Jul 30 2:05 pm
Justin Wolfers calls our attention to the latest IGM survey of economic experts, which revisits the question of the efficacy of fiscal stimulus. IGM has been trying to pose regular questions to a more or less balanced panel of well-regarded economists, so as to establish where a consensus of opinion more or less exists. And when it comes to stimulus, the consensus is fairly overwhelming: by 36 to 1, those responding believe that the ARRA reduced unemployment, and by 25 to 2 they believe that it was beneficial.
This is, if you think about it, very depressing.
Wolfers is encouraged by the degree of consensus — economics as a discipline is not as quarrelsome as its reputation. But I think about policy and political discourse, and note that policy has been dominated by pro-austerity views while stimulus has become a dirty word in politics.
What this says is that in practical terms the professional consensus doesn’t matter. Alberto Alesina may be literally the odd man out, the only member of the panel who doesn’t believe that the fiscal multiplier is positive — but back when key decisions were being made, it was “Alesina’s hour” in Europe and among Republicans.
You might want to say that the professional consensus was rejected because it didn’t work. But actually it did. Mainstream macroeconomics made some predictions — deficits wouldn’t drive up interest rates in a depressed economy, “fiat money” wouldn’t be inflationary, austerity would lead to economic contraction — that drew widespread scorn; Stephen Moore at the WSJ (which was predicting soaring rates and inflation) dismissed “fancy theories” that “defy common sense.” The fancy theorists were, of course, right — but nobody who rejected the consensus has changed his mind. Oh, and Moore became the chief economist at Heritage.
So, two thoughts. One is a point I think I’ve made before. You fairly often hear people describe the very poor track record of policy since 2008 as an indictment of economists, who clearly didn’t have the right answers. But actually mainstream macro has a pretty decent track record since 2008 — the problem was that what it said about policy was disregarded by the policymakers, who went with what they wanted to believe.
The other is that you have to wonder what good we’re all doing. If policymakers ignore professional consensus, and if views about how the world works are completely insensitive to evidence and results, does knowledge matter. If a tree falls in the academic forest, but nobody in Brussels or Washington hears it, did it make a sound?
Competenza inutile
Justin Wolfers richiama la nostra attenzione sull’ultimo sondaggio di esperti economici da parte di Initiative on Global Markets [1], che torna sul tema della efficacia delle misure di sostegno tramite la spesa pubblica (della Amministrazione Obama). IGM cerca di porre regolarmente domande ad un gruppo più o meno equilibrato di economisti stimati, in modo da stabilire in quali casi esista un consenso di opinioni maggiore o minore. E quando si arriva allo ‘stimolo’, il consenso è abbastanza schiacciante: in un rapporto di 36 ad 1 gli intervistati credono che la Legge sulla Ripresa e i nuovi investimenti in America abbia ridotto la disoccupazione, e 25 di loro contro 2 credono che essa sia stata utile.
Se ci pensate, si tratta di una cosa molto deprimente.
Wolfers è incoraggiato dalla misura del consenso – la disciplina economica non è così litigiosa quanto la sua reputazione. Ma io penso alla politica ed al dibattito politico, ed osservo che la politica è stata dominata dai punti di vista favorevoli all’austerità, mentre in politica lo ‘stimolo’ è diventato una parola impronunciabile.
Questo ci dice che in termini pratici, il consenso professionale non conta. Alberto Alesina può essere letteralmente l’eccentrico che se ne sta ai margini, è l’unico membro del gruppo che non crede che il moltiplicatore [2] della spesa pubblica sia positivo – ma quando furono prese le decisioni fondamentali nel passato, quello fu “il momento di Alesina”, in Europa e tra i repubblicani (americani).
Potreste essere tentati di dire che il consenso professionale venne respinto perché non funzionava, alla prova dei fatti. Ma per la verità funzionava. La macroeconomia prevalente aveva stabilito alcune previsioni – in una economia depressa i deficit non avrebbero spinto in alto i tassi di interesse, stampare moneta non sarebbe stato inflazionistico, l’austerità avrebbe condotto alla contrazione dell’economia – che furono accolte con un generale disprezzo; Stephen Moore sul Wall Street Journal (che stava prevedendo tassi ed inflazione alle stelle) le liquidò come “teorie fantasiose” che “sfidano il senso comune”. Naturalmente, le teorie fantasiose erano giuste – ma nessuno che respinse quel consenso ha cambiato il suo modo di pensare. Per non dire che Moore divenne capo economista della Fondazione Heritage.
Cosicché, due pensieri. Uno è un argomento che ho avanzato in precedenza. Abbastanza spesso si sentono individui descrivere le prestazioni della politica a partire dal 2008 come una accusa verso gli economisti, che evidentemente non avevano le risposte giuste. Ma in verità, la macroeconomia prevalente ha avuto una prestazione piuttosto apprezzabile a partire dal 2008 – il problema è stato che quello che essa affermò in materia di politica economica non è stato preso in considerazione dagli operatori politici, che sono andati dietro a quello che volevano credere.
Il secondo pensiero è che ci si deve chiedere quanto bene essi, tutti assieme, stiano facendo. Se gli operatori politici ignorano il consenso professionale, e se i punti di vista su come il mondo funziona sono completamente insensibili alla prove ed ai risultati, quanto conta la conoscenza? Se nella foresta accademica casca un albero, ma nessuno lo sente a Bruxelles o a Washington, ha davvero fatto rumore?
[1] E’ lo stesso tema dell’articolo sul New York Times del 31 luglio.
[2] Per il concetto di “multiplier” vedi le note sulla traduzione.
By mm
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