MAY 18, 2014 Paul Krugman
By any normal standard, economic policy since the onset of the financial crisis has been a dismal failure. It’s true that we avoided a full replay of the Great Depression. But employment has taken more than six years to claw its way back to pre-crisis levels — years when we should have been adding millions of jobs just to keep up with a rising population. Long-term unemployment is still almost three times as high as it was in 2007; young people, often burdened by college debt, face a highly uncertain future.
Now Timothy Geithner, who was Treasury secretary for four of those six years, has published a book, “Stress Test,” about his experiences. And basically, he thinks he did a heckuva job.
He’s not unique in his self-approbation. Policy makers in Europe, where employment has barely recovered at all and a number of countries are in fact experiencing Depression-level distress, have even less to boast about. Yet they too are patting themselves on the back.
How can people feel good about track records that are objectively so bad? Partly it’s the normal human tendency to make excuses, to argue that you did the best you could under the circumstances. And Mr. Geithner can indeed blame much though not all of what went wrong on scorched-earth Republican obstructionism.
But there’s also something else going on. In both Europe and America, economic policy has to a large extent been governed by the implicit slogan “Save the bankers, save the world” — that is, restore confidence in the financial system and prosperity will follow. And government actions have indeed restored financial confidence. Unfortunately, we’re still waiting for the promised prosperity.
Much of Mr. Geithner’s book is devoted to a defense of the U.S. financial bailout, which he sees as a huge success story — which it was, if financial confidence is viewed as an end in itself. Credit markets, which seized up after Lehman fell, mostly returned to normal during Mr. Geithner’s first year in office. Stock indexes rebounded, and have hit new records. Even subprime-backed securities — the infamous “toxic waste” that was poisoning the financial system — eventually regained a significant part of their value.
Thanks to this financial recovery, bailing out Wall Street didn’t even end up costing a lot of taxpayer money: resurgent banks were able to repay their loans, and the government was able to sell its equity stakes at a profit.
But where is the rebound in the real economy? Where are the jobs? Saving Wall Street, it seems, wasn’t nearly enough. Why?
One reason for sluggish recovery is that U.S. policy “pivoted,” far too early, from a focus on jobs to a focus on budget deficits. Mr. Geithner denies that he bears any responsibility for this pivot, declaring “I was not an austerian.” In his version, the administration got all it could in the face of Republican opposition. That doesn’t match independent reporting, which portrays Mr. Geithner ridiculing fiscal stimulus as “sugar” that would yield no long-term benefit.
But fiscal austerity wasn’t the only reason recovery has been so disappointing. Many analysts believe that the burden of high household debt, a legacy of the housing bubble, has been a big drag on the economy. And there was, arguably, a lot the Obama administration could have done to reduce debt burdens without Congressional approval. But it didn’t; it didn’t even spend funds specifically allocated for that purpose. Why? According to many accounts, the biggest roadblock was Mr. Geithner’s consistent opposition to mortgage debt relief — he was, if you like, all for bailing out banks but against bailing out families.
“Stress Test” asserts that no conceivable amount of mortgage debt relief could have done much to boost the economy. But the leading experts on this subject are the economists Atif Mian and Amir Sufi, whose just-published book “House of Debt” argues very much the contrary. On their blog, Mr. Mian and Mr. Sufi point out that Mr. Geithner’s arithmetic on the issue seems weirdly wrong — order of magnitude wrong — giving much less weight to the role of debt in holding back spending than the consensus of economic research. And that doesn’t even take into account the further benefits that would have flowed from a sharp reduction in foreclosures.
In the end, the story of economic policy since 2008 has been that of a remarkable double standard. Bad loans always involve mistakes on both sides — if borrowers were irresponsible, so were the people who lent them money. But when crisis came, bankers were held harmless for their errors while families paid full price.
And refusing to help families in debt, it turns out, wasn’t just unfair; it was bad economics. Wall Street is back, but America isn’t, and the double standard is the main reason.
