Blog di Krugman

Squilibrati a Basilea (dal blog di Krugman, 13 maggio 2014)

 

Unbalanced in Basel

May 13, 2014, 4:04 am

Ambrose Evans-Pritchard draws our attention to a speech by Jaime Caruana, General Manager of the Bank for International Settlements. It is indeed a quite remarkable speech — and I mean that in the worst way; it’s a perfect illustration of the way permahawks keep finding new arguments for their never-changing demand that we raise interest rates now now now.

Some background: the BIS has spent almost the whole period since the financial crisis struck calling for tighter money. Oddly, however, it keeps changing its justifications for that call. At first it was dire warnings of inflation just around the corner. Then it was financial instability. Now, with low inflation and possible deflation a growing concern, Mr. Caruana argues that (a) deflation is not so bad (b) we’re in a balance sheet slump, and that means loose money is bad.

On the first point, isn’t it quite remarkable how the BIS has slid from warning about inflation — and dismissing concerns about deflation — to saying that deflation is OK? Beyond that, the main case for arguing that deflation is OK is economic growth during the late 19th century. Is that really a good model? Just to take the most obvious point: the late 19th century was marked by rapid population growth in the “zones of recent settlement” (basically places where Europeans were moving in, displacing or wiping out the locals). In the United States, population grew 2 percent a year from 1880-1910, sustaining high investment demand. And the zones of recent settlement also offered an outlet for very large capital outflows from Europe. In other words, the global situation was conducive to a high natural real rate of interest, making mild deflation much more sustainable than in today’s world.

I’ll probably want to write more about Gilded Age deflation. But for now, let me turn to the balance-sheet thing. Mr. Caruana draws a distinction between the view that we’re suffering from inadequate aggregate demand, and what he claims is a contrasting view that the problem is too much debt; and he claims that the excess debt/balance sheet approach implies that expansionary monetary policy is unhelpful and counterproductive.

And I wonder what on earth he’s talking about.

It’s true that balance-sheet considerations were underemphasized in macroeconomics until recently. But it’s not too hard to put them into a more or less New Keynesian model — see, in particular (ahem) Eggertsson and Krugman (pdf). And what this analysis tells you is that expansionary monetary policy is more, not less, helpful than a model without balance-sheet effects would suggest, because high income and prices reduce the burden of debt.

And conversely, deflation is much worse in a debt-laden world than without, again because of its effect on the real burden. You don’t have to take my word for it — read Irving Fisher from 1933!

So how does the balance-sheet story turn into a case for tight money? I have no idea — there’s certainly no clear explanation in the Caruana speech.

By all means let’s talk about balance-sheet effects. But is it really too much to demand a model, or at least a carefully spelled-out mechanism? Right now it looks as if the BIS is claiming that balance sheets make the case for tight money because in Basel everything makes the case for tight money.

 

Squilibrati a Basilea

 

Ambrose Evans-Pritchard attira la nostra attenzione su un discorso di Jaime Caruana, Direttore Generale della Banca dei Regolamenti Internazionali. Si tratta in effetti di un discorso considerevole – nel senso peggiore, voglio dire; una perfetta illustrazione del modo in cui i falchi più ostinati continuino a trovare nuovi argomenti per la loro immutabile richiesta che si alzino i tassi di interesse senza alcun indugio.

Qualche passo indietro: la BRI, dal momento in cui esplose la crisi finanziaria, ha speso quasi tutto il tempo a pronunciarsi per una restrizione monetaria. Curiosamente, tuttavia, essa ha continuato a cambiare le motivazioni di tale richiesta. In un primo tempo ci furono terribili ammonimenti su una inflazione proprio dietro l’angolo. Poi venne l’instabilità finanziaria. Ora, con una preoccupazione crescente per la bassa inflazione e la possibile deflazione, il signor Caruana sostiene che: a) la deflazione non è così negativa; b) siamo in una crisi degli equilibri patrimoniali [1], e questo significa che il denaro facile è negativo.

