Blog di Krugman

La stagnazione secolare nell’area euro (17 maggio 2014)

 

May 17, 3:03 am

Secular Stagnation in the Euro Area

Most discussion about the possibility of secular stagnation has focused on US data, partly because most of the new secular stagnationists are American, partly because the data are easier to work with. But as Izabella Kaminska and James Mackintosh point out, the euro area seems closer to Japanification than the US. So are there structural changes in Europe that arguably will lead to persistently lower demand unless offset by policy?

Indeed there are. Start with demography: a falling rate of growth in the working-age population leads, other things equal, to lower investment as a share of GDP, because there is less need to equip workers with new factories, office buildings, houses, etc. And if we look at working-age population for the US, the euro area (EA), and Japan we see that Europe is now where Japan was around 1998, when I and other Japan worriers started talking in earnest about liquidity traps:

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Add to this the end of ever-increasing leverage. In the US we focus on how ever-growing household debt was a major source of demand before 2008, which won’t come back; in Europe much the same was going on, but it also makes sense to focus on a different measure, large capital flows to peripheral countries, which won’t come back even if the woes of austerity abate. And these flows were a big part of overall European demand before the crisis:

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So with a shrinking working-age population and without the boost to demand caused by the capital-flow bubble, Europe is extremely likely to have a significantly lower natural real rate of interest heading forward than it had in the past. This in turn suggests that it’s a really really bad idea to let inflation drift down, whether or not it turns into outright deflation.

 

La stagnazione secolare nell’area euro

 

La maggior parte delle discussioni sulla stagnazione secolare si sono concentrate sui dati degli Stati Uniti, in parte perché gran parte dei nuovi ‘stagnazionisti’ sono americani, in parte perché è più facile lavorare con quelle statistiche. Ma come hanno sottolineato Izabella Kaminska e James Mackintosh, l’area euro sembra più vicina degli Stati Uniti a seguire le orme del Giappone. Dunque, ci sono modifiche strutturali in Europa che potranno portare ad una domanda più bassa in modo persistente, se non saranno compensate dalla politica?

In effetti ci sono. Cominciamo con la demografia: una caduta del tasso di crescita della popolazione in età lavorativa conduce, a parità delle altre condizioni, ad una percentuale degli investimenti sul PIL più bassa, perché c’è meno necessità di attrezzare i lavoratori con nuovi stabilimenti, nuovi palazzi per uffici, nuove residenze etc. E se guardiamo alla popolazione in età lavorativa nei casi degli Stati Uniti, dell’area euro e del Giappone, vediamo che l’Europa è adesso dove era il Giappone nel 1998, quando io ed altri che eravamo preoccupati per il Giappone cominciammo esplicitamente a parlare di trappole di liquidità:

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Si aggiunga a questo la fine di rapporti di indebitamento in continua crescita. Negli Stati Uniti ci concentriamo sul problema di come un debito in continua crescita delle famiglie fosse una importante fonte di domanda prima del 2008, e su come non sia destinato e tornare indietro; in Europa è avvenuta in gran parte la stessa cosa, ma essa autorizza a mettere in evidenza un diverso dato: gli ampi flussi di capitali sui paesi periferici, anch’essi non destinati a ritornare anche se le pene dell’austerità si riducono. E quei flussi erano un gran parte della complessiva domanda europea prima della crisi [1]:

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Dunque, con una popolazione in età lavorativa che si riduce e senza la spinta alla domanda provocata dalla bolla dei flussi dei capitali, è estremamente probabile che, andando in avanti, l’Europa abbia un tasso di interesse reale naturale più basso che nel passato. Questo a sua volta indica che è per davvero una pessima idea lasciare che l’inflazione scivoli verso il basso, che essa si trasformi o meno in una aperta deflazione.

 

 

[1] Il titolo della tabella indica il complesso dei paesi debitori dell’Europa, forse più noti come PIGS. La differenza tra PIGS e PGIIS – a parte l’insultante omonimia del primo acronimo con il termine “maiali”, che provocò l’indignazione del Portogallo e della Spagna e fece decidere al Financial Times di sopprimere tale espressione – è in questo; che in uno c’è solo la lettera “I” dell’Italia, nell’altro c’è anche la lettera “I” dell’Irlanda. Il primo termine, in effetti, è abbastanza antico, perché si cominciò ad usarlo nei primi anni novanta, per indicare semplicemente i quattro paesi dell’Europa Meridionale; l’aggiunta dell’Irlanda venne dopo la crisi finanziaria del 2008.

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