JULY 31, 2014 Paul Krugman
One of the best insults I’ve ever read came from Ezra Klein, who now is editor in chief of Vox.com. In 2007, he described Dick Armey, the former House majority leader, as “a stupid person’s idea of what a thoughtful person sounds like.”
It’s a funny line, which applies to quite a few public figures. Representative Paul Ryan, the chairman of the House Budget Committee, is a prime current example. But maybe the joke’s on us. After all, such people often dominate policy discourse. And what policy makers don’t know, or worse, what they think they know that isn’t so, can definitely hurt you.
What inspired these gloomy thoughts? Well, I’ve been looking at surveys from the Initiative on Global Markets, based at the University of Chicago. For two years, the initiative has been regularly polling a panel of leading economists, representing a wide spectrum of schools and political leanings, on questions that range from the economics of college athletes to the effectiveness of trade sanctions. It usually turns out that there is much less professional controversy about an issue than the cacophony in the news media might have led you to expect.
This was certainly true of the most recent poll, which asked whether the American Recovery and Reinvestment Act — the Obama “stimulus” — reduced unemployment. All but one of those who responded said that it did, a vote of 36 to 1. A follow-up question on whether the stimulus was worth it produced a slightly weaker but still overwhelming 25 to 2 consensus.
Leave aside for a moment the question of whether the panel is right in this case (although it is). Let me ask, instead, whether you knew that the pro-stimulus consensus among experts was this strong, or whether you even knew that such a consensus existed.
I guess it depends on where you get your economic news and analysis. But you certainly didn’t hear about that consensus on, say, CNBC — where one host was so astonished to hear yours truly arguing for higher spending to boost the economy that he described me as a “unicorn,” someone he could hardly believe existed.
More important, over the past several years policy makers across the Western world have pretty much ignored the professional consensus on government spending and everything else, placing their faith instead in doctrines most economists firmly reject.
As it happens, the odd man out — literally — in that poll on stimulus was Professor Alberto Alesina of Harvard. He has claimed that cuts in government spending are actually expansionary, but relatively few economists agree, pointing to work at the International Monetary Fund and elsewhere that seems to refute his claims. Nonetheless, back when European leaders were making their decisive and disastrous turn toward austerity, they brushed off warnings that slashing spending in depressed economies would deepen their depression. Instead, they listened to economists telling them what they wanted to hear. It was, as Bloomberg Businessweek put it, “Alesina’s hour.”
Am I saying that the professional consensus is always right? No. But when politicians pick and choose which experts — or, in many cases, “experts” — to believe, the odds are that they will choose badly. Moreover, experience shows that there is no accountability in such matters. Bear in mind that the American right is still taking its economic advice mainly from people who have spent many years wrongly predicting runaway inflation and a collapsing dollar.
All of which raises a troubling question: Are we as societies even capable of taking good policy advice?
Economists used to assert confidently that nothing like the Great Depression could happen again. After all, we know far more than our great-grandfathers did about the causes of and cures for slumps, so how could we fail to do better? When crises struck, however, much of what we’ve learned over the past 80 years was simply tossed aside.
The only piece of our system that seemed to have learned anything from history was the Federal Reserve, and the Fed’s actions under Ben Bernanke, continuing under Janet Yellen, are arguably the only reason we haven’t had a full replay of the Depression. (More recently, the European Central Bank under Mario Draghi, another place where expertise still retains a toehold, has pulled Europe back from the brink to which austerity brought it.) Sure enough, there are moves afoot in Congress to take away the Fed’s freedom of action. Not a single member of the Chicago experts panel thinks this would be a good idea, but we’ve seen how much that matters.
And macroeconomics, of course, isn’t the only challenge we face. In fact, it should be easy compared with many other issues that need to be addressed with specialized knowledge, above all climate change. So you really have to wonder whether and how we’ll avoid disaster.
La conoscenza non è potere, di Paul Krugman
Uno dei migliori insulti lo lessi a cura di Ezra Klein, ora principale editore di Vox.com. Nel 2007, egli descrisse Dick Armey, il passato leader della maggioranza della Camera, come “un’idea di persona stupida che viene subito in mente ad una persona riflessiva”.
E’ una frase divertente, che si applica a non poche personalità pubbliche. Il deputato Paul Ryan, Presidente della Commissione Bilancio della Camera, è il primo esempio a portata di mano. Ma forse è uno scherzo che ci riguarda. Dopo tutto, persone del genere dominano di frequente il dibattito politico. E quello che gli operatori della politica non conoscono, o peggio, quello che pensano di conoscere diversamente da com’è, può senz’altro ferirci.
Da dove mi vengono questi pensieri avvilenti? Ebbene, ho dato un’occhiata ai sondaggi a cura di Initiative on Global Markets, che ha sede all’Università di Chicago. Da due anni tale iniziativa ha regolarmente sondato un gruppo di principali economisti, in rappresentanza di un ampio spettro di scuole di pensiero e di orientamenti politici, su domande che spaziano dall’economia degli atleti universitari all’efficacia delle sanzioni commerciali. Si scopre che in giro normalmente c’è, su un tema qualsiasi, molta minore controversia professionale rispetto alla cacofonia che ci si aspetterebbe sulla base della lettura o dell’ascolto dei media.
