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Il successo segreto dell’Europa, di Paul Krugman (New York Times 25 maggio 2014)

 

Europe’s Secret Success

MAY 25, 2014 Paul Krugman

SINTRA, Portugal — I’ll be spending the next couple of days at a forum sponsored by the European Central Bank whose de facto topic — whatever it may say on the program — will be the destructive monetary muddle caused by the Continent’s premature adoption of a single currency. What makes the story even sadder is that Europe’s financial and macroeconomic woes have overshadowed its remarkable, unheralded longer-term success in an area in which it used to lag: job creation.

What? You haven’t heard about that? Well, that’s not too surprising. European economies, France in particular, get very bad press in America. Our political discourse is dominated by reverse Robin-Hoodism — the belief that economic success depends on being nice to the rich, who won’t create jobs if they are heavily taxed, and nasty to ordinary workers, who won’t accept jobs unless they have no alternative. And according to this ideology, Europe — with its high taxes and generous welfare states — does everything wrong. So Europe’s economic system must be collapsing, and a lot of reporting simply states the postulated collapse as a fact.

The reality, however, is very different. Yes, Southern Europe is experiencing an economic crisis thanks to that money muddle. But Northern European nations, France included, have done far better than most Americans realize. In particular, here’s a startling, little-known fact: French adults in their prime working years (25 to 54) are substantially more likely to have jobs than their U.S. counterparts.

It wasn’t always that way. Back in the 1990s Europe really did have big problems with job creation; the phenomenon even received a catchy name, “Eurosclerosis.” And it seemed obvious what the problem was: Europe’s social safety net had, as Representative Paul Ryan likes to warn, become a “hammock” that undermined initiative and encouraged dependency.

But then a funny thing happened: Europe started doing much better, while America started doing much worse. France’s prime-age employment rate overtook America’s early in the Bush administration; at this point the gap in employment rates is bigger than it was in the late 1990s, this time in France’s favor. Other European nations with big welfare states, like Sweden and the Netherlands, do even better.

Now, young French citizens are still a lot less likely to have jobs than their American counterparts — but a large part of that difference reflects the fact that France provides much more aid to students, so that they don’t have to work their way through school. Is that a bad thing? Also, the French take more vacations and retire earlier than we do, and you can argue that the incentives for early retirement in particular are too generous. But on the core issue of providing jobs for people who really should be working, at this point old Europe is beating us hands down despite social benefits and regulations that, according to free-market ideologues, should be hugely job-destroying.

I’m sure that many people will simply refuse to believe what I’m saying about European strengths. After all, ever since the euro crisis broke out there has been a relentless campaign by American conservatives (and quite a few Europeans too) to portray it as a story of collapsing welfare states, brought low by misguided concerns about social justice. And they keep saying that even though some of the strongest economies in Europe, like Germany, have welfare states whose generosity exceeds the wildest dreams of U.S. liberals.

But macroeconomics, as I keep trying to tell people, isn’t a morality play, where virtue is always rewarded and vice always punished. On the contrary, severe financial crises and depressions can happen to economies that are fundamentally very strong, like the United States in 1929. The policy mistakes that created the euro crisis — mainly creating a unified currency without the kind of banking and fiscal union that a single currency demands — basically had nothing to do with the welfare state, one way or another.

The truth is that European-style welfare states have proved more resilient, more successful at job creation, than is allowed for in America’s prevailing economic philosophy.

 

Il successo segreto dell’Europa, di Paul Krugman

New York Times 25 maggio 2014

 

SINTRA, Portogallo – Spenderò i prossimi due giorni in un forum sponsorizzato dalla Banca Centrale Europea, il cui tema di fatto centrale – qualsiasi cosa essa dica sul programma – sarà la distruttiva confusione monetaria provocata dalla prematura adozione di una moneta unica da parte del Continente. Quello che rende la storia anche più triste è che i guai finanziari e macroeconomici dell’Europa hanno oscurato il suo rimarchevole e inatteso successo nel lungo termine in un’area nella quale essa era solita restare indietro: la creazione di posti di lavoro.

