Blog di Krugman

Tassi di interesse, inflazione e fatti (17 maggio 2014)

 

May 17, 3:18 am

Interest Rates and Inflation and Evidence

Just a brief belated note on the “neo-Fisherite” view that lower interest rates lead to lower inflation, which has produced some surprising diffidence from economists you would expect to ridicule it; why doesn’t this debate emphasize the large empirical literature on the effects of monetary shocks?

I mean, we have a lot more evidence than just historical correlations between interest rates and inflation; we have multiple studies (like this recent one in Vox) that use either statistical techniques or a narrative approach (or a mix of the two) to identify innovations in monetary policy, which take the form of a rise or fall in policy rates. And we know what happens after a positive shock to policy interest rates: output and inflation both fall.

I mean, this is largely what Chris Sims got his prize for. It’s about as close to a fully established empirical result as we have in economics.

So why are people busy trying to come up with stories in which the opposite happens? Yes, if you work hard enough at it you can produce a model for perverse outcomes (that’s pretty close to a theorem). But what empirical motivation is there for doing all of this?

What I think happened here was actually that some economists said something silly, not out of deep conviction, but because they weren’t really thinking about what their equations meant; and that rather than back off, they have now spent the past few years trying to justify their initial claims. But there’s no reason to take this stuff seriously.

 

Tassi di interesse, inflazione e fatti

 

Soltanto una nota breve e tardiva sul punto di vista “neo-fisheriano” secondo il quale tassi di interesse più bassi portano ad una inflazione più bassa, che ha provocato una qualche sorprendente timidezza da parte di economisti che ci si sarebbe aspettato lo prendessero di mira; perché questo dibattito non dà rilievo alla ampia letteratura empirica sugli effetti degli shocks monetari?

Voglio dire, abbiamo molte prove in più che non soltanto le correlazioni storiche tra tassi di interesse ed inflazione; abbiamo molteplici studi (come questo recente sul blog Vox) che utilizzano sia le tecniche statistiche che l’approccio narrativo (o un misto dei due) per identificare le innovazioni nella politica monetaria, che prendono la forma di una salita o di una discesa nei tassi di riferimento. E sappiamo quello che accade dopo un shock positivo ai tassi di interesse di riferimento: la produzione e l’inflazione cadono entrambe.

Intendo dire, questo è in larga parte quello su cui Chris Sims ha preso il Premio (Nobel) [1]. E’ quanto abbiamo nella teoria economica di più vicino ad un risultato empirico pienamente confermato.

Perché dunque ci sono persone impegnate a tirar fuori storie nelle quali accade l’opposto? Sì, se ci si impegna abbastanza duramente si può produrre un modello per risultati devianti (cioè, abbastanza vicino ad un teorema). Ma quali motivazioni empiriche ci sono per far questo?

Quello che in questo caso penso sia successo è stato che alcuni economisti hanno detto qualcosa di sciocco, non per convinzione profonda, ma perché in realtà non stavano riflettendo al significato delle loro equazioni; e che piuttosto che tornare sui loro passi, adesso hanno speso gli ultimi anni nel cercare di dimostrare le loro tesi iniziali. Ma non c’è alcuna ragione di prendere queste cose sul serio.

 

 

 

[1] Christopher Albert Sims (Washington, 21 ottobre 1942) è un economista statunitense; è attualmente l’Harold B. Helms Professor of Economics and Banking presso l’Università di Princeton. Il 10 ottobre 2011 gli è stato assegnato il premio Nobel per l’economia assieme a Thomas J. Sargent, della New York University, per “la loro ricerca empirica su cause ed effetti nella macroeconomia”. (Wikipedia)

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