JUNE 22, 2014 Paul Krugman
On Sunday Henry Paulson, the former Treasury secretary and a lifelong Republican, had an Op-Ed article about climate policy in The New York Times. In the article, he declared that man-made climate change is “the challenge of our time,” and called for a national tax on carbon emissions to encourage conservation and the adoption of green technologies. Considering the prevalence of climate denial within today’s G.O.P., and the absolute opposition to any kind of tax increase, this was a brave stand to take.
But not nearly brave enough. Emissions taxes are the Economics 101 solution to pollution problems; every economist I know would start cheering wildly if Congress voted in a clean, across-the-board carbon tax. But that isn’t going to happen in the foreseeable future. A carbon tax may be the best thing we could do, but we won’t actually do it.
Yet there are a number of second-best things (in the technical sense, as I’ll explain shortly) that we’re either doing already or might do soon. And the question for Mr. Paulson and other conservatives who consider themselves environmentalists is whether they’re willing to accept second-best answers, and in particular whether they’re willing to accept second-best answers implemented by the other party. If they aren’t, their supposed environmentalism is an empty gesture.
Let me give some examples of what I’m talking about.
First, consider rules like fuel efficiency standards, or “net metering” mandates requiring that utilities buy back the electricity generated by homeowners’ solar panels. Any economics student can tell you that such rules are inefficient compared with the clean incentives provided by an emissions tax. But we don’t have an emissions tax, and fuel efficiency rules and net metering reduce greenhouse gas emissions. So a question for conservative environmentalists: Do you support the continuation of such mandates, or are you with the business groups (spearheaded by the Koch brothers) campaigning to eliminate them and impose fees on home solar installations?
Second, consider government support for clean energy via subsidies and loan guarantees. Again, if we had an appropriately high emissions tax such support might not be necessary (there would be a case for investment promotion even then, but never mind). But we don’t have such a tax. So the question is, Are you O.K. with things like loan guarantees for solar plants, even though we know that some loans will go bad, Solyndra-style?
Finally, what about the Environmental Protection Agency’s proposal that it use its regulatory authority to impose large reductions in emissions from power plants? The agency is eager to pursue market-friendly solutions to the extent it can — basically by imposing emissions limits on states, while encouraging states or groups of states to create cap-and-trade systems that effectively put a price on carbon. But this will nonetheless be a partial approach that addresses only one source of greenhouse gas emissions. Are you willing to support this partial approach?
By the way: Readers well versed in economics will recognize that I’m talking about what is technically known as the “theory of the second best.” According to this theory, distortions in one market — in this case, the fact that there are large social costs to carbon emissions, but individuals and firms don’t pay a price for emitting carbon — can justify government intervention in other, related markets. Second-best arguments have a dubious reputation in economics, because the right policy is always to eliminate the primary distortion, if you can. But sometimes you can’t, and this is one of those times.
Which brings me back to Mr. Paulson. In his Op-Ed he likens the climate crisis to the financial crisis he helped confront in 2008. Unfortunately, it’s not a very good analogy: In the financial crisis he could credibly argue that disaster was only days away, while the climate catastrophe will unfold over many decades.
So let me suggest a different analogy, one that he probably won’t like. In policy terms, climate action — if it happens at all — will probably look like health reform. That is, it will be an awkward compromise dictated in part by the need to appease special interests, not the clean, simple solution you would have implemented if you could have started from scratch. It will be the subject of intense partisanship, relying overwhelmingly on support from just one party, and will be the subject of constant, hysterical attacks. And it will, if we’re lucky, nonetheless do the job.
Did I mention that health reform is clearly working, despite its flaws?
The question for Mr. Paulson and those of similar views is whether they’re willing to go along with that kind of imperfection. If they are, welcome aboard.
La grande sfida verde. I conservatori ed il cambiamento climatico, di Paul Krugman
New York Times 22 giugno 2014
Domenica Henry Paulson, nel passato Segretario al Tesoro e repubblicano da una vita, ha pubblicato un articolo sulla pagina dei commenti del New York Times sul cambiamento climatico. Nell’articolo, ha dichiarato che il cambiamento del clima prodotto dall’uomo è “la sfida del nostro tempo”, pronunciandosi a favore di una tassa sulle emissioni di anidride carbonica per incoraggiare la tutela dell’ambiente e la adozione di tecnologie verdi. Considerando la prevalenza di un atteggiamento di negazione all’interno del Partito Repubblicano odierno, e la assoluta opposizione ad ogni genere di incremento fiscale, si è trattato di una posizione coraggiosa.
Eppure neanche lontanamente abbastanza coraggiosa. Le tasse sulle emissioni sono la soluzione dei libri di testo di economia ai problemi dell’inquinamento; ogni economista che conosco si rallegrerebbe molto se il Congresso approvasse una tassa sul carbone pulito a tutti i livelli. Ma ciò non è destinato ad accadere, in un futuro prevedibile. Una tassa sul carbone sarebbe la cosa migliore che potremmo fare, ma in effetti non la faremo.
Tuttavia, in seconda istanza, ci sono un certo numero di ottime cose (in senso tecnico, come spiegherò brevemente) che o stiamo già facendo o potremmo fare alla svelta. E la domanda a Paulson ed agli altri conservatori che si considerano ambientalisti è se sono disponibili ad accettare le risposte di seconda istanza che sono state messe in atto dall’altro Partito. Se non sono disponibili, il loro preteso ambientalismo sarebbe un gesto vuoto.
Consentitemi di avanzare alcuni esempi di quello di cui sto parlando.
