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La pazzesca economia del clima, di Paul Krugman (New York Times 11 maggio 2014)

 

Crazy Climate Economics

MAY 11, 2014 Paul Krugman

Everywhere you look these days, you see Marxism on the rise. Well, O.K., maybe you don’t — but conservatives do. If you so much as mention income inequality, you’ll be denounced as the second coming of Joseph Stalin; Rick Santorum has declared that any use of the word “class” is “Marxism talk.” In the right’s eyes, sinister motives lurk everywhere — for example, George Will says the only reason progressives favor trains is their goal of “diminishing Americans’ individualism in order to make them more amenable to collectivism.”

So it goes without saying that Obamacare, based on ideas originally developed at the Heritage Foundation, is a Marxist scheme — why, requiring that people purchase insurance is practically the same as sending them to gulags.

And just wait until the Environmental Protection Agency announces rules intended to slow the pace of climate change.

Until now, the right’s climate craziness has mainly been focused on attacking the science. And it has been quite a spectacle: At this point almost all card-carrying conservatives endorse the view that climate change is a gigantic hoax, that thousands of research papers showing a warming planet — 97 percent of the literature — are the product of a vast international conspiracy. But as the Obama administration moves toward actually doing something based on that science, crazy climate economics will come into its own.

You can already get a taste of what’s coming in the dissenting opinions from a recent Supreme Court ruling on power-plant pollution. A majority of the justices agreed that the E.P.A. has the right to regulate smog from coal-fired power plants, which drifts across state lines. But Justice Scalia didn’t just dissent; he suggested that the E.P.A.’s proposed rule — which would tie the size of required smog reductions to cost — reflected the Marxist concept of “from each according to his ability.” Taking cost into consideration is Marxist? Who knew?

And you can just imagine what will happen when the E.P.A., buoyed by the smog ruling, moves on to regulation of greenhouse gas emissions.

What do I mean by crazy climate economics?

First, we’ll see any effort to limit pollution denounced as a tyrannical act. Pollution wasn’t always a deeply partisan issue: Economists in the George W. Bush administration wrote paeans to “market based” pollution controls, and in 2008 John McCain made proposals for cap-and-trade limits on greenhouse gases part of his presidential campaign. But when House Democrats actually passed a cap-and-trade bill in 2009, it was attacked as, you guessed it, Marxist. And these days Republicans come out in force to oppose even the most obviously needed regulations, like the plan to reduce the pollution that’s killing Chesapeake Bay.

Second, we’ll see claims that any effort to limit emissions will have what Senator Marco Rubio is already calling “a devastating impact on our economy.”

Why is this crazy? Normally, conservatives extol the magic of markets and the adaptability of the private sector, which is supposedly able to transcend with ease any constraints posed by, say, limited supplies of natural resources. But as soon as anyone proposes adding a few limits to reflect environmental issues — such as a cap on carbon emissions — those all-capable corporations supposedly lose any ability to cope with change.

Now, the rules the E.P.A. is likely to impose won’t give the private sector as much flexibility as it would have had in dealing with an economywide carbon cap or emissions tax. But Republicans have only themselves to blame: Their scorched-earth opposition to any kind of climate policy has left executive action by the White House as the only route forward.

Furthermore, it turns out that focusing climate policy on coal-fired power plants isn’t bad as a first step. Such plants aren’t the only source of greenhouse gas emissions, but they’re a large part of the problem — and the best estimates we have of the path forward suggest that reducing power-plant emissions will be a large part of any solution.

What about the argument that unilateral U.S. action won’t work, because China is the real problem? It’s true that we’re no longer No. 1 in greenhouse gases — but we’re still a strong No. 2. Furthermore, U.S. action on climate is a necessary first step toward a broader international agreement, which will surely include sanctions on countries that don’t participate.

