Jul 4 10:34 amJul 4 10:34 am
One of the interesting things about the ongoing economic crisis is the way it has demonstrated the importance of historical knowledge. This is only the second global financial crisis serious enough to drive interest rates down to the zero lower bound in most major economies; making sense of it has depended crucially on knowing something about the first.
But it’s not just economic history that turns out to be extremely relevant; intellectual history — the history of economic thought — turns out to be relevant too.
Consider, in particular, the recent to-and-fro about stagflation and the rise of new classical macroeconomics. You might think that this is just economist navel-gazing; but you’d be wrong.
To see why, consider John Cochrane’s latest. Cochrane has opened his mind a bit over the past five years; in 2009 he was asserting that accounting identities implied that shortfalls in demand can’t happen and that a potential role for fiscal policy was a fairy tale nobody believed in. Now he’s at least aware that New Keynesian economics exists, even if he still seems to have trouble understanding that the case for fiscal policy doesn’t depend on second-round effects on consumption, and still puts scare quotes around the word “demand”.
But what’s interesting about Cochrane’s current argument is that it effectively depends on the notion that there must have been very good reasons for the rejection of Keynesianism, and that harkening back to old ideas must involve some kind of intellectual regression. And that’s where it’s important — as David Glasner notes — to understand what really happened in the 70s.
The point is that the new classical revolution in macroeconomics was not a classic scientific revolution, in which an old theory failed crucial empirical tests and was supplanted by a new theory that did better. The rejection of Keynes was driven by a quest for purity, not an inability to explain the data — and when the new models clearly failed the test of experience, the new classicals just dug in deeper. They didn’t back down even when people like Chris Sims (pdf), using the very kinds of time-series methods they introduced, found that they strongly pointed to a demand-side model of economic fluctuations.
And critiques like Cochrane’s continue to show a curious lack of interest in evidence. After all, we’ve had a series of big natural experiments in recent years: a quadrupling of the monetary base, massive deficits, extreme austerity measures. The results of all these natural experiments have been consistent with a Keynesian view, inconsistent with any kind of supply-side view. And there has also been an explosion of empirical work.
In short, you have a much better sense of what’s really going on here, and which ideas remain relevant, if you know about the unhappy history of macroeconomic thought.
Dibattiti di macroeconomia e l’importanza della storia intellettuale
Una delle cose interessanti della perdurante crisi economica è il modo in cui essa ha dimostrato l’importanza della conoscenza storica. Questa è soltanto la seconda crisi finanziaria globale a tal punto seria da spingere in basso i tassi di interesse sino al limite inferiore dello zero: dare un senso a ciò è dipeso fondamentalmente dalla conoscenza della prima crisi.
Ma non è solo la storia economica che si scopre essere estremamente rilevante; si scopre che anche la storia intellettuale – la storia del pensiero economico – è rilevante.
Si consideri, in particolare, il recente ripresentarsi del tema della stagflazione e della ascesa della muova macroeconomia neoclassica. Potreste pensare che si tratti soltanto del guardarsi all’ombelico di un economista; ma avreste torto.
Si consideri, ad esempio, il più recente John Cochrane. Cochrane ha discretamente aperto la sua mente negli ultimi cinque anni; nel 2009 egli sosteneva che le identità contabili comportavano che le cadute della domanda non possono aver luogo e che un ruolo possibile per la finanza pubblica era un racconto di fate a cui nessuno credeva. Oggi egli è almeno consapevole che l’economia neo keynesiana esiste, anche se sembra avere ancora problemi nel comprendere che l’argomento della politica della finanza pubblica non dipende dagli effetti in seconda battuta sui consumi, e se ancora avanza citazioni impaurite sulla sola parola “domanda”.
Ma quello che è interessante nella argomentazione attuale di Cochrane è che essa sostanzialmente dipende dal concetto che non possono non esserci state buone ragioni per il rigetto del keynesismo, e che tornare a dare ascolto a vecchie idee deve comportare una sorta di regressione intellettuale. E il punto che è importante da capire – come nota David Glasner – è quello che realmente è successo negli anni ’70.
Il punto è che la rivoluzione neo classica in economica non fu una classica rivoluzione scientifica, nella quale una vecchia teoria non superò fondamentali test scientifici e fu soppiantata da una nuova teoria che si mostrava più adatta. Il rigetto di Keynes fu guidato da una ricerca di purezza, non da una incapacità a spiegare i dati – e quando i nuovi modelli chiaramente non furono capaci di superare la prova dell’esperienza, i neoclassici semplicemente scavarono più in profondità. Essi non si ritirarono neppure quando persone come Chris Sims (disponibile in pdf), utilizzando esattamente i tipi di metodi delle serie temporali da essi introdotti, scoprirono che proprio questi ultimi indicavano un modello dal lato della domanda delle fluttuazioni economiche.
E critiche come quella di Cochrane continuano a mostrare un curioso disinteresse per tali prove. Dopo tutto, abbiamo avuto una serie di grandi esperimenti naturali negli anni recenti: una quadruplicazione della base monetaria, deficit massicci, misure di austerità estreme. I risultati di tutti questi esperimenti naturali sono stati coerenti con un punto di vista keynesiano, ed incoerenti con ogni genere di approccio dal lato dell’offerta. E c’è anche stata una esplosione di ricerche empiriche.
In breve, si è avuta una percezione molto migliore di quello che sta effettivamente accadendo, e di quali idee restano importanti, se si conosce la storia infelice del pensiero economico.
By mm
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