consumo futuro, lo attende una seconda scelta. Egli ha deciso quanto intende consumare, ma deve ancora decidere in quale formaintende accantonare il resto, per consumi futuri. Vorrà tenersi la moneta nella forma di una disponibilità liquida immediata? “Oppure è disposto ad abbandonare la disponibilità immediata per un periodo determinato o indefinito, lasciando alle condizioni future del mercato di determinare a quali condizioni egli potrà convertire, ove necessario, la disponibilità differita di beni specifici in potere d’acquisto immediato su beni in generale?” Ovvero: terrà i propri soldi da parte, disponibili per ogni utilizzazione immediata, oppure li porterà ad una banca ed acquisterà titoli finanziari, che non gli consentiranno, per un periodo determinato o anche indefinito, un immediato riutilizzo per qualche consumo?
L’errore, dice K., delle teorie comunemente accettate sul tasso di interesse, consiste nel considerarlo come una “ricompensa per il risparmio o l’astinenza in quanto tali”, ovvero di considerare solo la prima scelta, trascurando il fatto che la preferenza psicologica si esprime anche con la seconda scelta. Con quest’ultima, l’individuo decide se rinunciare per un certo tempo alla possibilità di consumare, oppure se mantenersi in ogni momento la possibilità di consumare: e anche questo costituisce un aspetto della sua generale propensione a consumare.
In questo modo egli apre la strada ad una diversa teoria, nella quale la “preferenza per la liquidità” acquista il ruolo fondamentale. La trappola di liquidità è, in fondo, un lungo periodo nel quale quella preferenza per la liquidità domina nelle aspettative di coloro che risparmiano.
By mm
E' possibile commentare l'articolo nell'area "Commenti del Mese"