May 19, 6:31 am
I’ve been giving various talks and fireside chats here in Oxford, and one thing I keep coming back to is the pivotal role of the 1980s in the development of economic thought.
This isn’t what you usually hear — the 70s have taken on mythical status, and are constantly invoked by inflation worriers, while the 80s get mentioned, if at all, as somehow proving the truth of supply-side economics. But what really happened in the early 80s was a decisive refutation of Lucasian macroeconomics — albeit a refutation met in many places with denial.
For those wondering what I’m talking about: in the 1970s rational-expectations macroeconomists, led above all by Chicago’s Robert Lucas, made an extremely influential case against any kind of activist policy. The key proposition in that case was an assertion, based on Lucas-type models, that only unanticipated changes in monetary policy had real effects. As soon as people understood that, say, the central bank had targeted a lower rate of inflation, prices and wages would adjust, without the need for sustained high unemployment.
What actually happened in the 80s, however, was that central banks — most famously the Fed, but also the Thatcherite Bank of England and others — drastically tightened monetary policy to bring inflation down. And inflation did indeed come down — eventually. But along the way there were deep recessions and soaring unemployment, which went on much longer than you could justify with any plausible story about the monetary shock being unanticipated.
This was very much a vindication of more or less Keynesian views about the economy, and the 80s were in fact marked by the New Keynesian comeback. But many economists had already dug themselves in too deep, denouncing Keynesian economics as nonsense, declaring it dead. Unable to backtrack, they went even deeper, insisting despite all appearances that monetary policy had no real effects whatsoever, that it was all technological shocks.
But leaving that half of the macroeconomics profession aside, for the rest of us the 80s were just as important as the 70s in setting attitudes toward policy. If you like, the 70s showed the limits of policy, but the 80s showed that there were limits to those limits — that monetary policy (and fiscal policy, under some conditions) remained powerful as a tool to stabilize the economy. And that insight has stood the test of time.
Quello show degli anni ‘80
Ho vari colloqui e chiacchierate al caminetto qua ad Oxford, ed una cosa sulla quale continuo a tornare è il ruolo degli anni ‘80 nel cambiamento di prospettiva della evoluzione del pensiero economico.
Non si tratta di quello che solitamente si sente dire – gli anni ’70 hanno assunto uno status mitico, e sono costantemente invocati dagli ‘ansiosi’ dell’inflazione, mentre gli anni ’80 vengono menzionati, quando accade, come la testimonianza della verità dell’economia dal lato dell’offerta. Ma quello che realmente accadde negli anni ’80 fu una confutazione decisiva della macroeconomia ‘lucasiana’ [1] – sebbene una confutazione accolta in molti ambienti con un diniego.
Per coloro che si chiedono di cosa sto parlando: negli anni ’70 i macroeconomisti delle ‘aspettative razionali’, guidati sopra tutti da Robert Lucas di Chicago, avanzarono una tesi estremamente influente contro ogni tipo di politica economica attiva. Il concetto chiave a tale proposito fu un argomento, basato su modelli del genere di quelli di Lucas, che soltanto cambiamenti imprevisti nella politica monetaria hanno effetti reali. Appena le persone lo compresero, diciamo così, la banca centrale dovette adottare un obbiettivo di inflazione più basso: i prezzi ed i salari si sarebbero corretti, senza il bisogno di una elevata disoccupazione duratura.
Quello che effettivamente accadde negli anni ’80, tuttavia, fu che le banche centrali – nel modo più notorio la Fed, ma anche la ‘thatcheriana’ Banca di Inghilterra ed altre – restrinsero drasticamente la politica monetaria per abbassare l’inflazione. E, alla fine, l’inflazione in effetti scese. Ma per la strada ci furono profonde recessioni ed una disoccupazione che schizzò in alto, la qualcosa durò molto più a lungo di quello che si potrebbe giustificare con qualche plausibile racconto sullo shock monetario che deve essere imprevisto.
Questo fu un risarcimento davvero notevole dei punti di vista sull’economia più o meno keynesiani, e gli anni ’80 furono di fatto segnati dal ritorno dei neokeynesiani. Ma molti economisti avevano già scavato troppo a fondo, denunciando l’economia keynesiana come un nonsenso, insistendo nonostante tutte le apparenze che la politica monetaria non aveva in nessun modo alcun effetto reale, che era tutto un problema di shock tecnologici.
Ma mettendo da parte quella metà della disciplina macroeconomica, per noi che restammo fuori gli anni ’80 furono proprio altrettanto importanti degli anni ’70 nel predisporre le attitudini verso la politica. Se preferite, gli anni ’70 mostrarono i limiti della politica, ma gli anni ‘80 mostrarono che c’erano limiti a quei limiti – che la politica monetaria (e quella della finanza pubblica, a certe condizioni) restava uno strumento potente per stabilizzare l’economia. E quella intuizione ha resistito nel tempo.
[1] Robert Lucas, nato nel 1937, è un economista americano, cresciuto culturalmente a Chicago, dove alla fine è tornato ad insegnare.
By mm
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