May 19, 6:12 am
When Alvin Hansen first proposed the concept of secular stagnation, he emphasized the role of slowing population growth in depressing investment demand (and his warnings were made moot by the postwar baby boom.) Modern discussions return to that emphasis: Japan’s shrinking working-age population looks like an important source of its problems, and slowing population growth in Europe and America are important reasons to believe that we may be entering a similar regime.
But whenever I raise these points, I get questions from people who ask why I don’t regard slowing population growth as a good thing. After all, it means less pressure on resources, less environmental damage, and so on.
What’s important to realize, then, is that slower population growth indeed could and should be a good thing — but that what passes for sound economic policy is all too likely to turn this potentially good development into a major problem. Why? Because under the current rules of the game, there’s a strong bicycle aspect to our economies: unless they’re moving forward sufficiently rapidly, they tend to fall over.
It’s a pretty straightforward point. To have more or less full employment, we need sufficient spending to make use of the economy’s potential. But one important component of spending, investment, is subject to the accelerator effect: the demand for new capital depends on the economy’s rate of growth, rather than the current level of output. So if growth slows due to a falloff in population growth, investment demand falls — potentially pushing the economy into a semi-permanent slump.
Now, you could say that this should be easy to deal with; just reduce the interest rate sufficiently to sustain investment demand despite population slowdown. The problem is that the required real interest rate on safe assets may end up being negative, and is therefore achievable only if we have sufficient inflation — which runs into an ideological commitment to price stability.
This is basically a technical problem, and in a better world we would simply deal with that problem while enjoying the benefits of a less crowded planet. In this world, however, technical problems — magneto trouble — can in fact do immense damage, because so few people are willing to think clearly about their nature. And that’s why we worry about slowing population growth.
La demografia e l’effetto bicicletta
Quando Alvin Hansen propose per primo il concetto di stagnazione secolare, enfatizzò il ruolo del rallentamento nella crescita della popolazione nel deprimere la domanda di investimenti (ed i suoi ammonimenti vennero resi irrilevanti dal boom demografico post bellico). Il dibattito attuale ritorna su quell’enfasi: il restringersi della popolazione in età lavorativa del Giappone appare una fonte importante dei suoi problemi, ed il rallentamento della crescita della popolazione in Europa ed in America sono buone ragioni per credere che stiamo entrando in un’epoca simile.
Ma quando sollevo questi aspetti, mi arrivano domande da persone che chiedono perché non considero il rallentamento della crescita della popolazione come una buona cosa. Dopotutto, esso significa minore pressione sulle risorse, minore danno all’ambiente, e così via.
Quello che è importante comprendere, dunque, è che una crescita più lenta della popolazione potrebbe e dovrebbe essere una buona cosa – ma quella che sembra una sana economia politica è anche troppo probabile che trasformi questo sviluppo potenzialmente buono in un serio problema. Perché, con le regole attuali del gioco, c’è un cospicuo effetto ‘bicicletta’ per le nostre economie: se non si muovono in avanti in modo sufficientemente rapido, esse tendono a cadere.
E’ un punto abbastanza inequivocabile. Per avere una occupazione più o meno piena, abbiamo bisogno di una spesa sufficiente a fare utilizzare il potenziale dell’economia. Ma una importante componente della spesa, l’investimento, è soggetta all’effetto dell’acceleratore: la domanda di nuovo capitale dipende dal tasso di crescita dell’economia, piuttosto che dal livello attuale della produzione. Così, se la crescita rallenta a seguito di una diminuzione della crescita della popolazione, la domanda di investimenti cade – potenzialmente spingendo l’economia in una recessione semi-permanente.
Ora, si potrebbe dire che dovrebbe essere facile misurarsi con questo problema; basterebbe ridurre il tasso di interesse a sufficienza per sostenere la domanda di investimenti nonostante il rallentamento della popolazione. Il problema è che il tasso di interesse reale richiesto su asset sicuri può finire col diventare negativo. E di conseguenza ottenibile solo in presenza di una sufficiente inflazione – la qualcosa va a sbattere contro l’impegno ideologico alla stabilità dei prezzi.
Questo è fondamentalmente un problema tecnico, e in un mondo migliore semplicemente ci occuperemmo di quel problema godendoci i benefici di un pianeta meno affollato. In questo mondo, tuttavia, i problemi tecnici – il guaio del ‘magnete’[1] – può provocare di fatto un immenso danno, perché sono così poche le persone disponibili a riflettere chiaramente sulla loro natura. E questa è la ragione per la quale ci preoccupiamo del rallentamento della crescita della popolazione.
[1] Il ‘magnete’ che smette di funzionare è la famosa immagine che usò Keynes per descrivere la logica della Grande Depressione. Tutto sembra immutato, egli disse, la voglia di lavorare, la tecnologia, il desiderio di consumare, la disposizione ad inventare cose nuove; ma quello che non funziona e che si scopre che non sappiamo esattamente come funzioni è il ‘magnete’, ovvero il motore d’avviamento dell’intero meccanismo.
By mm
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