Blog di Krugman

Sulla neo-paleo keynesiana curva di Phillips (15 luglio 2014)

 

Jul 15 10:42 am

On the Neo-paleo-Keynesian Phillips Curve (Wonkish)

In a previous post I mentioned, sort of in passing, that recent data actually look like an old-fashioned pre-accelerationist Phillips curve — that is, unemployment determines the inflation rate, not the rate of change of the inflation rate.

Where did this assertion come from? There seems to be one of these funny situations right now where people who don’t work on such issues consider this a wild and crazy, or maybe just silly assertion, while those actually doing serious empirical work treat it as a matter of course.

Here’s what you see if you look at US data:

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But is that just me? No. Consider two recent studies on unemployment and inflation.

First, there’s Michael Kiley (pdf), who had the very good idea of adding power by estimating the relationship across a number of metropolitan areas.You need to read it carefully, but it turns out that his Phillips curve is non-accelerationist for the past 15 years:

We estimate equation 2 over two sample periods (as in our national estimates), 1985-2013 and 1998-2013. For the 1985-2013 sample, we proxy expected inflation with a region-specific intercept and the national measure of long-run expected inflation from the Survey of Professional forecasters used in our national regression; for the 1998-2013 sample, region fixed effects are used to proxy for expected inflation (because, as in the national regressions presented earlier, the survey measure of expected inflation is es- sentially constant over the 1998-2013 period).

Then there’s the new post by Klitgaard and Peck at Liberty Street, which essentially does a similar exercise for eurozone countries. Their results look like this:

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That’s a relationship between the change in unemployment and the change in inflation, equivalent to a relationship between the level of unemployment and the level of inflation — i.e., an old-fashioned Phillips curve.

I’m not saying that this is a fundamental truth. All I’m saying is that people trying to fit recent data keep finding something that looks like the old-fashioned relationship. You can offer various explanations — downward wage rigidity, anchored expectations, or maybe it just isn’t worth adjusting price-setting to match fairly small variations in expected inflation. But anyway, that’s what the data look like.

 

Sulla neo-paleo keynesiana curva di Phillips (per esperti)

In un precedente post mi sono riferito, quasi di passaggio, ai dati recenti che assomigliano ad una tradizionale curva di Phillips, quale essa era prima della scoperta dei fattori di accelerazione [1] – vale a dire, la disoccupazione determina il tasso di inflazione, e non la percentuale di cambiamento del tasso di inflazione.

Da dove deriva questa affermazione? Sembra in questo caso di essere in una di quelle curiose situazioni nelle quali le persone che non lavorano su tali temi considerano affermazioni di questo genere allucinanti e pazzesche, o magari solo sciocche, mentre quelli che effettivamente stanno facendo un serio lavoro empirico le trattano alla stregua di conseguenze naturali.

Ecco quello che si osserva se si guardano i dati degli Stati Uniti [2]:

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Ma, si tratta solo di un mio giudizio? No. Si considerino due studi recenti sulla disoccupazione e sull’inflazione.

Quanto al primo, c’è Michael Kiley (disponibile in pdf) che ha avuto la buona idea di aumentare la visibilità stimando la relazione tra un certo numero di aree metropolitane. Si deve leggerlo con attenzione, ma si scopre che la curva di Phillips non ha avuto fenomeni di accelerazione nel corso degli ultimi 15 anni:

“Stimiamo l’equazione 2 su due periodi campione (come nelle nostre stime nazionali), quello 1985-2013 e quello 1998-2013. Per il campione 1985-2013 intermediamo la inflazione attesa sulla base informazioni colte su aree specifiche e la misurazione nazionale della inflazione attesa di lungo periodo sulla base del Sondaggio dei Previsori Professionali utilizzato nella nostra regressione nazionale; per il campione 1998-2013, gli effetti corretti al livello della regione sono utilizzati per intermediare il dato della inflazione attesa (giacché, come nelle regressioni nazionali presentate in precedenza, la misurazione del sondaggio sulla inflazione attesa è sostanzialmente costante nel periodo 1998-2013) [3]”.

