Jun 11, 2014
By Noah Smith
I was a Shinzo Abe skeptic. That’s putting it mildly. After all, I was still living in Japan when Abe’s disastrous first term in office put a halt to the reform process begun by Junichiro Koizumi, and ushered in a return to the bad old days of prime minister musical chairs that paralyzed Japan in the 1990s.
When Abe swept back into power in 2012, I thought he was just going to try to talk down the yen and give a little boost to stocks, increasing his public support just long enough to ram through a revision of Japan’s pacifist constitution. I thought he was going to ignore Japan’s moribund economy and long-festering social problems in order to throw red meat to his right-wing backers.
Boy, was I wrong. I was wrong, wrong, wrong.
Let me be blunt: Shinzo Abe is the most effective national leader in the world right now. I never thought I’d say this, but he’s an example that the rest of the world should be following.
This time around, Abe didn’t ignore the economy. Backed by economic adviser Koichi Hamada and Bank of Japan Governor Haruhiko Kuroda, Abe first implemented the biggest monetarist push in world history. He went the opposite direction of Europe, and — unlike the U.S. — he gave every indication that the shift toward monetarism was permanent. The result: Japan has escaped deflation. The stock market is up, growth is way up and even wages are finally starting to rise.
In other words, unlike everyone else in the world, Abe listened to Milton Friedman, and the results are looking good. As the Fed contemplates not whether to taper its quantitative easing but how fast, it might want to look at what’s happening in Japan.
But monetary policy was just the beginning of Hurricane Abe.
Japan’s top social problem is the role of women. The sexism of corporate Japan is legendary, and many millions of Japanese women are underemployed and out of the labor force; yet instead of pushing women back to traditional child-rearing roles, this has mainly just lowered the fertility rate to sub-European levels. But since taking office, Abe — whose party is famous for sexist gaffes — has become the most feminist leader I’ve ever seen.
He constantly talks about the need to make women more equal in the workplace — no small thing in a country where corporations have a reputation for following the government’s wishes. Abe’s detractors dismiss this as empty talk, but talk is never empty, especially when you say things that no one has said before. And Abe is putting his money where his mouth is, with a raft of measures to improve working women’s access to affordable day care.
Already, I can sense a shift. When I lived in Japan 10 years ago, people said that women’s situation would never change, and treated women’s second-class status as an immutable fact of Japanese culture. Nowadays, when I go back, everyone is talking about women’s changing role, and everyone agrees that Abe is the prime mover.
But that’s just the beginning. Abe is moving to cut Japan’s corporate tax rate, which along with the U.S.’s is the world’s highest. The country’s government-run pension fund will probably invest more of its money in risky but high-yielding assets (in an echo of George W. Bush’s failed plan for Social Security). Abe has launched a large number of deregulation efforts, and has pushed — so far unsuccessfully — for Japan to join the Trans-Pacific Partnership, which would lower trade barriers. He is beginning to curb the powers of Japan’s entrenched bureaucracy. He has even suggested bringing in 200,000 immigrants a year to supplement Japan’s shrinking labor force.
On the foreign policy front, Abe has surprised me as well. Yes, he angered China and South Korea by visiting the Yasukuni Shrine (where more than 1,000 war criminals are buried), appointing some right-wing historical revisionists, and generally being a nationalist. But recently he has turned his nationalism into something that looks like liberal internationalism, standing up for the various small Asian countries that have been bullied by China’s push into the South China Sea. Instead of being an apologist for old Japanese imperialism, Abe is championing the rule of law and the freedom of the seas.
Michael Cucek, a blogger who writes about Japanese politics (usually very critically), calls Abe an “idealist liberal icon,” writing: “Abe Shinzo should perhaps now be considered the standard bearer of liberalism around the world.” To me, Abe looks very much like Japan’s answer to Ronald Reagan — an unapologetic nationalist who wants to slash government and make a principled stand against a bullying rival. And unlike Reagan, Abe is a full-throated feminist.
But where Abe really shines is in comparison with previous Japanese leaders. Those of us who watch Japan could be forgiven for thinking that nothing ever changes. At times, Japanese politics seems like the movie “Edge of Tomorrow,” where everything keeps repeating and the good guys seem to never win. Koizumi was different, but Koizumi seemed like a flash in the pan. Now here is Koizumi’s protégé, continuing and expanding the work his mentor began.
The rest of the world should be paying attention. For the first time in 25 years, Japan looks like it could be at the head of the international pack. It’s far from a done deal, of course, but this writer, at least, is a Shinzo Abe convert.