Questo è stato certamente vero nel caso del più recente sondaggio, con il quale si chiedeva se la American Recovery and Reinvestment Act [1] – anche nota come lo “stimulus” di Obama – avesse ridotto la disoccupazione. Tutti, ad eccezione di uno, hanno risposto affermativamente, un risultato di 36 ad 1. Una domanda successiva, se quelle misure di sostegno fossero state meritevoli, ha ricevuto un consenso leggermente minore ma ancora schiacciante, 25 contro 2.
Lasciamo per un attimo da parte la domanda se il gruppo degli intervistati avesse in questo caso ragione (per quanto l’aveva). Fatemi chiedere, tuttavia, se sapevate che il consenso tra gli esperti sulle misure di sostegno fosse così forte, oppure se neppure eravate a conoscenza dell’esistenza di una tale quasi unanimità.
Suppongo che dipenda da dove ottenete le vostre notizie ed analisi economiche. Ma certamente non avete sentito parlare di quel consenso, ad esempio, sulla CNBC – dove un conduttore rimase così stupefatto ad ascoltare il sottoscritto che sosteneva che una spesa superiore avrebbe incoraggiato l’economia, da descrivermi come un “unicorno”, ovvero come qualcuno della cui esistenza a fatica poteva convincersi.
Ancora più importante, nel corso degli anni passati gli operatori politici del mondo occidentale hanno sostanzialmente ignorato il consenso nella disciplina economica sulla spesa pubblica e su altre cose del genere, affidandosi invece a dottrine che gran parte degli economisti respingono con decisione.
Si dà il caso che il letteralmente curioso soggetto che in quel sondaggio sullo “stimolo” aveva fatto eccezione, fosse il Professore di Harvard Alberto Alesina. Egli aveva sostenuto che i tagli alla spesa pubblica sono effettivamente espansivi, anche se relativamente pochi economisti concordano, come fanno supporre gli studi del Fondo Monetario Internazionale [2] ed altri ancora, che sembrano confutare le sue pretese. Nondimeno, allorquando i leader europei decisero la loro svolta disastrosa in direzione dell’austerità, non tennero conto degli ammonimenti secondo i quali abbattere la spesa in economie depresse avrebbe approfondito la loro depressione. Ascoltarono invece gli economisti che raccontavano loro quello che volevano sentire. Fu, come dice Bloomberg Businessweek, il “momento di Alesina”.
Intendo dire che il consenso tra i professionisti è sempre giusto? No. Ma quando gli uomini politici scelgono intenzionalmente gli esperti a cui vogliono credere – in molti casi, esperti tra virgolette – la cosa più probabile è che facciano la scelta sbagliata. Inoltre, l’esperienza dimostra che in cose del genere non c’è alcun obbligo di responsabilità. Si rammenti che gli americani ancora oggi desumono i loro consigli in economia da individui che per anni hanno previsto, sbagliando, una inflazione fuori controllo ed un collasso del dollaro.
Tutto questo solleva una inquietante domanda: siamo società addirittura capaci di intendere i buoni consigli, relativamente alla politica?
Gli economisti erano soliti fiduciosamente asserire che niente che somigliasse alla Grande Depressione avrebbe potuto ripetersi. Dopo tutto, sapevamo molto di più dei nostri nonni sulle cause e le cure delle recessioni, come avremmo potuto non essere capaci di far meglio? Quando la crisi esplose, tuttavia, gran parte di quello che avevamo imparato negli ultimi 80 anni venne semplicemente messo da parte
L’unica componente del nostro sistema che parve aver appreso qualcosa dalla storia fu la Federal Reserve, e le iniziative della Fed sotto Ben Bernanke, e dopo di lui sotto Janet Yellen, sono probabilmente l’unica ragione per la quale non abbiamo avuto una completa riedizione della Depressione (più di recente, la Banca Centrale Europea sotto Mario Draghi, un altro luogo dove la competenza ancora mantiene un punto di appoggio, ha spinto l’Europa indietro dal baratro dove l’avevano condotta le politiche dell’austerità). Come previsto, nel Congresso sono in atto movimenti per togliere alla Fed libertà di iniziativa. Neppure un singolo componente degli esperti del gruppo degli intervistati di Chicago pensa che sarebbe una buona idea, ma abbiamo visto quanto ci si possa fidare di questo.
E la macroeconomia, ovviamente, non è l’unica sfida che sta dinanzi a noi. Di fatto, essa potrebbe essere paragonata a molte altre tematiche che necessitano di essere affrontate con conoscenza specialistica, in particolare il cambiamento climatico. Dovete dunque per davvero chiedervi se e come eviteremo il disastro.
[1] Letteralmente: “Legge sulla ripresa dell’America e sul riavvio degli investimenti”.
[2] Il riferimento è ad uno studio del FMI del 2010, che Krugman commentò in un post del 5 ottobre di quell’anno.
By mm
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