So the coming firestorm over new power-plant regulations won’t be a genuine debate — just as there isn’t a genuine debate about climate science. Instead, the airwaves will be filled with conspiracy theories and wild claims about costs, all of which should be ignored. Climate policy may finally be getting somewhere; let’s not let crazy climate economics get in the way.

 

La pazzesca economia del clima, di Paul Krugman

New York Times 11 maggio 2014

 

Ovunque vi giriate in questi giorni, vedete il marxismo farsi avanti. E’ vero, forse non lo vedete – ma per i conservatori è così. Se appena fate cenno all’ineguaglianza dei redditi, sarete denunciati come una reincarnazione di Giuseppe Stalin; Rick Santorum ha dichiarato che il semplice uso della parola “classe” è “linguaggio marxista”. Agli occhi della destra, dappertutto stanno in agguato minacciosi secondi fini – per esempio, George Will afferma che l’unica ragione per la quale i progressisti sono a favore dei treni è il loro obbiettivo “di svalutare l’individualismo degli americani allo scopo di renderli maggiormente disponibili al collettivismo.”

Non è dunque il caso di dire che la riforma dell’assistenza di Obama, basata su idee originariamente elaborate dalla Heritage Foundation, è un programma marxista – giacché richiedere che la gente acquisti l’assicurazione è praticamente la stessa cosa di spedirla ai gulag.

E ci mancava soltanto che la Agenzia della Protezione dell’Ambiente annunciasse regole rivolte a rallentare il ritmo del cambiamento climatico.

Sinora, la follia della destra in materia di clima era principalmente rivolta ad attaccare la scienza. Ed è stato proprio uno spettacolo: a questo punto quasi tutti i conservatori dichiarati appoggiano la tesi che il cambiamento climatico è una bufala gigantesca, che migliaia di studi che mostrano un pianeta che sta riscaldandosi – il 97 per cento della letteratura – sono il prodotto di una vasta cospirazione internazionale. Ma come la Amministrazione Obama si indirizza a fare qualcosa basandosi su quelle ricerche, la folle economia del clima raggiunge il suo apice.

Si può già percepire il senso di quello che sta arrivando nelle opinioni dissenzienti ad una sentenza della Corte Suprema sull’inquinamento delle centrali elettriche. Una maggioranza dei giudici ha ritenuto che l’EPA abbia il diritto di regolare lo smog proveniente dagli impianti elettrici alimentati a carbone, che vaga oltre i confini degli Stati. Ma il Giudice Scalia [1] non solo dissente; egli afferma che la regola proposta – che collegherebbe le riduzioni dell’inquinamento ammesso ai costi – è il riflesso del concetto marxista “da ognuno secondo le sue possibilità”. Prendere in considerazione i costi è marxista? Qualcuno lo sapeva?

E potete soltanto immaginarvi cosa accadrà quando l’EPA, incoraggiata dalla sentenza sullo smog, passerà a regolare l’emissione dei gas serra.

Cosa intendo per pazzesca economia del clima?

In primo luogo, vedremo denunciare come comportamento tirannico ogni tentativo di limitare l’inquinamento. L’inquinamento non è sempre stato un tema marcatamente di parte: economisti nella amministrazione di George W. Bush elogiarono i controlli sull’inquinamento “basati sul mercato”, e nel 2008 John McCain fece delle proposte per limiti alle emissioni del gas serra, del genere del “cap-and-trade[2], una parte della sua campagna elettorale. Ma quando i democratici alla Camera sono passati nel 2009 ad una vera e propria proposta di legge sul “cap-and-trade”, essa fu attaccata, come vi potete immaginare, come marxista. E in questi giorni i repubblicani sono usciti in forza per opporsi anche ai più elementari regolamenti necessari, come il programma per ridurre l’inquinamento che sta devastando Chesepeake Bay [3].

In secondo luogo, leggeremo affermazioni secondo le quali ogni sforzo per limitare le emissioni provocherà quello che il Senatore Marco Rubio già definisce “un impatto dirompente sulla nostra economia.”