Il giapponese Abe è il maggiore leader del mondo
Di Noah Smith
A dir poco, ero scettico su Shinzo Abe. Dopo tutto, vivevo ancora in Giappone quando il disastroso primo mandato di Abe interruppe il processo di riforma avviato da Junichiro Koizumi, e diede inizio ad un ritorno ai vecchi deprecabili tempi del gioco delle “sedie musicali” del Primo Ministro, che avevano paralizzato il Giappone negli anni ’90 [1].
Quando Abe nel 2012 tornò al potere facendo man bassa, pensai che fosse soltanto intenzionato a cercare di trattare con sufficienza lo yen e a dare un piccolo incoraggiamento ai capitali azionari, accrescendo il suo sostegno pubblico solo quanto bastava per costringere ad una revisione della costituzione pacifista del Giappone. Pensavo che fosse intenzionato ad ignorare la moribonda economia del Giappone ed i problemi sociali da tempo incancreniti, allo scopo di dare in pasto carne cruda ai suoi sostenitori di destra.
Signori, stavo sbagliando alla grande.
Lo dico con nettezza: Shinzo Abe in questo momento è il più valido leader nazionale del mondo. Non avrei mai pensato di arrivare a dire una cosa del genere, ma egli è un esempio che il resto del mondo dovrebbe seguire.
La politica economica di Abe.
Questa volta Abe non ha ignorato l’economia. Con il sostegno del consulente economico Koichi Hamada e del Governatore della Banca del Giappone Haruhiko Kuroda, anzitutto Abe ha messo in atto la più grande spinta monetarista nella storia mondiale. E’ andato nella direzione opposta dell’Europa, e – diversamente dagli Stati Uniti – ha fornito tutte le indicazioni necessarie che la svolta verso il monetarismo era permanente. Conclusione: il Giappone è sfuggito alla deflazione. Il mercato azionario sale, la crescita è molto elevata e persino i salari stanno cominciando a crescere.
In altre parole, diversamente da tutti gli altri nel mondo, Abe ha ascoltato Milton Friedman, e i risultati sembrano buoni. Mentre la Fed medita non sull’attenuare la sua ‘facilitazione quantitativa’, ma con quanta velocità farlo, potrebbe scomodarsi ad osservare quello che sta accadendo in Giappone.
Ma la politica monetaria è solo l’inizio dell’Uragano Abe.
Il principale problema sociale del Giappone è il ruolo delle donne. Il sessismo nelle aziende giapponesi è leggendario, e molti milioni di donne giapponesi sono sottoccupate o escluse dalla forza lavoro; tuttavia invece che riportare le donne ai ruoli tradizionali dell’allevamento dei bambini, questo ha principalmente ridotto il tasso di fertilità a livelli più bassi dell’Europa. Ma dal momento che è entrato in carica, Abe – il cui partito è famoso per le gaffe sessiste – è diventato il leader più femminista che si sia mai visto.
Egli parla in continuazione della necessità di rendere le donne più eguali nei posti di lavoro – cosa non secondaria in un paese nel quale le imprese hanno la reputazione di seguire i desideri del Governo. I detrattori di Abe liquidano tutto ciò come un parlare a vuoto, ma i discorsi non sono mai vuoti, specialmente quando si dicono cose che nessuno diceva in precedenza. E Abe accompagna le sue parole con i fatti, con un mucchio di misure per migliorare il basilare accesso delle donne ad una rete sostenibile di asili nido.
Nel mio caso, io già posso avvertire un cambiamento. Quando vivevo in Giappone dieci anni orsono, la gente diceva che la situazione delle donne non sarebbe mai cambiata, e considerava lo status di seconda classe delle donne come un fatto immutabile della cultura giapponese. Di questi tempi, quando ci torno, tutti parlano del mutamento in atto nel ruolo femminile, e tutti sono d’accordo nell’affermare che Abe ne è il protagonista.
Ma si tratta solo dell’inizio. Abe si sta indirizzando a tagliare l’aliquota fiscale delle imprese giapponesi, che è la più alta al mondo assieme agli Stati Uniti. I fondi pensionistici del paese, gestiti dallo Stato, probabilmente investiranno di più il loro denaro in asset rischiosi ma ad alto rendimento (quasi echeggiando il programma fallito di George W. Bush per la Previdenza Sociale). Abe ha varato un ampio numero di tentativi di deregolamentazione, ed ha spinto – sin qua senza successo – per la adesione del Giappone al Trans-Pacific Partnership, che abbasserebbe la barriere commerciali. Sta cominciando a mettere un freno ai poteri della radicata burocrazia giapponese. Ha persino suggerito di portare a quota 200.000 il numero degli immigrati annui, per integrare il restringimento della forza lavoro giapponese.
