Articoli sul NYT

Non vogliamo costruire, di Paul Krugman (New York Times 3 luglio 2014)

 

Build We Won’t

JULY 3, 2014 Paul Krugman

You often find people talking about our economic difficulties as if they were complicated and mysterious, with no obvious solution. As the economist Dean Baker recently pointed out, nothing could be further from the truth. The basic story of what went wrong is, in fact, almost absurdly simple: We had an immense housing bubble, and, when the bubble burst, it left a huge hole in spending. Everything else is footnotes.

And the appropriate policy response was simple, too: Fill that hole in demand. In particular, the aftermath of the bursting bubble was (and still is) a very good time to invest in infrastructure. In prosperous times, public spending on roads, bridges and so on competes with the private sector for resources. Since 2008, however, our economy has been awash in unemployed workers (especially construction workers) and capital with no place to go (which is why government borrowing costs are at historic lows). Putting those idle resources to work building useful stuff should have been a no-brainer.

But what actually happened was exactly the opposite: an unprecedented plunge in infrastructure spending. Adjusted for inflation and population growth, public expenditures on construction have fallen more than 20 percent since early 2008. In policy terms, this represents an almost surreally awful wrong turn; we’ve managed to weaken the economy in the short run even as we undermine its prospects for the long run. Well played!

And it’s about to get even worse. The federal highway trust fund, which pays for a large part of American road construction and maintenance, is almost exhausted. Unless Congress agrees to top up the fund somehow, road work all across the country will have to be scaled back just a few weeks from now. If this were to happen, it would quickly cost us hundreds of thousands of jobs, which might derail the employment recovery that finally seems to be gaining steam. And it would also reduce long-run economic potential.

How did things go so wrong? As with so many of our problems, the answer is the combined effect of rigid ideology and scorched-earth political tactics. The highway fund crisis is just one example of a much broader problem.

So, about the highway fund: Road spending is traditionally paid for via dedicated taxes on fuel. The federal trust fund, in particular, gets its money from the federal gasoline tax. In recent years, however, revenue from the gas tax has consistently fallen short of needs. That’s mainly because the tax rate, at 18.4 cents per gallon, hasn’t changed since 1993, even as the overall level of prices has risen more than 60 percent.

It’s hard to think of any good reason why taxes on gasoline should be so low, and it’s easy to think of reasons, ranging from climate concerns to reducing dependence on the Middle East, why gas should cost more. So there’s a very strong case for raising the gas tax, even aside from the need to pay for road work. But even if we aren’t ready to do that right now — if, say, we want to avoid raising taxes until the economy is stronger — we don’t have to stop building and repairing roads. Congress can and has topped up the highway trust fund from general revenue. In fact, it has thrown $54 billion into the hat since 2008. Why not do it again?

But no. We can’t simply write a check to the highway fund, we’re told, because that would increase the deficit. And deficits are evil, at least when there’s a Democrat in the White House, even if the government can borrow at incredibly low interest rates. And we can’t raise gas taxes because that would be a tax increase, and tax increases are even more evil than deficits. So our roads must be allowed to fall into disrepair.

If this sounds crazy, that’s because it is. But similar logic lies behind the overall plunge in public investment. Most such investment is carried out by state and local governments, which generally must run balanced budgets and saw revenue decline after the housing bust. But the federal government could have supported public investment through deficit-financed grants, and states themselves could have raised more revenue (which some but not all did). The collapse of public investment was, therefore, a political choice.

What’s useful about the looming highway crisis is that it illustrates just how self-destructive that political choice has become. It’s one thing to block green investment, or high-speed rail, or even school construction. I’m for such things, but many on the right aren’t. But everyone from progressive think tanks to the United States Chamber of Commerce thinks we need good roads. Yet the combination of anti-tax ideology and deficit hysteria (itself mostly whipped up in an attempt to bully President Obama into spending cuts) means that we’re letting our highways, and our future, erode away.

 

Non vogliamo costruire, di Paul Krugman

New York Times 3 luglio 2014

Si trovano spesso persone che parlano delle nostre difficoltà economiche come se fossero complicate e misteriose, prive di chiari sbocchi. Come ha messo in evidenza di recente l’economista Dean Baker, niente potrebbe essere più lontano dalla verità. In sostanza, la storia fondamentale di quello che è andato storto è di una semplicità quasi assurda: abbiamo avuto una immensa bolla immobiliare e, quando la bolla è scoppiata, ha lasciato un grande buco nella spesa. Tulle le altre cose sono dettagli.

Ed anche la risposta politica appropriata era semplice: riempire quel buco nella domanda. In particolare, il periodo successivo allo scoppio della bolla era (ed ancora è) ottimo per investire in infrastrutture. Nei periodi fiorenti, la spesa pubblica sulle strade, sui ponti e su tutto il resto è in competizione con le risorse per il settore privato. A partire dal 2008, tuttavia, la nostra economia è stata inondata da lavoratori disoccupati (specialmente lavoratori dell’edilizia) e da capitali senza alcuna prospettiva (e questa è la ragione per la quale i costi dell’indebitamento statale sono ai minimi storici). Mettere queste risorse inattive al servizio della costruzione di cose utili avrebbe dovuto essere un gioco da ragazzi.

