Blog di Krugman

Domanda aggregata, offerta aggregata e quello che conosciamo (per esperti) (14 luglio 2014)

 

Jul 14 10:44 am

Aggregate Demand, Aggregate Supply, and What We Know (Wonkish)

Brad DeLong finds Chris House taking me to task for failing to “own up” to the puzzling failure of deflation to emerge despite years of depression, and is baffled — because I have in fact repeatedly acknowledged the puzzle, and talked about it a lot.

Partly this is House once again desperately seeking false equivalence; he starts from the proposition that everyone must be equally at fault, and that I must therefore be as unwilling to acknowledge wrong predictions as the equilibrium macro types — no need to check what I actually wrote. (I’m still waiting for examples of things I’ve said that are as crazy as Prescott’s insistence that there is no evidence that monetary policy matters.)

But let’s leave that stuff aside; there’s a point I think needs making about how a Keynesian (or if you like, a Hicksian — let’s not get into the question of What Keynes Really Meant) thinks he knows.

As I see it, we have a general proposition — most recessions are the result of inadequate demand. And we have a pretty good model of aggregate demand, and of how monetary and fiscal policy affect that demand. That model is IS-LM, with endogenous money as appropriate. You can, for some purposes, usefully think of the IS curve as derived from intertemporal optimization, but that’s a metaphor rather than a principle.

We do not have an equally good model of aggregate supply. What we have, instead, is an observation: prices and wages clearly are sticky in the short run, and maybe for longer than that. There’s overwhelming evidence for that proposition, but in trying to justify it we engage in various kinds of hand-waving about menu costs and bounded rationality.

The thing is, for many purposes this slightly vague notion of aggregate supply is enough; we can, for example, be fairly sure that expansionary policies in a depressed economy won’t be inflationary, and we can use the pretty good demand side model to tell us that monetary expansion won’t work but fiscal policy will when we’re at the zero lower bound.

Still, we try. New Keynesians do stuff like one-period-ahead price setting or Calvo pricing, in which prices are revised randomly. Practicing Keynesians have tended to rely on “accelerationist” Phillips curves in which unemployment determined the rate of change rather than the level of inflation.

So what has happened since 2008 is that both of these approaches have been found wanting: inflation has dropped, but stayed positive despite high unemployment. What the data actually look like is an old-fashioned non-expectations Phillips curve. And there are a couple of popular stories about why: downward wage rigidity even in the long run, anchored expectations.

The point, however, is that the price-setting side of the models has never been an integral part of Keynesian doctrine, and the surprising resilience of inflation hasn’t undermined the core insights.

And it remains true that Keynesians have been hugely right on the effects of monetary and fiscal policy, while equilibrium macro types have been wrong about everything.

 

Domanda aggregata, offerta aggregata e quello che conosciamo (per esperti)

Brad DeLong scopre che Chris House mi rimprovera per aver rifiutato di “ammettere” la sconcertante non emersione della deflazione nonostante anni di depressione, ed è confuso – perché di fatto io ho ripetutamente riconosciuto quel mistero, ed ho detto molto a quel proposito.

In parte questo dipende ancora una volta dal disperato tentativo di House di affermare la ‘falsa equivalenza’; egli parte dall’idea che tutti debbono essere egualmente responsabili, e di conseguenza che io debba essere indisponibile a riconoscere le previsioni sbagliate come i soggetti della macroeconomia dell’equilibrio [1] – non c’è bisogno di controllare quello che ho effettivamente scritto (sto ancora aspettando esempi di cose che avrei detto che reggano il confronto con la pazzesca insistenza di Prescott seconda la quale non c’è alcuna prova della rilevanza della politica monetaria).

Ma, lasciando da parte quelle cose; c’è un punto che penso sia necessario porre su come un keynesiano ragiona di quello che conosce (o, se preferite, un hicksiano [2], per non finire nella discussione su “cosa Keynes effettivamente voleva dire”).

Per come la vedo io, c’è un concetto generale – gran parte delle recessioni sono il risultato di una domanda inadeguata. Ed abbiamo un modello piuttosto buono della domanda aggregata, e di come la politica monetaria e della finanza pubblica influenzino quella domanda. Quel modello è lo IS-LM, con la valuta che si considera proveniente dall’interno. Si può, per scopi particolari, pensare utilmente alla curva IS come derivante da una ottimizzazione intertemporale, ma si tratta di una metafora più che di un principio.

Non abbiamo un modello altrettanto buono di offerta aggregata. Quello che abbiamo, piuttosto, è una osservazione: chiaramente i prezzi ed i salari sono vischiosi nel breve periodo, e forse per un periodo anche più lungo. Ci sono prove schiaccianti di questa affermazione, ma nel cercare di giustificarla ci impegnamo in vari generi di approssimazione sul costo delle operazioni sui prezzi dei listini e sui deficit di razionalità.

Il punto è che per molti scopi questa nozione piuttosto vaga di offerta aggregata è sufficiente; possiamo, ad esempio, essere abbastanza certi che politiche espansive in una economia depressa non saranno inflazionistiche, e possiamo utilizzare il modello discretamente buono dal lato della domanda per apprendere che, quando siamo al limite inferiore dello zero dei tassi di interesse, l’espansione monetaria non funzionerà, mentre funzionerà la politica della spesa pubblica.

Eppure, ci proviamo. I neo keynesiani fanno cose come la fissazione di un prezzo di un periodo futuro o il metodo di definizione dei prezzi di Calvo, nel quale i prezzi sono corretti con casualità. I keynesiani impegnati nella analisi degli andamenti reali hanno teso a basarsi sulle curve “accelerazioniste” di Phillips, nelle quali la disoccupazione ha determinato il tasso di cambio piuttosto che il livello di inflazione.

Dunque, quello che è accaduto dal 2008 è che si è scoperto che entrambi questi approcci sono carenti: l’inflazione è caduta, ma è rimasta positiva nonostante l’elevata disoccupazione. Quello a cui i dati effettivamente assomigliano è una curva tradizionale di Phillips, che non considera le aspettative. E ci sono un paio di spiegazioni in circolazione sulle ragioni di ciò: la rigidità dei salari verso il basso, le aspettative bloccate.

Il punto, tuttavia, è che l’aspetto della definizione dei prezzi nei modelli non è mai stato una parte integrante della dottrina keynesiana, e che la sorprendente elasticità dell’inflazione non ha messo in crisi le intuizioni fondamentali.

E resta vero che i Keynesiani hanno avuto ampiamente ragione sugli effetti della politica monetaria e della finanza pubblica, mentre gli economisti dell’equilibrio macroeconomico hanno avuto torto pressoché su tutto.

 

 

[1] Ovvero, la macroeconomia secondo la quale la condizione di una economia è regolata dall’incontro obbligatorio tra la domanda e l’offerta aggregata. Cambiamenti fuori dalla norma su ognuno dei due versanti, troveranno una compensazione per effetto delle loro conseguenze sui prezzi, sull’occupazione e sull’inflazione.

[2] Ovvero un economista che si ispira a Hicks, e in particolare al suo modello IS-LM (vedi sulle note per la traduzione).

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