Jun 30 5:40 pm
I don’t write much about Iraq and all that these days, but this report from James Risen brings back the horror of the whole thing. And I don’t just mean the fact that we were lied into war; that most of our media and policy elite rushed to join the bandwagon; that the venture led to awesome waste of lives and money.
No, Iraq was also a moral cesspit. Not only were we taken to war on false pretenses, it was clear that this was done in part for domestic political gain. The occupation was treated not as a solemn task on which the nation’s honor depended, but as an opportunity to reward cronies. And don’t forget the torture.
So in a way it’s not too surprising to learn that we didn’t just, incredibly, rely heavily on politically connected mercenaries, but that said mercenaries threatened violence against our own officials:
Just weeks before Blackwater guards fatally shot 17 civilians at Baghdad’s Nisour Square in 2007, the State Department began investigating the security contractor’s operations in Iraq. But the inquiry was abandoned after Blackwater’s top manager there issued a threat: “that he could kill” the government’s chief investigator and “no one could or would do anything about it as we were in Iraq,” according to department reports.
And guess what:
American Embassy officials in Baghdad sided with Blackwater rather than the State Department investigators as a dispute over the probe escalated in August 2007, the previously undisclosed documents show.
But it’s still shocking, and a reminder of just how deep the betrayal went.
La macchia irachena
Non scrivo molto questi giorni sull’Iraq e su tutto il resto – ma questo resoconto di James Risen [1] restituisce l’orrore dell’intera faccenda. E non intendo solo il fatto che fummo portati alla guerra con l’inganno; che la maggior parte dei media e della classe dirigente politica si precipitarono a raggiungere il carro del vincitore; o che quell’avventura condusse ad uno spreco terribile di vite umane e di soldi.
No, l’Iraq fu anche una fogna morale. Non soltanto fummo portati in guerra con falsi pretesti, era chiaro che questo in parte veniva fatto per un vantaggio politico interno. L’occupazione venne gestita non come un impegno solenne dal quale dipendeva l’onore della nazione, ma come una opportunità per premiare le clientele amiche. E non ci si scordi della tortura.
Così, in un modo che non sorprende poi tanto, apprendiamo che non solo, incredibilmente, ci basammo su organizzazioni di mercenari che erano politicamente ben inserite, ma che tali mercenari minacciavano con la violenza i nostri stessi ufficiali:
“Nel 2007, soltanto alcune settimane prima che le guardie della Blackwater [2] fatalmente sparassero su 17 civili presso la Baghdad’s Nisour Square, il Dipartimento di Stato aveva iniziato ad investigare sulle operazioni dell’impresa appaltatrice di sicurezza in Iraq. Ma l’inchiesta venne abbandonata – secondo fonti del Dipartimento – dopo che il massimo locale dirigente della Blackwater rese nota una minaccia: ‘che avrebbe potuto uccidere’ il capo degli investigatori governativi, e ‘nessuno ci avrebbe potuto o voluto far niente, dato che eravamo in Iraq’”.
E pensate un po’:
“I documenti in precedenza segreti dimostrano che i dirigenti dell’Ambasciata Americana a Bagdad si schierarono con la Blackwater, anziché con gli investigatori del Dipartimento di Stato, in occasione di uno scontro sull’inchiesta che si inasprì nell’agosto del 2007.”
Eppure si tratta di cose ancora impressionanti, a memoria di quanto il tradimento non conobbe limiti.
[1] Il riferimento è ad un articolo pubblicato dal New York Times il 29 di giugno.
[2] La Blackwater Worldwide, già conosciuta come Blackwater USA e Xe Services LLC, dal dicembre 2011, come Academi, è una compagnia militare privata statunitense fondata nel 1997 da Erik Prince, un ex-Navy SEAL erede di una ricca fortuna di famiglia. Ecco alcune guardie della Backwater che scortano un amministratore civile americano in ispezione:
By mm
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