Blog di Krugman

Le illusioni neomonetariste (dal blog di krugman, 1 luglio 2014)

 

Jul 1 8:30 pmJul 1 8:30 pm

Neomonetarist Delusions

Danny Vinik notes that “reform conservatives”, who are trying either to rescue the right from its intellectual torpor or to provide cover for its fundamental anti-intellectualism — your choice — have gotten a fair bit of lip service for some of their ideas, but none at all for one key proposal: activist monetary policy to assure full employment.

This was predictable.

The neomonetarist movement starts from an acknowledgement of reality: shortfalls of aggregate demand do happen, and they do matter, and we need an answer. Like the original monetarists, however, they reject any government role in the form of discretionary fiscal policy. Instead, they argue that the Fed and its counterparts can do the job all on their own if they really want to.

I don’t buy this on the economics; to do what’s needed central banks either have to take on a lot of risk, which is in effect a form of fiscal policy, or change inflation expectations, which is far beyond conventional monetary policy. But we don’t need to hash this out here. The more important point is that the neomonetarists are deluded in imagining that there is any constituency for their ideas in the modern conservative movement.

Remember what happened when the Fed began a partial move toward the kind of policy they want: practically the whole Republican establishment began screaming at Ben Bernanke that he was debasing the currency. And surely you don’t think that the failure of inflation to materialize has changed their minds.

And underlying this total opposition to monetary expansion lie two deep forces. First, much of the right is thoroughly committed to the view that bad things only happen because of the government, that the private sector will never have problems if it has low taxes and the security of the gold standard. Paul Ryan is effectively the intellectual leader of the GOP — and he gets his monetary economics from characters in Ayn Rand novels.

Moreover, the Kalecki argument about why business interests oppose activist fiscal policy applies to monetary policy too. If “captains of industry” want the body politic to believe that prosperity depends on their “confidence” — so that any criticism leads to depression — they’re going to hate monetarism as much as they hate Keynesianism, because both imply that full employment depends on policy, not their hurt feelings.

So there’s really no constituency for neomonetarism. Milton Friedman would be an isolated outcast in today’s conservative movement, and his would-be successors have no home.

 

 

Le illusioni neomonetariste

 

Danny Vinik nota che i “conservatori riformisti” che stanno cercando sia di salvare la destra dal suo torpore intellettuale che di dare copertura al suo fondamentale anti-intellettualismo – come preferite – hanno ottenuto una discreta adesione di facciata per alcune delle loro idee, ma non hanno ottenuto proprio niente su una proposta cruciale: una politica monetaria attiva per assicurare la piena occupazione.

Il movimento neomonetarista [1] prende le mosse dal riconoscimento della realtà: cadute della domanda aggregata accadono per davvero, e sono importanti, e dobbiamo dare una risposta. Come gli originali monetaristi, tuttavia, essi respingono ogni ruolo del Governo nella forma di una politica discrezionale della finanza pubblica. Invece, sostengono che la Fed ed i suoi omologhi, se davvero lo vogliono, possono fare tutto il lavoro per loro conto.

Io non aderisco a questa posizione di teoria economica; per fare quello che è necessario le banche centrali devono prendersi una buona dose di rischio, che in effetti è una forma di politica della finanza pubblica, ed anche modificare le aspettative inflazionistiche, che è qualcosa che va molto oltre la politica monetaria convenzionale. Ma non abbiamo bisogno di far pasticci oltre a questo. Il punto più importante è che i neomonetaristi si sono illusi che ci sia un qualche seguito alle loro idee nel movimento conservatore contemporaneo.

Ricordate cosa accadde quando la Fed cominciò a muoversi in parte verso il genere di politica che essi vogliono: praticamente l’intero gruppo dirigente del Partito Repubblicano cominciò a urlare verso Ben Bernanke, che stava svalutando la moneta. E di sicuro non è il caso di pensare che il fatto che non vi sia segno di inflazione abbia cambiato qualcosa nelle loro teste.

E dietro questa totale opposizione alla espansione monetaria sussistono due forze potenti. La prima. Gran parte della destra si attiene scrupolosamente al punto di vista secondo il quale le cose negative vengono solo dal Governo, e che il settore privato non avrà mai problemi se avrà basse tasse e la sicurezza del gold standard. Paul Ryan è effettivamente il leader intellettuale del Partito Repubblicano – e trae la sua economia monetaria dai personaggi dei racconti di Ayn Rand [2].

Inoltre, la tesi di Kalecki [3] secondo la quale gli interessi delle imprese si oppongono ad una politica della finanza pubblica attiva si applica anche alla politica monetaria. Se i “capitani dell’industria” vogliono che il corpo politico dipenda dalla loro “fiducia” – cosicché ogni critica sia come una spinta verso la depressione – sono destinati ad odiare il monetarismo nello stesso modo in cui odiano il keynesismo, perché per entrambi è implicito che la piena occupazione dipende dalla politica, e non dai loro sentimenti feriti.

Dunque, non c’è davvero nessun seguito per il neomonetarismo. Milton Friedman sarebbe un emarginato isolato nel movimento conservatore odierno, ed i suoi aspiranti successori sono senza casa.

 

 

 

[1] Il neomonetarismo – ovvero la versione più recente del monetarismo, il cui esponente principale nel secolo scorso fu Milton Friedman – vede tra i suoi esponenti Warren Mosler, L. Randall Wray, Stephanie Kelton, e Bill Mitchell e, forse con una maggiore autonomia di orientamenti e di ricerca, James K. Galbraith.

[2] Per la scrittrice Ayn Rand vedi le note sulla traduzione.

[3] A proposito di questa tesi di Kalecki, Krugman scrisse un articolo l’8 agosto 2013, dal titolo “Il fattore della paura fasulla”, qua tradotto.

Michał Kalecki (Łódź, 22 giugno 1899Varsavia, 18 aprile 1970) è stato un economista polacco. Le sue teorie sono considerate, da alcuni, come precorritrici delle idee esposte nella Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta di John Maynard Keynes.[1]

Il suo lavoro ha riguardato principalmente la macroeconomia, in particolare il ciclo economico, la distribuzione del reddito e la matematica applicata alle analisi dinamiche dell’economia. Secondo John Kenneth Galbraith, va considerato, insieme a Oskar Lange uno dei due principali economisti socialisti del primo dopoguerra.[2] I punti di convergenza tra Kalecki e Keynes sono numerosi a partire dall’analisi delle classi sociali e dalla separazione delle decisioni di risparmio ed investimento, fino alla presa di coscienza di molte caratteristiche proprie di una economia monetaria, come quella per cui i lavoratori sono remunerati in termini monetari e non in termini reali (Wikipedia).

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