Perché questo è pazzesco? Normalmente i conservatori magnificano la magia dei mercati e la adattabilità del settore privato, che si suppone sia in grado di trascendere con facilità ogni limitazione costituita, ad esempio, dall’offerta limitata di risorse naturali. Ma appena qualcuno propone di aggiungere alcuni limiti per dar prova di una comprensione delle problematiche ambientali – quale il metodo del “cap-and-trade” sulle emissioni di anidride carbonica – tutte quelle imprese che si suppongono onnipotenti perdono ogni capacità di misurarsi con il cambiamento.

Ora, le regole che l’EPA è probabile imponga non daranno al settore privato quella flessibilità che esso avrebbe avuto misurandosi con un tetto alle emissioni di anidride carbonica per l’intera economia o con una tassa sulle emissioni. Ma i repubblicani possono dar la colpa solo a se stessi: la loro opposizione da terra bruciata ad ogni genere di politica climatica ha costretto all’unica strada possibile di una iniziativa esecutiva da parte della Casa Bianca [4].

Inoltre, si scopre che concentrarsi sulle centrali elettriche alimentate a carbone non è un primo passo negativo. Tali impianti non sono l’unica fonte di emissioni di gas serra, ma sono una larga parte del problema – e le migliori stime di cui disponiamo indicano che una riduzione delle emissioni nelle centrali elettriche sarà un parte importante della sua soluzione.

Cosa dire dell’argomento secondo il quale una azione unilaterale degli Stati Uniti non funzionerà, perché è la Cina il problema vero? E’ vero che non siamo più al primo posto come emissioni dei gas serra – ma siamo sempre buoni secondi. Inoltre, l’iniziativa degli Stati Uniti sul clima è il primo passo verso un più ampio accordo internazionale, che sicuramente comprenderà sanzioni verso i paesi che non aderiscono.

Dunque, il fuoco di fila in arrivo sui nuovi regolamenti per le centrali elettriche non sarà un dibattito autentico – come non lo è stato quello sulla scienza del clima. Nei programmi radiotelevisivi imperverseranno le teorie della cospirazione e affermazioni all’impazzata sui costi, che si dovrebbero tutte ignorare. Alla fine la politica sul clima potrà produrre un effetto: impedire che una pazzesca economia del clima si metta di traverso.

 

 

[1] Un componente della Corte Suprema famoso per le sue opinioni reazionarie.

[2] Ovvero, un sistema mirante alla limitazione delle emissioni che si basa sulla definizione di un limite (“cap”) e sulla possibilità successiva di aprire un commercio tra le imprese, facendo diventare il rispetto o il superamento qualitativo di tale limite un valore, ed il non-rispetto un costo. Vale a dire che chi realizza buone prestazioni può “venderle” a chi non le realizza, per consentire a questi ultimi di continuare ad operare. In altre parole, ci sarebbero limiti e su quei limiti si avvierebbe una competizione economica reale, essendo interesse di tutti – almeno in teoria – di comportarsi nel migliore dei modi, per guadagnare ed evitare costi, ed anche – se virtuosi – di ‘rivendere’ i propri buoni risultati.

[3] La baia di Chesapeake è un’insenatura dell’oceano Atlantico lungo la costa orientale degli Stati Uniti, suddivisa fra i territori del Maryland (l’ampia parte settentrionale della baia) e della Virginia (la piccola parte meridionale). È anche l’estuario (il più vasto degli USA) del fiume Susquehanna. Il toponimo Chesapeake deriva dal vocabolo algonchino Chesepiooc, che dovrebbe indicare “un villaggio presso un grosso fiume”. (Wikipedia)

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[4] Ovvero, ha impedito ogni soluzione legislativa nel Congresso, lasciando alla Casa Bianca l’unico strumento di una regolamentazione affidata alla agenzia governativa sull’ambiente.

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