Cosa? Non lo sapevate? Ebbene, non è così sorprendente. Le economie europee, quella francese in particolare, hanno una pessima stampa in America. Il nostro dibattito politico è dominato da una specie di Robin-Hoodismo alla rovescia – la convinzione che il successo economico dipenda dall’essere gentili con i ricchi, che non creeranno posti di lavoro se sono pesantemente tassati, e malevoli verso i lavoratori comuni, che non accetteranno posti di lavoro a meno che non abbiano alcuna alternativa. E in coerenza con questa ideologia, l’Europa – con le sue tasse elevate ed i suoi generosi stati assistenziali – sbaglia in tutti i sensi. Dunque, il sistema economico non può che andare in crisi, e una gran parte delle cronache semplicemente affermano che il pronosticato collasso è un dato di fatto.

La realtà, tuttavia, è molto diversa. Sì, l’Europa meridionale è alle prese con una crisi economica, grazie al pasticcio della moneta. Ma le nazioni dell’Europa del Nord, Francia inclusa, hanno avuto prestazioni migliori di quello che gran parte degli americani comprendono. In particolare, c’è un fatto sorprendente e poco noto: per gli adulti francesi nel principale periodo della loro attività lavorativa (dai 25 ai 54 anni) è sostanzialmente più probabile avere posti di lavoro dei loro omologhi negli Stati Uniti.

Non è sempre andata così. Nei passati anni ’90 l’Europa aveva grandi problemi con la creazione di posti di lavoro; il fenomeno venne persino soprannominato con il termine ad effetto “eurosclerosi”. E quale fosse il problema sembrava evidente: le reti della sicurezza sociale erano diventate, come piace dire a Paul Ryan con una espressione ammonitoria, una “amaca”, che metteva a repentaglio l’iniziativa e incoraggiava un atteggiamento lassista.

Ma poi avvenne una cosa curiosa: l’Europa cominciò ad andare molto meglio, mentre l’America cominciò ad andare molto peggio. Il tasso di occupazione nella principale età lavorativa superò quello dell’America agli inizi della Amministrazione Bush: a questo punto la differenza dei tassi di occupazione è più grande di quanto fosse negli anni ’90, ma questa volta a favore della Francia. Le altre nazioni europee con forti stati assistenziali, come la Svezia e l’Olanda, fanno persino meglio.

Ora, per i giovani cittadini francesi è ancora assai meno probabile avere posti di lavoro rispetto ai loro omologhi americani – ma quella differenza riflette in gran parte il fatto che la Francia offre aiuti molto maggiori agli studenti, cosicché non debbono farsi strada nel lavoro mentre studiano. E’ una cosa negativa? Inoltre, i francesi si prendono maggiori vacanze e vanno in pensione prima di noi, e si può sostenere che, in particolare, anche gli incentivi per i pensionamenti anticipati siano troppo generosi. Ma, sull’aspetto centrale del fornire posti di lavoro alle persone che dovrebbero realmente lavorare, a questo punto la vecchia Europa ci sta battendo alla grande, nonostante i sussidi sociali ed i regolamenti che, secondo gli ideologi del libero mercato, dovrebbero provocare una vasta distruzione di lavoro.

Sono sicuro che in molti semplicemente si rifiuteranno di credere a quello che sto dicendo sui punti di forza europei. Dopo tutto, dal momento in cui è scoppiata la crisi dell’euro c’è stata una campagna continua da parte dei conservatori americani (ed anche di numerosi europei) per raccontare questa storia come una prova del collasso degli stati assistenziali, ridimensionati da fuorvianti preoccupazioni sulla giustizia sociale. Ed è quello che continuano a dire, nonostante che le più forti economie europee, come quella tedesca, abbiano stati assistenziali la cui generosità supera i sogni più sconsiderati dei progressisti americani.

Ma la macroeconomia, come mi sforzo di raccontare alla gente, non è una rappresentazione morale, nella quale la virtù è sempre premiata ed il vizio è sempre punito. Al contrario, gravi crisi finanziarie possono aver luogo in economie che sono fondamentalmente forti, come gli Stati Uniti nel 1929. Gli errori politici che hanno determinato la crisi dell’euro – principalmente con la creazione di una valuta unificata senza il genere di sistema bancario e di unione delle finanze pubbliche che una moneta unica richiede – fondamentalmente non hanno niente a che fare con lo stato assistenziale, comunque si consideri la questione.

La verità è che lo stato assistenziale del tipo europeo si è dimostrato più flessibile, più efficace nella creazione di posti di lavoro, di quello che è consentito in America a seguito della sua prevalente filosofia economica.

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