Jun 15 10:02 am
Matt Yglesias pushes back against claims, by Ross Douthat among others, that the Democratic Party is a fragile coalition held together only by Hillary Clinton’s personal popularity. He’s right; I’d just like to add a few thoughts.
As Yglesias says, Democrats are remarkably unified on policy. They want to preserve health reform; they want to preserve financial reform, even though some would want to push it further; they want action on climate change; they may be conflicted on immigration, but that’s mostly internal soul-searching rather than a division between party factions.
This policy unity has been helped by the fact that Obama has had a moderate degree of success in achieving these goals. If he had had an easy time, the party might be divided between those wanting more radical action and those not in a hurry; if he had failed utterly, the party might be divided (as it was for much of the past three decades) between a liberal faction and a Republican-lite faction. As it is, however, Obama has managed to achieve a lot of what Democrats have sought for generations, but only with great difficulty against scorched-earth opposition. This means that the conflict between “the Democratic wing of the Democratic Party” — exemplified these days by Elizabeth Warren — and the more pro-big-business wing is relatively muted: the liberal wing knows that Obama has gotten most of what could be gotten, and the actual policies haven’t been the kind that would scare off the less liberal wing.
The Wall Street tantrum of recent years also, in a peculiar way, helps party unity. Bankers who used to support Democrats have thrown their support to Republicans, whining all the way that Obama is looking at them funny; this has reduced their influence on the Democrats, leaving a workable consensus about regulation and tax policy among those left.
How do personalities matter in all this? Not so much. In the end, Obama implemented Clinton’s health plan (remember how he was against mandates?), and Clinton, if elected, will continue Obama’s legacy. The party is willing to rally around an individual because it’s unified on policy, not the other way around.
In fact, it’s the Republicans who desperately need a hero. In retrospect, they needed W much more than they realized: he combined policy fealty to the plutocrats with a personal manner that appealed to the base, in a way no Republican now manages.
Stuff happens; a recession in 2016 could sweep a Republican, any Republican, into the White House. But the Democratic coalition isn’t fragile, while the Republican coalition is.
Democratici disciplinati
Matt Yglesias respinge le pretese, tra gli altri di Ross Douthat, secondo le quali il Partito Democratico sarebbe una fragile coalizione tenuta assieme soltanto dalla popolarità personale di Hillary Clinton. Ha ragione; vorrei soltanto aggiungere poche riflessioni.
Come afferma Yglesias, i democratici sulle scelte politiche sono considerevolmente uniti. Vogliono preservare la riforma sanitaria, anche se alcuni vorrebbero spingerla in avanti; può darsi che siano in conflitto sul tema dell’immigrazione, ma si tratta più che altro problemi di coscienza interni, piuttosto che di una frattura tra correnti del partito.
A questa unità politica ha contribuito il fatto che Obama abbia ottenuto un discreto grado di successo nella realizzazione dei suoi obbiettivi. Se egli avesse avuto un periodo facile, il partito poteva dividersi tra coloro che volevano iniziative più radicali e coloro che non le volevano in modo precipitoso; se avesse avuto un completo fallimento, il partito poteva dividersi (come era avvenuto per gran parte dei tre decenni passati) tra una corrente progressista ed una corrente paragonabile ai repubblicani ragionevoli. Comunque sia, tuttavia, Obama è riuscito ad ottenere quello che i democratici stavano cercando da generazioni, ma solo con grandi difficoltà, contro le tattiche della ‘terra bruciata’ dell’opposizione. Questo significa che il contrasto tra ‘l’ala democratica del Partito Democratico’ – di questi tempi rappresentata da Elizabeth Warren – e l’ala più favorevole alle imprese è relativamente mutato: l’ala progressista sa che Obama ha ottenuto più di quello che essa avrebbe potuto ottenere, e le politiche effettive non sono state del genere di quelle che avrebbero spaventato l’ala meno progressista.
Il ritornello di Wall Street degli anni recenti, ha anch’esso aiutato, in modo peculiare, l’unità del Partito. I banchieri che erano soliti sostenere i democratici hanno spostato il loro sostegno verso i repubblicani, lamentandosi in tutti i modi che Obama non aveva per loro nessuna considerazione; questo ha ridotto la loro influenza sui democratici, consentendo una unità di intenti praticabile sulle regolamentazioni e sulla politica fiscale tra coloro che avevano abbandonato.
Quanto contano in tutto questo le personalità? Non così tanto. Alla fine, Obama ha messo in pratica il piano della Clinton per la sanità (si ricorda come egli fosse contrario alla soluzione della assicurazione obbligatoria? [1]), e la Clinton, se eletta, continuerà il lascito di Obama. Il meccanismo è che il Partito è disponibile a stringersi attorno ad un individuo perché è unito nella politica, non l’opposto.
Di fatto, sono i repubblicani che hanno disperatamente bisogno di un campione. Guardando indietro, essi avevano bisogno di Bush molti di più di quanto si rendessero conto: egli univa alla sudditanza ai plutocrati uno stile personale che appagava la base, in un modo che oggi non riesce a nessun repubblicano.
Può sempre succedere: una recessione nel 2016 potrebbe far entrare trionfalmente un repubblicano, qualsiasi repubblicano, alla Casa Bianca. Ma la coalizione dei democratici non è fragile, mentre la coalizione repubblicana lo è.
[1] Come altre volte abbiamo chiarito, il “mandate” (“delega”) è il criterio che la riforma di Obama ha adottato per ottenere che ogni cittadino fosse tenuto all’acquisto di una assicurazione, prevedendo l’aiuto dei sussidi pubblici a coloro che avevano redditi insufficienti.
By mm
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