Ma quello che effettivamente è successo è stato l’esatto contrario: un crollo senza precedenti nella spesa in infrastrutture [1]. La spesa pubblica nel settore delle costruzioni, corretta per l’inflazione e per la crescita della popolazione, è caduta di più del 20 per cento rispetto agli inizi del 2008. In termini politici una svolta terribilmente sbagliata, quasi surreale; abbiamo operato in modo da indebolire l’economia nel breve periodo persino mettendo a repentaglio le sue prospettive di lungo periodo. Ben fatto!

E siamo prossimi ad avere persino un peggioramento. Il fondo fiduciario sulle strade statali federali, che paga una larga parte della costruzione e della manutenzione delle strade, è quasi esaurito. Se il Congresso in qualche modo non accorda un rimpinguamento del fondo, i lavori stradali in tutto il paese dovranno ridursi al minimo entro poche settimane a partire da oggi. Se accadesse una cosa del genere, ci costerebbe in breve tempo migliaia di posti di lavoro, la qualcosa potrebbe far deragliare la ripresa dell’occupazione che finalmente sta acquistando forza. E ciò ridurrebbe anche il potenziale dell’economia di lungo periodo.

Come si possono fare errori del genere? Come per molti dei nostri problemi, la risposta risiede nell’effetto combinato di una ideologia rigida e delle tattiche politiche oltranziste [2]. La crisi del fondo per la viabilità è solo un esempio di un problema molto più generale.

Dunque, a proposito del fondo per la viabilità: la spesa nel settore è tradizionalmente coperta dalla tassazione specifica sui carburanti. Il fondo fiduciario federale, in particolare, trae i suoi finanziamenti dalla tassa federale sulla benzina. Negli anni recenti, tuttavia, le entrate derivanti dalla tassa sui carburanti sono state costantemente al di sotto delle necessità. Questo è principalmente dipeso dal fatto che la tariffa, 18,4 centesimi a gallone, non è cambiata dal 1993, anche se il livello generale dei prezzi è cresciuto di più del 60 per cento.

E’ difficile pensare ad una qualche buona ragione per la quale le tasse sulla benzina dovrebbero essere così basse, ed è facile individuare le ragioni per le quali il carburante dovrebbe costare di più, dalle preoccupazioni sul clima alla dipendenza dal Medio Oriente. C’è dunque una ragione molto forte per alzare la tassa sui carburanti, anche a prescindere dalla necessità di aver mezzi per i lavori stradali. Ma anche se non fossimo pronti a fare subito la cosa giusta – se, ad esempio, volessimo evitare di alzare le tasse finché l’economia non è più forte – non abbiamo alcuna necessità di fermare la costruzione e la manutenzione delle strade. Il Congresso può, come ha già fatto, rimpinguare il fondo sulla viabilità attingendo alle entrate generali. Di fatto, a partire dal 2008, esso ha versato in quelle casse 54 miliardi di dollari. Perché non farlo ancora?

Invece no. Non possiamo semplicemente staccare un assegno per il fondo sulla viabilità ci si dice, perché aumenterebbe il deficit. E i deficit sono il male, almeno finché c’è un democratico alla Casa Bianca, persino se il Governo può indebitarsi a tassi di interesse incredibilmente bassi. E non possiamo elevare le tasse sui carburanti perché si aumenterebbero le tasse, ed aumentare le tasse è un male persino peggiore dei deficit. Meglio dunque mandare le nostre strade in rovina.

Se vi sembra pazzesco, è perché lo è. Ma una simile logica sta dietro il crollo generale degli investimenti pubblici. Gran parte di tali investimenti viene eseguita dagli Stati e dai governi locali, che in generale debbono amministrare bilanci in pareggio ed hanno visto le entrate scendere a partire dallo scoppio della bolla immobiliare. Ma il Governo federale poteva sostenere l’investimento pubblico attraverso assegnazioni finanziate in deficit, e gli stessi Stati avrebbero potuto raccogliere maggiori entrate (cosa che alcuni hanno fatto, ma non tutti). Il collasso dell’investimento pubblico è stato, di conseguenza, una scelta politica.

Quello che è istruttivo nella incombente crisi della viabilità è che essa illustra come quella scelta politica sia diventata soltanto autodistruttiva. Una cosa è bloccare gli investimenti sull’ambiente, o i treni ad alta velocità, o persino la costruzione di scuole. Io sono a favore di cose del genere, ma molti a destra non lo sono. Ma tutti, dai centri di ricerca progressisti alla Camera di Commercio degli Stati Uniti [3], pensano che abbiamo bisogno di buone strade. Tuttavia, la combinazione di una ideologia contro il fisco e di una isteria sul deficit (essa stessa principalmente montata nel tentativo di intimidire il Presidente Obama e costringerlo a tagli alla spesa) significa che stiamo rendendo possibile l’erosione del nostro sistema viario e del nostro futuro.

 

 

[1] Sul suo blog del 3 luglio Krugman aveva anche pubblicato questo diagramma relativo all’andamento della spesa pubblica in quel settore:

z 24

 

 

 

 

 

 

 

[2] “Scorched-earth tactics”, “tattiche della terra bruciata”

[3] Che è un esempio significativo, per le sue note posizioni conservatrici.

By


Commenti dei Lettori (0)


E' possibile commentare l'articolo nell'area "Commenti del Mese"