Quanto al primo aspetto: non è abbastanza interessante come la BRI sia scivolata dagli ammonimenti sull’inflazione – e dall’ignorare le preoccupazioni sulla deflazione – al dire che la deflazione va bene? Oltre a ciò, l’argomento principale per sostenere che la deflazione è positiva è la crescita economica durante l’ultima parte del XIX Secolo. E’ proprio un buon modello? Solo per considerare l’aspetto più ovvio: l’ultima parte del XIX Secolo fu contrassegnata da un rapido aumento della popolazione nelle “zone di recente insediamento” (fondamentalmente, i luoghi nei quali gli europei si spostavano, rimuovendo o scacciando le popolazioni locali). Negli Stati Uniti la popolazione crebbe di un 2 per cento all’anno dal 1880 al 1910, sostenendo un’alta domanda di investimenti. Ed anche le zone di recente insediamento offrirono uno sbocco per ampi flussi di capitali dall’Europa. In altre parole, la situazione globale favoriva un alto tasso di interesse reale, rendendo una leggera deflazione assai più sostenibile che nel mondo di oggi.

Probabilmente avrò occasione di ritornare sulla deflazione nell’Età dell’Oro. Ma per il momento mi vorrei occupare della faccenda degli equilibri patrimoniali. Il signor Caruana indica una distinzione tra il punto di vista per il quale staremmo soffrendo di una inadeguata domanda aggregata, e quello che definisce un punto di vista opposto, secondo il quale il problema è l’eccessivo debito; e sostiene che l’approccio dell’“eccesso di debito/equilibri patrimoniali” implica che una politica monetaria espansiva non aiuta ed è controproducente.

Ed io mi chiedo di cosa diamine stia parlando.

E’ vero che le considerazioni sugli equilibri patrimoniali furono sottovalutate in macroeconomia sino al periodo recente. Ma non è così difficile inserirle in un modello più o meno neokeynesiano – si veda in particolare (spiacente per l’autocitazione) Eggertsson e Krugman (disponibile in pdf). E quello che questa analisi vi dice è che la politica monetaria espansiva è non meno, bensì più utile di quello che suggerirebbe un modello senza gli effetti degli equilibri patrimoniali, perché alti redditi e prezzi riducono il peso del debito.

E, di converso, la deflazione è molto peggiore in un mondo carico, anziché libero da debiti, ancora per il suo effetto sull’onere reale. Non credete a me – leggetevi Irving Fisher nel 1933!

Dunque, in che modo il racconto sugli equilibri patrimoniali si trasformano in un argomento per un alto costo del denaro? Non ne ho idea, e di certo non c’è una chiara spiegazione nel discorso di Caruana.

In tutti i modi, parliamo pure degli effetti degli equilibri patrimoniali. Ma è troppo chiedere un modello, o almeno un meccanismo espresso con un po’ di scrupolo? A questo punto sembra che la BRI sostenga che gli equilibri patrimoniali siano un argomento per una restrizione monetaria, perché a Basilea ogni cosa è un argomento per una restrizione monetaria.

 

 

[1] Per “equilibrio patrimoniale” si intende la descrizione, in un determinato momento, della situazione di una impresa derivante dalla lettura dei suoi attivi o assets e delle sue passività, alle quali vanno aggiunti i capitali propri degli azionisti. Il termine dunque, in questo caso, si riferisce in generale agli equilibri delle imprese globalmente intesi. Ma si può parlare, ad esempio, di equilibri patrimoniali anche in riferimento alle Banche Centrali, le quali con politiche monetarie espansive (è il caso delle “facilitazioni quantitative”, vedi alle note sulla Traduzione) ‘modificano’ i propri equilibri patrimoniali (li modificano e non li rendono negativi, perché esse hanno la facoltà di creare moneta).

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