C’è poi il nuovo post di Klitgaard e Peck sul blog Liberty Street [4], il quale sostanzialmente fa lo stesso esercizio per i paesi dell’eurozona. I loro risultati sono i seguenti:

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Questa è la relazione tra i mutamenti nella disoccupazione e quelli nell’inflazione, equivalente alla relazione tra il livello della disoccupazione ed il livello dell’inflazione – vale a dire, una curva di Phillips di tipo tradizionale.

Non sto dicendo che questa sia una verità fondamentale. Tutto quello che sto dicendo è che le persone che cercano di adattare i dati recenti finiscono per trovare qualcosa che assomiglia ad una relazione simile a quello che si riteneva corretta nel passato. Si possono offrire varie spiegazioni – la rigidità verso il basso dei salari, le aspettative bloccate, o forse semplicemente non è il caso di correggere la definizione dei prezzi per metterli in equilibrio con variazioni abbastanza modeste nella inflazione attesa. Ma, in ogni modo, è a questo che i dati recenti assomigliano.

 

 

[1] A proposito della “curva di Phillips” si può leggere una ampia nota andando sulle “Note della traduzione”.

In sintesi Phillips fornì il suo contributo nel 1958 e il tema era relativo al rapporto tra inflazione e disoccupazione, che pareva allora fosse stabile. Ad un dato livello di disoccupazione corrispondeva un dato livello di inflazione, cosicché, come scrisse l’economista Robert Solow: “La società può permettersi un saggio di inflazione meno elevato o addirittura nullo, purché sia disposta a pagarne il prezzo in termini di disoccupazione”. In realtà, in precedenza anche l’economista americano Irving Fisher si era occupato dello stesso tema, come successivamente Paul Samuelson.

Il fenomeno della stagflazione del 1970 mostrò tuttavia che erano contemporaneamente possibili sia elevati livelli di disoccupazione che di inflazione. Le nuove teorie che cercarono di spiegare il fenomeno si basavano sulla indagine del ruolo delle “aspettative razionali”, distinguendo tra il significato nel breve periodo della curva di Phillips e quello nel lungo periodo. Queste teorie ritengono che nel lungo periodo solo un tasso di disoccupazione stabile è collegato ad un tasso di inflazione stabile. Qualora non si abbia un tasso naturale di disoccupazione (anche definito NAIRU, acronimo inglese che sta per “tasso di disoccupazione che non provoca una accelerazione dell’inflazione”), se la disoccupazione si colloca al di sotto di quel livello, l’inflazione subisce una accelerazione; se si colloca al di sopra, subisce una decelerazione. E’ chiaro che queste differenze di comportamento derivano dal ruolo delle “aspettative”, che amplificano nel lungo periodo gli effetti della situazione reale.

In questo senso, dunque, Krugman parla in questo post – come in quello del giorno 14 – di una curva “tradizionale” (old-fashioned) di Phillips, e di una curva “accelerazionista”.

[2] Come si può vedere, tutti i dati del periodo 1988-2008 si concentravano in un range di incrementi salariali (assunti come indicativi dell’inflazione) tra il 3 ed il 4 per cento, mentre il tasso di disoccupazione si collocava in questi tutti le rilevazioni tra il 4 ed il 6 per cento. Gli ultimi anni spostano il tasso di disoccupazione tra l’8 ed il 10 per cento, e rallentano gli incrementi salariali ad una fascia tra l’1,5 ed il 2,5.

[3] Traduzione, come forse si nota, laboriosa e non sicura. Utilizzo “proxy” nel suo significato più vicino al termine informatico, che mi pare l’unico che consenta di tradurlo come un verbo, come nel testo.

[4] Liberty Street, a New York, è la strada dove ha sede la Federal Reserve Bank di New York.

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