Si considerino in primo luogo regole come i criteri di efficienza dei combustibili, o come le autorizzazioni agli “scambi sul posto” [1] che impongono alle società di servizi di riacquistare l’elettricità prodotta dai pannelli solari dei proprietari delle abitazioni. Ogni studente di economia vi può dire che tali regole sono inefficienti, se paragonate con espliciti incentivi forniti da una tassa sulle emissioni. Ma non abbiamo una tassa sulle emissioni, e le regole sull’efficienza dei combustibili e sugli ‘scambi sul posto’ riducono le emissioni dei gas serra. Ne deriva una domanda per i conservatori ambientalisti: siete a favore di tali autorizzazioni, oppure state dalla parte dei gruppi di imprese (capeggiate dai fratelli Koch), nella loro campagna per eliminarli e per imporre imposte alla installazione del solare domestico?
In secondo luogo, si consideri il sostegno dello Stato alle energie pulite attraverso i sussidi e le garanzie sui prestiti. Ancora, se avessimo una tassa sulle emissioni adeguatamente elevata, tale sostegno potrebbe non essere necessario (in quel caso ci sarebbe anche un argomento per la promozione dell’investimento, ma lasciamo perdere). Ma non abbiamo una tassa del genere. Dunque, la domanda è: siete a favore di cose come le garanzie sui mutui per gli impianti solari, anche se sappiamo che qualche prestito non andrà a buon esito, come nel caso di Solyndra [2]?
Infine, cosa fare della proposta della Agenzia per la Protezione dell’Ambiente, che utilizza la sua autorità regolamentare per imporre riduzioni nelle emissioni degli impianti elettrici? L’agenzia non vede l’ora di perseguire soluzioni, nella misura possibile, vicine al mercato – fondamentalmente imponendo limiti alle emissioni sugli Stati, nel mentre si incoraggiano gli Stati o i gruppi di Stati a creare sistemi del tipo il “cap-and-trade” [3] che in sostanza stabiliscono un prezzo a carico della anidride carbonica. Nondimeno, questo sarebbe un approccio parziale che si rivolge soltanto ad una fonte di emissioni di gas serra. Siete disponibili a sostenere questo approccio parziale?
Per inciso, i lettori che hanno familiarità con l’economia riconosceranno che sto parlando di quella che tecnicamente è nota come “la teoria della cosa migliore in seconda istanza”. Secondo questa teoria, le distorsioni in un mercato – in questo caso, il fatto che sussistano ampi costi sociali connessi con le emissioni di anidride carbonica, ma che gli individui e le imprese non paghino un prezzo per esse – può giustificare l’intervento dello Stato in altri mercati connessi. Gli argomenti ‘in seconda istanza’ hanno una reputazione dubbia nella teoria economica, perché la politica giusta è sempre quella di eliminare la distorsione primaria, se si può. Ma talvolta non si può, e questo è un caso del genere.
La qualcosa mi riporta al signor Paulson. Nel suo commento paragona la crisi del clima alla crisi finanziaria che lui stesso contribuì ad affrontare nel 2008. Purtroppo, non è una analogia del tutto calzante: nella crisi finanziaria egli poté credibilmente sostenere che il disastro se ne sarebbe andato in pochi giorni, mentre lo svolgimento della catastrofe sul clima durerà molti decenni.
Mi consenta dunque, una diversa analogia, che probabilmente non gli piacerà. In termini politici, l’iniziativa sul clima – se ci sarà per davvero – assomiglierà probabilmente alla riforma sanitaria. Vale a dire, sarà un compromesso complicato imposto in parte dalle necessità di soddisfare interessi particolari, non la netta, semplice soluzione che si sarebbe messa in atto se si fosse potuti ripartire da zero. Sarà il tema per una virulenta faziosità, basandosi completamente sul sostegno di un partito soltanto, e sarà l’argomento di continui attacchi isterici. E ciononostante, se siamo fortunati, servirà al suo scopo.
Mi sono ricordato di dire che la riforma sanitaria, nonostante i suoi difetti, sta chiaramente funzionando?
La domanda al signor Paulson ed a quelli che hanno punti di vista simili è se sono disponibili ad accompagnarsi con questo genere di imperfezioni. Se lo sono, benvenuti a bordo!
[1] “Net metering”, letteralmente “misurazione netta”, in italiano è noto come scambio sul posto (SSP), disciplinato dalla deliberazione dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas. Esso definisce la regolamentazione del meccanismo che consente di immettere in rete l’energia elettrica prodotta da un impianto privato di produzione di energia elettrica, ma non immediatamente autoconsumata, per poi prelevarla in un momento successivo per soddisfare i propri consumi elettrici.
[2] Solyndra era (o forse è ancora) una impresa californiana che operava nel settore dei pannelli solari e che ebbe bisogno di un salvataggio pubblico (in sostanza era stata sopravanzata dalla rapida crescita di tecnologie di solare sempre più convenienti, che avevano spiazzato gli investimenti fatti poco tempo prima). Naturalmente il salvataggio comportò una grande polemica da parte dei repubblicani.
[3] Ovvero, un sistema mirante alla limitazione delle emissioni che si basa sulla definizione di un limite (“cap”) e sulla possibilità successiva di aprire un commercio tra le imprese, facendo diventare il rispetto o il superamento qualitativo di tale limite un valore, ed il non-rispetto un costo. Vale a dire che chi realizza buone prestazioni può “venderle” a chi non le realizza, per consentire a questi ultimi di continuare ad operare. In altre parole, ci sarebbero limiti e su quei limiti si avvierebbe una competizione economica reale, essendo interesse di tutti – almeno in teoria – di comportarsi nel migliore dei modi, per guadagnare ed evitare costi, ed anche – se virtuosi – di ‘rivendere’ i propri buoni risultati.
By mm
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