La nuova stagione dei banchieri, di Paul Krugman
New York Times 18 maggio 2014
Da ogni normale punto di vista, la politica economica dall’avvio della crisi finanziaria è stata un penoso fallimento. E’ vero che abbiamo evitato una completa riedizione della Grande Depressione. Ma per l’occupazione ci sono voluti più di sei anni per riagguantare i livelli precedenti alla crisi – anni nei quali avremmo dovuto aggiungere milioni di posti di lavoro, soltanto per tenerci al passo di una popolazione crescente. I disoccupati di lungo periodo sono quasi tre volte quelli che erano nel 2007; i giovani, spesso gravati dai debiti delle Università, hanno dinanzi un futuro del tutto incerto.
Adesso Timothy Geithner, che è stato Segretario al Tesoro per quattro di quei sei anni, ha pubblicato un libro sulle sue esperienze: “Stress Test”. E, fondamentalmente, pensa d’aver fatto un lavoro maledettamente buono.
Non è l’unico in questa auto promozione. Gli operatori politici in Europa, dove l’occupazione non si è ripresa affatto e dove un certo numero di paesi stanno conoscendo angosce a livello della depressione [1], hanno anche meno di cui vantarsi. Tuttavia continuano a darsi pacche sulle spalle.
Come possono tali individui sentirsi a posto con esperienze obiettivamente così deprimenti? In parte si tratta della normale tendenza umana ad accampar scuse, per sostenere che si è fatto tutto quello che si poteva nelle circostanze date. E Geithner può dar la colpa, se non di tutto, di gran parte di quello che è andato storto alla tattica da ‘terra bruciata’ dei repubblicani.
Ma c’è anche altro che sta accadendo. Sia un Europa che in America la politica economica ha dovuto essere governata sulla base dello slogan implicito “Salviamo i banchieri, salviamo il mondo” – ovvero, ripristiniamo la fiducia nel sistema finanziario ed il resto verrà di seguito. E le iniziative dei governi hanno in effetti ripristinato la fiducia finanziaria. Sfortunatamente, stiamo ancora aspettando la prosperità promessa.
Gran parte del libro di Geithner è rivolto ad una difesa del salvataggio del sistema finanziario degli Stati Uniti, che egli considera come una generale storia di successo – la qualcosa è vera, se la fiducia nel sistema finanziario è considerata come fine a se stessa. I mercati finanziari, che si bloccarono dopo il crollo di Lehman, in gran parte tornarono alla normalità dopo il primo anno di incarico a Geithner. Gli indici azionari ebbero un balzo, e raggiunsero nuovi record. Persino i titoli garantiti dai mutui ‘subprime’ – i famigerati ‘rifiuti tossici’ che stavano avvelenando il sistema finanziario – alla fine riguadagnarono una parte significativa del loro valore.
Grazie a questa ripresa finanziaria, il salvataggio di Wall Street finì persino per non costare tanti soldi ai contribuenti: le banche in risalita furono capaci di ripagare i prestiti che avevano avuto, ed il governo fu capace di vendere le sue partecipazioni ai capitali con un profitto.
Ma dove è il balzo nell’economia reale? Dove sono i posti di lavoro? Salvare Wall Street, a quanto sembra, non è stato neanche lontanamente sufficiente. Perché?
Una ragione delle ripresa fiacca è stata che la politica economica degli Stati Uniti ha “cambiato di sella”, anche troppo alla svelta, dal concentrarsi sui posti di lavoro è passata a concentrarsi sui deficit di bilancio. Secondo la sua versione, la Amministrazione fece tutto quello che poteva a fronte della opposizione repubblicana. Ma questo mal si accorda con la cronaca indipendente, che ritraeva un Geithner che ironizzava sulle misure di sostegno all’economia, paragonandole a “zucchero” che non avrebbe comportato benefici nel lungo periodo.
