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Sintesi perduta (dal blog di Krugman 12 giugno 2914)

 

Synthesis Lost

June 12, 2014 2:01 am

Brad DeLong has some notes on the evident trouble we’ve been having maintaining the “neoclassical synthesis” — the doctrine, made famous by Paul Samuelson but actually there in Keynes too, that macroeconomic policy is needed for full employment but once you have that a relatively free-market policy works.

As it happens, I wrote a longish post about this back in 2010. Here’s my section on economic doctrine:

The brand of economics I use in my daily work – the brand that I still consider by far the most reasonable approach out there – was largely established by Paul Samuelson back in 1948, when he published the first edition of his classic textbook. It’s an approach that combines the grand tradition of microeconomics, with its emphasis on how the invisible hand leads to generally desirable outcomes, with Keynesian macroeconomics, which emphasizes the way the economy can develop magneto trouble, requiring policy intervention. In the Samuelsonian synthesis, one must count on the government to ensure more or less full employment; only once that can be taken as given do the usual virtues of free markets come to the fore.

It’s a deeply reasonable approach – but it’s also intellectually unstable. For it requires some strategic inconsistency in how you think about the economy. When you’re doing micro, you assume rational individuals and rapidly clearing markets; when you’re doing macro, frictions and ad hoc behavioral assumptions are essential.

So what? Inconsistency in the pursuit of useful guidance is no vice. The map is not the territory, and it’s OK to use different kinds of maps depending on what you’re trying to accomplish: if you’re driving, a road map suffices, if you’re going hiking, you really need a topo.

But economists were bound to push at the dividing line between micro and macro – which in practice has meant trying to make macro more like micro, basing more and more of it on optimization and market-clearing. And if the attempts to provide “microfoundations” fell short? Well, given human propensities, plus the law of diminishing disciples, it was probably inevitable that a substantial part of the economics profession would simply assume away the realities of the business cycle, because they didn’t fit the models.

The result was what I’ve called the Dark Age of macroeconomics, in which large numbers of economists literally knew nothing of the hard-won insights of the 30s and 40s – and, of course, went into spasms of rage when their ignorance was pointed out.

I’d add that I agree with Robert Waldmann: the policy judgement that you shouldn’t have too much detailed government intervention mainly reflects an appreciation for imperfect government, not faith in perfect markets.

And I still think that the Keynes/Samuelson view is reasonable, although market imperfections loom larger in my mind than they used to. But these are not reasonable times …

 

 

 

Sintesi perduta

 

Brad DeLong scrive alcune note sulla evidente difficoltà che abbiamo avuto a mantenere la “sintesi neoclassica” – la dottrina, che Paul Samuelson rese famosa ma che è in verità anche in Keynes, secondo la quale la politica macroeconomica è necessaria per la piena occupazione, ma a condizione che si comprenda che una politica di un mercato relativamente libero funziona.

Si dà il caso che io scrissi un post lunghetto a questo proposito nel passato 2010. Ecco il mio pezzo sulla dottrina economica:

“Il genere di economia che io uso nel mio lavoro quotidiano – il genere che considero di gran lunga ancora l’approccio più ragionevole in circolazione – fu fissato in buona misura da Paul Samuelson nel lontano 1948, quando egli pubblicò la prima edizione del suo classico libro di testo. Si tratta di un approccio che combina la grande tradizione della macroeconomia, con l’enfasi su come la mano invisibile conduca a risultati generalmente desiderabili, con la macroeconomia keynesiana, che mette l’accento sul modo in cui l’economia può sviluppare problemi al motore di avviamento, richiedendo l’intervento della politica. Nella sintesi samuelsoniana, uno deve far conto sul governo per assicurare una occupazione più o meno piena; solo una volta che questo possa essere considerato acquisito, le normali virtù dei liberi mercati si fanno avanti.

E’ un approccio profondamente ragionevole – ma è anche intellettualmente instabile, perché richiede qualche incoerenza strategica nel modo in cui si pensa all’economia. Quando si sta facendo microeconomia, si assumono individui razionali e mercati capaci di rapida compensazione tra domanda ed offerta; quando si sta facendo macroeconomia, gli assunti sulle frizioni e sui comportamenti ad-hoc sono essenziali.

Cosa c’è che non va? L’incoerenza nel perseguimento di un indirizzo utile non è un vizio. Una mappa non è un territorio, ed è giusto utilizzare diversi tipi di mappa a seconda di quello che si sta cercando di realizzare: se state guidando una macchina, una mappa stradale è sufficiente, se state facendo un’escursione avete bisogno di una mappa topografica.

Ma gli economisti si sono sentiti in dovere di insistere presso la linea divisoria tra micro e macroeconomia – la qualcosa ha significato in pratica fare una macroeconomia più simile alla microeconomia, basandosi sempre di più sulla ottimizzazione e su mercati che generano equilibrio. E se i tentativi di fornire “fondamenta microeconomiche” non bastano? Ebbene, date le inclinazioni umane, in aggiunta alla legge della crescente modestia intellettuale degli allievi, è stato probabilmente inevitabile che una parte sostanziale della disciplina economica semplicemente prescindesse dalle realtà del ciclo economico, dato che esse erano refrattarie ai modelli.

Il risultato è stato quella che io ho definito l’Età Buia della macroeconomia, nella quale un largo numero di macroeconomisti semplicemente ignoravano del tutto le intuizioni ottenute a fatica negli anni ’30 e ’40 – e, naturalmente, si sono fatti prendere da convulsioni di rabbia, quando la loro ignoranza è stata rimarcata.”

 

Aggiungerei che sono d’accordo con Robert Waldmann: il giudizio politico secondo il quale non si dovrebbe avere interventi statali troppo dettagliati, principalmente riflette una valutazione sulla imperfezione dei governi, non una fede nella perfezione dei mercati.

E penso ancora che il punto di vista di Keynes/Samuelson sia ragionevole, sebbene le imperfezioni dei mercati si prospettino assai più ampie nella mia mente rispetto a quanto erano abituati loro. Ma questi non sono tempi ragionevoli …

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