Anche sul fronte della politica estera, Abe mi ha sorpreso. E’ vero, ha fatto arrabbiare la Cina e la Corea del Sud visitando il tempio di Yasukuni Shrine (dove sono seppelliti più di mille criminali di guerra), dando incarichi ad alcuni storici revisionisti di destra, e in generale per il suo nazionalismo. Ma recentemente ha modificato il suo nazionalismo in qualcosa che assomiglia ad un sorta di internazionalismo liberale, prendendo posizione a favore di vari piccoli paesi che sono stati messi in guardia dalla Cina a non spingersi nel Mare della Cina Meridionale. Anziché essere un apologeta del vecchio imperialismo giapponese, sta perorando la causa della legge e della libertà di navigazione.
Michael Cucek, una blogger che scrive di politica giapponese (di solito in modo assai critico), definisce Abe una “icona liberale idealista”, scrivendo: “Shinzo Abe dovrebbe forse essere oggi considerato l’alfiere più caratteristico del liberalismo nel mondo”. Secondo me, Abe assomiglia molto ad una risposta giapponese a Ronald Reagan – un nazionalista non pentito che vuole tagliare le funzioni pubbliche ed assumere una posizione di principio contro un rivale prepotente. E, diversamente da Reagan, Abe è un femminista senza esitazioni.
Ma dove Abe realmente brilla è nel confronto con i precedenti leader giapponesi. A quelli tra noi che seguono il Giappone, il pensiero che niente possa mai cambiare può essere perdonato. A volte, la politica giapponese assomiglia al film “Edge of tomorrow” [2], dove tutto continua a ripetersi e le persone per bene sembrano non vincere mai. Koizumi era diverso, ma Koizumi era un fuoco di paglia [3]. Ora c’è il protetto di Koizumi, che continua ed amplia il lavoro cominciato dal suo mentore.
Il resto del mondo dovrebbe prestare attenzione. Per la prima volta in 25 anni il Giappone pare potersi mettere alla testa dello schieramento internazionale. La faccenda è lungi dall’essere conclusa, ma almeno chi scrive è diventato un simpatizzante di Shinzo Abe.
[1] Il gioco delle “sedie musicali” consiste – se ho ben capito – nell’andare in girotondo attorno ad un cerchio di sedie e, nel momento della interruzione di una musica, precipitarsi ad occuparne una. Non è una specialità giapponese, anzi da un articolo del 2011 del New York Times, si apprende che i ragazzi giapponesi non si trovano a loro agio in quella competizione, che esalta il mito americano del ‘vincitore’ assai più di quello giapponese del ‘gioco di squadra’. Suppongo che, riferito alla politica, stia ad indicare un fenomeno di ossessivo attaccamento ai posti di potere, forse anche di trasformismo. In questo, probabilmente, anche i giapponesi eccellevano.
[2] Il titolo di questa pellicola del 2014 in italiano è “Senza Domani”.
[3] Junichiro Koizumi, nei primi anni 2000 a capo del Partito Liberal-democratico, presenta in effetti una biografia, politica ma anche personale, caratterizzata da un certo numero di prestazioni sorprendenti. In politica, cerca di rompere l’immagine tradizionale ed agraria del suo partito conservatore, per posizioni di tipo neo-liberale. Si propone e realizza alcune riforme liberistiche – come la privatizzazione del sistema postale e l’ammodernamento del sistema amministrativo – che probabilmente, nel contesto giapponese, avranno avuto anche implicazioni antiburocratiche. Stabilisce con l’anno 2006 un limite non valicabile alla sua esperienza politica, e vi si attiene con coerenza. Il 2006 è l’anno in cui Shinzo Abe gli succede alla guida del Partito. Si sposa con una ventiduenne ma non dura più di quattro anni, continuando a tenere con sé due dei tre figli, ma ignorando il terzo (pare che i giapponesi separati non contemplino la possibilità di educare i figli assieme). Ed è appassionato di musica, in particolare di Elvis Presley.
A leggere la biografia (Wikipedia) di Koizumi, come del resto a leggere questa medesimo articolo su Shinzo Abe, pare quasi che il “lost decade” (ormai quasi un ventennio) del Giappone sia anche stato l’epoca di una sorta di modernizzazione culturale tardiva dei liberali giapponesi. E sarebbe interessante chiedersi se il rapido esaurimento della ‘stella’ del centro sinistra giapponese – il Partito Democratico di Yukio Hatoyama e, prima e dopo di lui, di Naoto Kan- , che vinse con notevole margine le elezioni del 2009 e passò da una dimissione all’altra, sino ad uscire di scena dopo tre anni, non stia a significare che analoga modernizzazione il centro sinistra non la abbia avuta.
By mm
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