Ma l’austerità nella finanza pubblica non è stata la sola ragione per la quale la ripresa è stata così deludente. Molti analisti credono che l’onere dell’elevato debito delle famiglie, un lascito della bolla immobiliare, abbia esercitato come un dragaggio sull’economia. E c’era molto, probabilmente, che la Amministrazione Obama avrebbe potuto fare per ridurre il peso del debito senza la approvazione del Congresso. Ma non lo fece; essa non spese neppure i fondi che erano stati specificamente allocati a questo scopo. Perché? Secondo molti racconti, il principale blocco fu la costante opposizione ad una attenuazione del peso dei mutui da parte del signor Geithner medesimo – egli, se si vuol dir così, era del tutto favorevole a salvare le banche ma contrario a salvare le famiglie.
“Stress Test” sostiene che nessuna quantità immaginabile di alleviamento del debito sui mutui avrebbe prodotto effetti di rilievo nel sospingere l’economia. Ma i principali esperti di questo tema sono gli economisti Atif Mian e Amir Sufi, il cui libro appena pubblicato, “La Casa del Debito”, sostiene proprio il contrario. Sul loro blog, Mian e Sufi mettono in evidenza come la matematica di Geithner su tale questione sembri curiosamente difettosa – sbagliata negli ordini di grandezza – con il risultato che si dà molto meno peso al ruolo del debito nell’ostacolare la spesa pubblica di quanto non ne dia la ricerca economica quasi all’unanimità. E in questo modo non si tiene neppure conto degli ulteriori benefici che sarebbero derivati da un brusca riduzione dei pignoramenti.
Alla fine, la storia della politica economica a partire dal 2008 è stata un caso evidente di due pesi e due misure. I prestiti sbagliati riguardano sempre errori da ambo le parti – se chi ha preso prestiti è stato irresponsabile, altrettanto lo sono stati coloro che hanno dato il denaro a credito. Ma quando sopravviene la crisi, gli errori dei banchieri sono inoffensivi, mentre le famiglie pagano tutto il conto.
E rifiutare di aiutare le famiglie indebitate, si scopre, non è stato solo ingiusto; è stata una politica economica negativa. Wall Street è tornata un auge, ma non l’America. I due pesi e le due misure sono state la ragione principale.
[1] A proposito di Recessione e Depressione, può essere utile questa citazione dal blog “Non ci casco più” del 2011:
“Che una recessione sia in genere intesa come una fase di contrazione del PIL della durata di almeno due trimestri consecutivi è probabilmente noto a molti. Si tratta della definizione “volgare” del termine, utilizzata in genere dai mass media. Molti economisti, però, ne diffidano. Il National Bureau of Economic Research, l’organismo che in America stabilisce le date dei cicli economici, preferisce ad esempio tenere conto di più indicatori economici anziché esclusivamente del PIL e guardare non solo alla durata ma anche all’estensione, in svariati settori, della diminuzione dell’attività. La sua definizione preferita è ben riassunta nel comunicato con cui il NBER ha annunciato che una recessione era iniziata negli Usa nel dicembre del 2007, e recita così: “Una recessione è un calo significativo dell’attività economica, diffuso attraverso l’economia, di durata superiore ad alcuni mesi, normalmente visibile nell’andamento della produzione, dell’occupazione, dei redditi reali e in altri indicatori.”
Quand’è invece che si comincia a parlare di depressione? L’Economist arriva a definire una depressione come una riduzione dell’attività economica pari almeno al 10% del PIL e di durata non inferiore a tre anni. Quella degli anni 1929-1933, in America, fu senza dubbio una Grande Depressione, dato che durò ben 43 mesi con un crollo del PIL del 30% circa.”
E’ anche utile cercare in questo blog l’articolo di Jeremie Frankel del luglio 2013, dal titolo “Quante recessioni europee?”. Si scoprirà che le diverse metodologie di identificazione dei periodi recessivi (tra USA ed Europa, anzitutto) possono portare al risultato di far apparire come superate recessioni che hanno semplicemente dei brevi periodi di interruzione. Oppure che, come nel caso dell’Italia, il cumulo dei periodi sostanzialmente recessivi è tale da comportare effetti che rientrerebbero indiscutibilmente nella definizione di The Economist.
By mm
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