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Previsioni e pregiudizi (dal blog di Krugman, 8 maggio 2014)

 

May 8, 1:15 pm

Predictions and Prejudice

The 2008 crisis and its aftermath have been a testing time for economists — and the tests have been moral as well as intellectual. After all, economists made very different predictions about the effects of the various policy responses to the crisis; inevitably, some of those predictions would prove deeply wrong. So how would those who were wrong react?

The results have not been encouraging.

Brad DeLong reads Allan Meltzer in the Wall Street Journal, issuing dire warnings about the inflation to come. Newcomers to this debate may not be fully aware of the history here, so let’s recap. Meltzer began banging the inflation drum five full years ago, predicting that the Fed’s expansion of its balance sheet would cause runaway price increases; meanwhile, some of us pointed both to the theory of the liquidity trap and Japan’s experience to say that this was not going to happen. The actual track record to date:

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Tests in economics don’t get more decisive; this is where you’re supposed to say, “OK, I was wrong, and here’s why”.

Not a chance. And the thing is, Meltzer isn’t alone. Can you think of any prominent figure on that side of the debate who has been willing to modify his beliefs in the face of overwhelming evidence?

Now, you may say that it’s always like this — but it isn’t. Consider the somewhat similar debate in the 1970s over the “accelerationist” hypothesis on inflation — the claim by Friedman and Phelps that any sustained increase in inflation would cause the unemployment-inflation relationship to worsen, so that there was no long-run tradeoff. The emergence of stagflation appeared to vindicate that hypothesis — and the great majority of Keynesians accepted that conclusion, modifying their models accordingly.

So this time is different — and these people are different. And I think we need to try to understand why. Were the freshwater guys always just pretending to do something like science, when it was always politics? Is there simply too much money and too much vested interest behind their point of view?

 

Previsioni e pregiudizi.

 

La crisi del 2008 e le sue conseguenze sono stati un periodo di prove per gli economisti – ed i test sono stati sia morali che intellettuali. Dopo tutto, gli economisti facevano previsioni molto diverse sugli effetti delle varie risposte politiche alla crisi; inevitabilmente, alcune di quelle previsioni si sono dimostrate profondamente sbagliate. Dunque, come hanno reagito coloro che avevano sbagliato?

I risultati non sono stati incoraggianti.

Brad DeLong riporta una lettura di Allan Meltzer sul Wall Street Journal, che avanza ammonimenti terribili sull’inflazione in arrivo. I nuovi arrivati a questo dibattito, in questo caso, possono non essere pienamente consapevoli della storia, dunque la ricapitolo. Meltzer cominciò a battere sul tamburo dell’inflazione cinque interi anni orsono, prevedendo che l’ampliamento del bilancio patrimoniale della Fed avrebbe provocato incrementi dei prezzi fuori controllo; nel frattempo, alcuni di noi indicavano sia la teoria della trappola di liquidità che l’esperienza del Giappone, per sostenere che ciò non era destinato ad accadere. Gli effettivi precedenti sino a questo punto [1] sono i seguenti:

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Non si hanno in economia test più definitivi di questo; si sarebbe supposto che si fosse detto: “Va bene, mi ero sbagliato ed ecco qua le ragioni.”

Neanche per sogno. E il punto è che Meltzer non è solo. Vi viene in mente una qualche rilevante figura schierata da quel lato del dibattito che abbia avuto voglia di modificare i suoi convincimenti a fronte di una evidenza così schiacciante?

Ora, potreste dire che le cose vanno sempre in questo modo – ma non è così. Si consideri il dibattito in qualche modo simile del 1970 a proposito dell’ipotesi “accelerazionista” sull’inflazione – la tesi di Friedman e Phelps secondo la quale un qualche sostenuto incremento nell’inflazione avrebbe provocato un peggioramento del rapporto tra disoccupazione e inflazione, dato che nel lungo periodo non c’era alcun riequilibrio. L’emergere della stagflazione parve confermare quella ipotesi – e la grande maggioranza dei keynesiani accettò quella conclusione, modificando di conseguenza i propri modelli.

Dunque, i tempi sono cambiati e queste persone sono diverse. Ed io penso che dobbiamo cercare di capire il perché. Forse che gli individui dell’economia dell’ “acqua dolce” [2] fingevano soltanto di fare scienza, mentre si è sempre trattato di politica? Dietro i loro punti di vista, ci sono semplicemente troppi soldi e troppi interessi costituiti?

 

 

[1] In blu l’andamento in forte crescita della base monetaria, a seguito della politica espansiva ‘non convenzionale’ da parte della Fed (le cosiddette ‘facilitazioni quantitative’; vedi le note sulla Traduzione a ‘quantitative easing’).

[2] Per una spiegazione sulle due scuole economiche americane, dell’ “acqua dolce” e dell’ “acqua salata”, vedi a “freshwater and saltwater economists” sulle note della Traduzione.

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